Management e marketing
18 Luglio 2011 • di Riccardo Zuccaro
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Non sono molti coloro che in azienda conoscono l’outplacement, termine inglese che significa letteralmente “collocare fuori”, un’accezione sicuramente negativa, che poco dice di cosa realmente sia l’outplacement, tanto che in italiano si è pensato di tradurre il termine con “attività di supporto alla ricollocazione professionale” che meglio esprime il reale contenuto del servizio
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Cosa s’intende però con il termine “ricollocazione professionale”? Meglio quindi fornire la definizione ufficiale di outplacement in modo da fugare ogni possibile dubbio. Con la parola outplacement è indicata l'attività con cui società specializzate agiscono a supporto della ricollocazione di uno o più dipendenti in uscita da un'Azienda in una nuova posizione professionale, svolgendo a vantaggio di queste persone un complesso lavoro di autovalutazione e riqualificazione (definizione “AISO Associazione Italiana Società di Outplacement”).
Parliamo quindi di una qualificata consulenza e assistenza che è offerta, esclusivamente su mandato dell'Azienda, al lavoratore di ogni livello che, dovendosi riproporre al mercato del lavoro, potrà avvantaggiarsi dell'intervento specialistico di professionisti esperti in tutte le problematiche connesse alla riqualificazione professionale, alla gestione di carriera e al riorientamento del lavoratore nel contesto produttivo.
Il termine è inglese perché il servizio nasce in Inghilterra alla fine della seconda guerra mondiale per reinserire gli ufficiali dell’esercito nella vita civile. Si sviluppa poi negli Stati Uniti negli anni ’60 per la gestione di alcuni eventi straordinari quali, ad esempio, il “Progetto Apollo” della NASA, sempre con l’obiettivo di offrire un servizio che consentisse alle persone coinvolte di riqualificarsi e trovare una nuova collocazione lavorativa. In Italia, l’attività di supporto alla ricollocazione professionale, ha iniziato a comparire verso la metà degli anni '80: rispetto agli altri Paesi europei, si tratta ancora di un servizio innovativo, che sta iniziando a diffondersi in questi ultimi anni nel privato, ma anche nel pubblico.
Nei punti precedenti abbiamo imparato cosa vuol dire outplacement e abbiamo conosciuto com’è nato e come si è sviluppato il servizio; esaminiamo ora i dettagli offerti dal servizio.
Occorre subito dire che l’elemento imprescindibile è l’assenso della/delle persona/e coinvolte nel processo; se il “candidato” (com’è definita la persona da ricollocare), pur avendo a disposizione il servizio offerto dall’azienda, in fase di trattativa di uscita decide di non usufruire del servizio di ricollocamento, lo stesso non può chiaramente essere fornito.
Troppo spesso nei lavoratori prevale la logica miope della sola buonuscita economica, che è premiante nel breve ma che è fine a se stessa. In momenti come quelli odierni, curare il miglioramento della propria occupabilità nel mercato del lavoro è molto più importante della sola buonuscita monetaria. Amo ricordare sempre che “trovare un lavoro è esso stesso un lavoro”; avere un supporto in tal senso è fondamentale, specialmente oggi.
Il servizio si sviluppa in tre macro-fasi:
Spiegato il percorso di ricollocamento, la domanda che sorge è: perché si usufruisce del servizio di outplacement? A questa domanda occorre rispondere guardando il servizio da due lati: da quello dell’azienda che lo propone e da quello della persona che ne usufruisce.
Per l’azienda consente di ridurre le conflittualità e le vertenze legali, contribuisce a un’immagine di responsabilità sociale grazie a una politica più attenta di gestione delle risorse umane, accresce la credibilità interna verso gli altri dipendenti e quella esterna verso mercato e istituzioni.
Per il dipendente, in parte è già stato detto, ma mi preme sottolineare nuovamente che il servizio di ricollocamento riduce sensibilmente il periodo d’inattività e il rischio di marginalizzazione, rischio che diventa tanto maggiore quanto più prolungata è l’assenza dal mercato del lavoro, favorisce un recupero psicologico e una presa di fiducia importanti dopo un evento traumatico come la perdita del posto di lavoro.
Credo sia giusto parlare anche di risultati ottenuti, mostrando anche qualche dato significativo per far capire l’importanza del servizio.
L’outplacement quindi funziona? I numeri dicono di sì: la sola DBM Italia, società leader in Italia nel settore, ha ricollocato nel primo semestre del 2010 il 92% tra quadri, dirigenti ed impiegati, con un tempo di ricollocazione di 5-6 mesi, un arco temporale che può chiaramente subire accelerazioni o rallentamenti a seconda del profilo professionale.
Vale la pena rilevare che secondo uno studio di UNIONCAMERE più dell’80% delle posizioni di lavoro disponibili sono nascoste (ovvero circolano tramite canali non ufficiali come il passaparola). Una massa notevole di “possibilità” invisibili alla persona che si affida al “fai da te” ma che divengono raggiungibili quando alle spalle di chi cerca lavoro c’è una società di outplacement che può contare su un ampio network di contatti sviluppato nel tempo.
Tav. 1 – Candidati gestiti negli ultimi tre anni
Il servizio di outplacement è destinato a evolversi ulteriormente; infatti la crisi economica ha innescato molti processi di ridimensionamento aziendali, processi che le parti sociali hanno spesso e volentieri improntato solo sullo scontro e sul solo uso dei classici ammortizzatori sociali (Cassa Integrazione o CIG, Cassa Integrazione Straordinaria o CIGS, Mobiltà) che sono sacrosanti ma assolutamente passivi, perché le persone che ne usufruiscono non sono proattive verso il lavoro, ma attendono a casa che il peggio passi, augurandosi di essere reintegrati (nel caso della CIG e CIGS) o di essere assunti da una nuova azienda che potrà usufruire di sgravi contributivi (nel caso della mobilità). Alla luce della situazione contingente di crisi ma anche con un occhio al futuro, l’outplacement può e deve essere valorizzato sempre più a fianco dei tradizionali ammortizzatori sociali. Un ammortizzatore sociale “attivo” vantaggioso non solo per aziende e lavoratori, ma anche per tutto il sistema economico, poiché riducendo i periodi di inattività e di indennizzo della disoccupazione, contribuisce ad aumentare la produttività aggregata di tutto il sistema paese.
Importante quindi che anche le organizzazioni sindacali prendano atto dell’importanza del servizio e lo facciano diventare parte integrante delle trattative sindacali, proprio perché è un supporto fondamentale per i lavoratori che essi stessi rappresentano. Occorre dire, a onor del vero, che qualcosa si muove in tal senso. Negli ultimi tempi si assiste a un aumento di verbali di contrattazione sindacale che prevedono anche il servizio di outplacement. Anche le istituzioni pubbliche, chiamate spesso ad agire in deroga alle normative vigenti, hanno l’obbligo morale nei confronti dei cittadini di supportarli in un processo di reale reinserimento nel mondo del lavoro, cosa che può essere fatta attraverso lo stanziamento di fondi ad hoc per processi di ricollocamento.
In chiusura, mi viene in mente una frase che ho letto di recente del Cardinale Angelo Bagnasco: “Il lavoro è parte speciale di quelle condizioni indispensabili che una società veramente umana deve garantire perché ognuno possa non solo sopravvivere e vivere ma ancora di più realizzare se stesso secondo il disegno di Dio”.
DOI 10.4439/mm17
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