Impresa globale
27 Maggio 2012 • di Paolo Bettiol
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La nozione di stabile organizzazione è un concetto fondamentale nel diritto tributario internazionale e in quanto tale ha la necessità di una continua verifica atta a definire i contorni con maggior precisione, tenendo presenti le caratteristiche intrinseche ed estrinseche. Questo articolo cercherà di affrontare la questione dell’attribuzione del reddito alla stabile organizzazione alla luce delle modifiche apportate dalle linee guida OCSE nel recente mese di luglio, nell’ottica di una corretta attribuzione dei profitti e di un superamento dei problemi di transfer pricing.
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1. Introduzione
2. La revisione del concetto di stabile organizzazione nel modello Ocse
3. La determinazione del reddito della stabile organizzazione
4. Stabile organizzazione e prezzi di trasferimento
5. Conclusioni
Nell’ambito della fiscalità internazionale, il tema dei prezzi di trasferimento assume rilievo per transazioni commerciali intercorrenti tra legal entities localizzate in Stati diversi e facenti parte di gruppi d’imprese.
Il concetto di stabile organizzazione viene utilizzato per determinare il diritto di uno Stato contraente di assoggettare a tassazione gli utili di un’impresa avente sede nell’altro stato contraente. Il paragrafo 1 dell’art. 5 del Modello OCSE definisce “stabile organizzazione” “una sede fissa d’affari, per mezzo della quale l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”(nota)
. La definizione implica pertanto:
• l’esistenza di una “sede d’affari”, vale a dire di un’installazione, di locali o, in alcuni casi, di macchinari o attrezzature;
• la sede d’affari deve essere “fissa”; essa deve essere stabilita in un luogo determinato con un certo grado di permanenza;
• lo svolgimento dell’attività industriale o commerciale dell’impresa per mezzo della sede fissa d’affari.
Il paragrafo 2 dell’art. 5 contiene una lista non esaustiva di casi in cui può considerarsi sussistere una stabile organizzazione. Il paragrafo 3 dell’art. 5 prevede espressamente che un cantiere di costruzione o di montaggio costituisce stabile organizzazione soltanto se la sua durata è superiore a dodici mesi(nota) .
Per seguire l’evoluzione del concetto di stabile organizzazione è necessario riferirsi alle modifiche introdotte negli ultimi 5 anni a livello nazionale e internazionale.
Possiamo iniziare l’analisi dalla pubblicazione da parte del “Centre for Tax Policy and Administration”, nel dicembre del 2006, del documento intitolato “Report of the attribution of profits to permanent establishment”(nota)
; con questo documento si fece un passo decisivo nel processo di revisione intrapreso dall’OCSE qualche anno prima(nota)
, di fronte alla constatazione della mancanza (tanto nei paesi membri come nei paesi non membri dell’OCSE) di un’interpretazione uniforme e della presenza di pratiche diverse utilizzate con riferimento all’articolo 7 del Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni, relativo agli utili aziendali.
Queste differenze interpretative, come fece notare il “Centre for Tax Policy and Administration”, potevano dare luogo a situazioni di doppia imposizione, o d’imposizione inferiore a quella risultante dall’applicazione di un unico sistema tributario.
Il menzionato processo di revisione venne ulteriormente arricchito dall’approvazione e pubblicazione, nel giugno del 2008, della versione finale dei capitoli I, II, III e IV del documento “Report of the attribution of profits to permanent establishment”(d’ora in avanti “Report”) e dei nuovi commentari all’articolo 7 del “Modello di Convenzione contro la Doppia Imposizione”(nota)
.
Il processo di revisione, conclusosi negli ultimi mesi del 2009, è stato approvato nel corso del 2010 con lo scopo di arricchire e dettagliare la norma su taluni aspetti in contrasto con la precedente versione.
Fin dall’inizio l’OCSE cercò una soluzione in sintonia con il principio di libera concorrenza nell’ambito delle relazioni tra la stabile organizzazione e l’impresa di appartenenza, elaborando la situazione in un sistema d’impresa ipoteticamente distinta e separata dall’impresa cui appartiene.
A tal fine, la soluzione escogitata per risolvere il problema, stante il fatto che possono non esistere relazioni contrattuali che stabiliscono obblighi e diritti tra parti della stessa impresa, fu il ricorso all’analisi funzionale e fattuale, basato sulle funzioni realizzate.
Il documento risulta molto descrittivo con specifico riferimento alle funzioni che si devono considerare al momento dell’attribuzione dei rischi e della proprietà economica degli asset, senza tralasciare l’indicazione sul fatto che le funzioni stesse possono variare da meramente ausiliarie o complementari fino a quelle importanti da considerare in modo più approfondito.
L’approccio OCSE si svolge in due fasi: nella prima si costruisce l’ipotesi di stabile organizzazione quale impresa ipoteticamente separata e distinta mediante l’attribuzione:
- dei rischi che nascono dalle funzioni sostanziali realizzate dalla stabile e che risultano rilevanti per l’assunzione degli stessi, o per la loro gestione (a partire dal momento in cui si possono considerare acquisiti);
- della proprietà economica degli assets, tangibles e intangibles, rispetto ai quali il personale della stabile organizzazione realizza le funzioni determinanti;
- del “free capital” attribuibile alla stabile organizzazione; vale a dire quel finanziamento inquadrabile quale fondo di dotazione che non genera interessi e che permette alla stabile di esercitare le funzioni alla stessa attribuibili.
Successivamente si determina l’utile di questa ipotetica impresa separata mediante il ricorso all’analisi di comparabilità.
Il primo passo consiste nella formazione di un bilancio della stabile considerando le linee guida contenute nel Report per poter:
a) attribuire gli asset, i rischi e il “free capital” alla stabile organizzazione e identificare le relazioni con il resto dell’impresa alla quale appartiene;
b) garantire che la stabile organizzazione realmente eserciti attività comparabili in condizioni simili o equivalenti a quelle di un’impresa ipoteticamente separata e distinta.
Per inciso, è da evidenziare una particolare attenzione dell’OCSE in relazione al finanziamento della stabile organizzazione, argomento in riferimento al quale affronta tre questioni fondamentali:
• come determinare i costi di finanziamento della stabile (in special modo come assegnare il “free capital”);
• fino a che punto le movimentazioni possono considerarsi come “operazioni interne” con conseguente maturazione degli interessi;
• come determinare gli interessi attribuibili alla stabile organizzazione, nella considerazione che la capacità d’indebitamento deve essere proporzionalmente suddivisa tra ciascuna parte dell’impresa.
L’articolo 7 del Modello di Convenzione contro la Doppia Imposizione stabiliva nella versione ante 2010 che gli utili aziendali di un’impresa di uno stato contraente potevano essere sottoposti a imposizione in un altro stato solo nella misura in cui tali utili fossero attribuibili a una stabile organizzazione situata al suo interno, lasciando però spazio, per quanto riguarda la determinazione dei profitti attribuibili alla stabile all’esistenza, ad alcuni elementi d’incertezza(nota) .
Nel corso del primo trimestre 2010, l’OCSE ha prima proposto e poi approvato qualche modifica sostanziale ad alcuni commi dell’articolo 7 del Modello di Convenzione contro la Doppia Imposizione.
Il documento approvato si divide in quattro parti: la prima espone alcune considerazioni generali in merito all’attribuzione del reddito alla stabile organizzazione; la seconda illustra i principali criteri di determinazione del reddito della stabile organizzazione con riferimento al settore bancario; la terza è specifica per le attività di trading di strumenti finanziari mentre l’ultima riguarda le compagnie di assicurazione.
Quello che interessa maggiormente sotto il profilo giuridico-legale è racchiuso nella prima parte, che si focalizza sull’interpretazione e conseguente applicazione dell’articolo 7 del Modello di Convenzione.
Il nuovo paragrafo 2 stabilisce che per determinare il reddito da attribuire alla stabile bisogna far riferimento al principio cardine “at arm’s length” con espresso riferimento alle funzioni svolte, agli asset utilizzati e ai rischi assunti dall’impresa attraverso la stabile organizzazione e attraverso le altri parti dell’impresa. Per determinare correttamente il reddito della stabile è necessario pertanto prendere a riferimento tutte le attività svolte, comprese le transazioni con parti indipendenti o con parti correlate e i rapporti che la stabile ha con le altre parti dell’impresa (“functionally separate entity approach”).
Per comprendere meglio il “functionally separate entity approach” la norma OCSE prevede un’analisi che si svolge in due fasi: nella prima vengono previste le condizioni per cui una stabile sia considerata un’entità separata e indipendente; mentre nella seconda viene illustrata la modalità di determinazione del relativo reddito sulla base di una “comparable analysis”.
La portata innovativa della norma è dettata dal fatto che viene definita una nuova procedura, che elimina sostanzialmente molti dubbi e incertezze comportamentali del passato. Difatti, la base del nuovo principio poggia sull’indicazione di un automatismo nell’accertamento e definizione dei redditi da attribuire alla stabile organizzazione: nel caso in cui l’amministrazione finanziaria dello stato di residenza della società (o della stabile organizzazione) rettifichi la materia imponibile, il paese in cui ha sede la stabile organizzazione (o la società) è invitato ad adeguarsi in misura corrispondente alla pretesa fiscale al fine di eliminare possibili fenomeni di doppia imposizione.
Rilevante risulta essere uno dei primi commenti alla soluzione proposta nel quale si fa espresso riferimento alla volontà dell’OCSE di raggiungere una linea comune di condotta per evitare i rischi di una doppia imposizione. Tuttavia, potrebbe succedere che le norme del paese di residenza della stabile organizzazione non siano conformi ai metodi di determinazione del nuovo valore della transazione: in quest’ipotesi la soluzione prospettata dalla norma è la procedura amichevole.
La nuova versione dell’articolo 7 permette una visione più pratica e meno burocratica nel calcolo del reddito imputabile alla stabile organizzazione, svincolata dalla dimostrazione dell’inerenza dei costi per la relativa deduzione. In ogni caso, è doveroso sottolineare che permangono dei dubbi sul reale automatismo della nuova norma, che poggia direttamente sulla volontà delle amministrazioni finanziarie. A tal proposito risulta conseguente evidenziare alcuni aspetti in merito all’applicabilità della nuova norma, sia in ragione della volontà da parte delle amministrazioni finanziarie di privarsi in modo semi-automatico di materia imponibile sia negli adeguamenti riguardanti le convenzioni stipulate fino a questo momento.
In questo contesto si innestano le problematiche sui prezzi di trasferimento i cui principi cardine trovano piena applicazione anche nei rapporti tra casa madre e stabile organizzazione, essendo questo uno dei problemi più ostici e difficili da superare per una corretta imputazione del reddito alla stabile organizzazione.
Anche in questo contesto, nel rispetto delle norme convenzionali, vale il principio che alla stabile dovranno essere attribuiti i profitti che la stessa avrebbe conseguito a parità di condizioni se fosse stata un’impresa indipendente. Ciò significa prestare la massima attenzione nella fissazione dei prezzi in modo da resistere alla tentazione di allocare materia imponibile nello stato a fiscalità più conveniente. Abbiamo già visto come la norma OCSE nell’attribuzione del profitto alla stabile, individui due fasi per la determinazione del profitto attribuibile alla stabile.
La prima fase denominata “functional and factual analysis” ha lo scopo di:
• attribuire alla stabile organizzazione diritti e obblighi derivanti dalle transazioni che coinvolgono l’impresa di cui la stabile è parte integrante;
• individuare gli asset “economicamente” di proprietà e/o utilizzati dalla stabile;
• attribuire i rischi inerenti alle funzioni svolte tenendo però in forte considerazione l’eventuale trasferimento dei medesimi ad altre parti dell’impresa;
• attribuzione del “free capital” per assicurare una corretta imputazione degli interessi nel rispetto del principio “at arm’s length”;
• riconoscere eventuali “dealings” tra la stabile e l’impresa di cui è parte integrante, ricordando che questi devono essere remunerati in base all’assunto secondo cui entrambe dovrebbero essere solvibili senza alcuna garanzia reciproca.
Successivamente entrano in campo le chiavi di determinazione, nel modo più oggettivo possibile, della comparabilità tra i “dealings” e le “uncontrolled transactions”, applicando un metodo di determinazione del prezzo il più appropriato possibile alla luce delle funzioni svolte, degli asset posseduti e soprattutto dei rischi assunti.
Un’ulteriore problematica concerne la deducibilità delle “spese di regia” sostenute dalla “casa madre” nell’interesse della stabile organizzazione e a quest’ultima imputate.
Nel caso in cui la casa madre operi attraverso una stabile è evidente che debba esistere un nesso di collegamento con i costi sostenuti dalla stabile stessa.
Il problema che nasce, però, è dettato dalla difficile individuazione dell’inerenza esistente tra determinate spese sostenute all’estero dalla casa madre e la relativa produzione di ricavi imponibili. Sotto il profilo sostanziale i rapporti fra stabile organizzazione e sede centrale devono essere regolati con il riaddebito al “valore normale” dei beni o servizi resi, tenendo conto del ruolo svolto dalla stabile organizzazione e senza alcun ulteriore “mark-up” da parte della casa madre.
È abbastanza evidente, però, come l’applicazione di questo criterio presenti particolari difficoltà in ordine ai controlli relativi a grossi gruppi multinazionali , nei quali molto spesso accade che il calcolo delle “management fees” (spese generali, amministrative, di direzione) sia oggettivamente complesso. In questi casi è preferibile assumere, tra le varie unità operative, una base di ripartizione delle spese in oggetto calcolata attraverso criteri matematici .
Tale problematica è stata affrontata in varie circostanze dall’Amministrazione Finanziaria che ha sostenuto come, al fine di contestare la deducibilità di un costo, sia opportuno, se non fondamentale, effettuare tutte le possibili ricerche dirette a riscontrarne la congruità. Nel caso in cui ciò fosse impossibile si renderebbe necessario il ricorso a “metodi di ripartizione basati su parametri che tengano conto della peculiarità dell’attività svolta o di elementi contabili significativi in relazione al tipo di azienda ”.
Di contro, spesso, la giurisprudenza ha ammesso la deducibilità delle spese in esame, rilevando, tra l’altro, come, in caso di contestazioni rivolte ai metodi di ripartizione delle spese di regia, incombesse sul contribuente l’onere di provare, in presenza di servizi resi, la loro inerenza alla produzione del reddito e la loro congruità rispetto al valore normale degli stessi.
In sostanza viene ammessa la deduzione delle spese di regia, ma, con l’incombenza a carico del contribuente di provare, con idonea documentazione:
• la correttezza del quantum;
• l’inerenza, attraverso almeno l’indicazione delle attività e dei servizi svolti dalla casa madre in favore della stabile organizzazione e delle modalità di prestazione, nonché attraverso la certificazione di un revisore esterno sulla composizione e sugli importi, sui parametri usati per la determinazione della quota addebitata alla stabile organizzazione e sulla giustificazione di tali parametri.
Questo comportamento è parzialmente in contrasto con quello che prevede l’ex art. 7, comma 7 del Modello OCSE, in quanto gli Stati contraenti sono obbligati a riconoscere la deducibilità di quelle spese ragionevolmente attribuibili alla stabile organizzazione, senza porre a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’inerenza e la ragionevolezza delle spese di regia portate in detrazione .
Un ultimo grosso problema che si pone nell’analisi delle tematiche di transfer pricing con la stabile riguarda l’assegnazione dei rischi. Come viene segnalato varie volte nei documenti OCSE, le imprese sono esposte a una serie di rischi, tra i quali vengono inclusi il rischio di inventario, il rischio di credito, il rischio valutario, il rischio di garanzia, ecc. Generalmente tra imprese associate questi rischi vengono assegnati in base ad accordi contrattuali, anche se, nel contesto delle “relazioni” tra una stabile organizzazione e la propria sede centrale, è il “complesso” dell’impresa che dovrebbe assumere il rischio da un punto di vista giuridico.
Con l’approccio proposto dall’OCSE, la stabile organizzazione assume quei rischi rispetto ai quali esiste un’incidenza nell’attribuzione degli utili alla stessa.
Per ulteriore chiarimento risulta utile analizzare l’esempio citato dall’OCSE.
Supponiamo che il personale di una stabile organizzazione, che svolge funzioni sostanziali, esamini e valuti l’assunzione di un rischio associato alla concessione di un credito a un cliente: in altri termini, è il personale interno che analizza la situazione del cliente e approva la concessione del credito.
In questo scenario, assumendo quale riferimento l’approccio consigliato dall’OCSE, alla stabile dovrebbe essere riconosciuto un elemento positivo con riferimento a questo credito, in quanto la stabile stessa dovrà assumere le conseguenze di una eventuale perdita derivante dall’insolvenza del cliente.
Al contrario, nel caso in cui un rischio assunto non sia stato preso in base alle funzioni svolte esclusivamente dal personale di una stabile, questo rischio non dovrà incidere in misura evidente nell’attribuzione degli utili alla stessa.
Con questo approccio dell’OCSE i rischi possono essere ripartiti in base alla funzione corrispondente e alla loro gestione vera e propria, che potrebbe essere realizzata dalle singole parti dell’impresa. Anche nel caso in cui un rischio, inizialmente assegnato a una stabile organizzazione in base alle funzioni rilevanti che ne determinano l’assunzione, passi a un’altra entità dell’impresa, si deve assegnare la quota-parte del profitto sulla base dell’effettiva incidenza funzionale del rischio stesso.
Ciò può accadere perché un rischio può essere trasferito da una stabile organizzazione ad altre restanti parti dell’impresa alla quale appartiene, mediante una “operazione interna” consistente nel subentro gestionale da parte di quest’ultima entità dell’impresa, che potrebbe essere anche un'altra stabile organizzazione, e che dovrà svolgere le relative funzioni sostanziali.
La Parte I del Rapporto è incentrata sull’interpretazione e applicazione dell’art. 7 del Modello OCSE, nella versione 2010. In particolare, il nuovo paragrafo 2 dell’articolo prevede che, nel determinare il reddito at arm’s length da attribuire alla stabile organizzazione, bisogna tenere conto delle “functions performed, assets used and risks assumed by the enterprise through the permanent establishment and through the other parts of the enterprise”.
Il reddito imputabile alla stabile organizzazione è quello che quest’ultima “might be expected to make if it were a separate and indipendent enterprise engaged in the same or similar activities under the same or similar conditions”.
Il Rapporto quindi precisa che la determinazione del reddito della stabile organizzazione implica il calcolo dei profitti (o delle perdite) derivanti da tutte le attività, incluse:
• le transazioni con parti indipendenti;
• le transazioni con parti correlate;
• i “dealings” con le altri parti dell’impresa (la cd. “functionally separate entity approach”).
L’applicazione del cd. “functionally separate entity approach” nell’interpretazione del paragrafo 2 dell’art. 7 richiede un’analisi che contempla due distinti step:
• nel primo step, si tratta la stabile organizzazione come una entità separata e indipendente;
• nel secondo step, si determina il reddito dell’ “ipotizzata” entità separata e indipendente sulla base di un’analisi di comparabilità.
Il risultato derivante dai due suindicati step consente di effettuare un calcolo dei profitti (o delle perdite) della stabile organizzazione “from all its activities, including transactions with other unrelated enterprises, transaction with related enterprises (…) and dealings with other parts of the enterprise (…)”.
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