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Risorse umane e motivazione

08 Luglio 2011 • di Renato Votta

La gestione e la valorizzazione delle risorse umane per “competenze”. Parte 2. Il modello per "competenze"

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L’approccio alla gestione delle risorse umane trattato in questo lavoro è di recente ideazione (la prima azienda ad applicarlo è stata la “IBM” meno di quindici anni fa) e solo da un paio di anni in Italia si è aperto il dibattito sul suo eventuale utilizzo nelle nostre realtà imprenditoriali più grandi e innovative. Proprio perché si tratta di un modello nuovo, anche la bibliografia, soprattutto in lingua italiana, non è molto consistente. Nella prima parte di questo nostro intervento introduciamo il significato generale di competenze

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Parte 2. Il modello per “competenze” Sommario

1. Tipologie di competenze
1.1 Competenze realizzative
1.2 Competenze di assistenza e servizio
1.3 Competenze d’influenza
1.4 Competenze imprenditoriali
1.5 Competenze cognitive
1.6 Competenze di efficacia personale
2. La valutazione delle Prestazioni secondo il modello delle competenze
3. Conclusioni

  

 

1. Tipologie di competenze

È possibile individuare sei tipologie fondamentali di competenze generali e di estensione più o meno generale; nell’ambito di ciascuna di queste poi, se ne diramano altre, più specifiche e dettagliate, che vanno a esplorare e rilevare i diversi aspetti nei quali ciascuna tipologia si attua e si realizza.

Tali tipologie sono di seguito elencate e poi trattate singolarmente e specificamente:

  • Competenze di realizzazione e operative
  • Competenze di assistenza e servizio
  • Competenze d’influenza
  • Competenze manageriali
  • Competenze cognitive
  • Competenze di efficacia personale

 


1.1 Competenze di realizzazione e operative

La ratio e il nucleo di questa categoria di competenze consiste nell’attitudine e nella predisposizione ad agire nell’ottica dell’esecuzione e della realizzazione. Misurano cioè, quanto una persona, in un ruolo specifico, sappia e voglia raggiungere i propri obiettivi e in che misura, per farlo, si muova in autonomia e di propria iniziativa o piuttosto dipenda da esplicite e continue direttive e indicazioni dei capi.
Ecco le principali competenze di tale gruppo.

 

ORIENTAMENTO AL RISULTATO O “ACHIEVEMENT”
L’orientamento al risultato rileva in che modo e fino a che punto una persona è disposta a mettersi in gioco per raggiungere gli obiettivi assegnatigli. Rappresenta l’energia realizzativa, la grinta, la spinta a se stessi e agli altri. Essa rileva la volontà e la determinazione impiegate per concretizzare e finalizzare il proprio lavoro. E proprio la finalizzazione costituisce un aspetto decisivo di tale competenza: non basta un impegno intenso e completo, occorre che tale impegno sia davvero efficace e produttivo di risultati concreti, altrimenti rimane nel limbo di una generica, anche se apprezzabile, dedizione personale al lavoro, che nulla ha a che fare con la performance.
L’orientamento al risultato si concretizza nel darsi autonomamente degli standard da rispettare, nell’essere sempre tesi a confrontarsi e a migliorarsi, senza cullarsi sugli allori e sui successi passati, nel gestire le risorse a disposizione in maniera tale da ottimizzarle in funzione dei risultati da ottenere, nella disponibilità a orari difficili e a sacrifici personali nel momento della necessità e dell’occorrenza. Tutte queste caratteristiche si trasformano in una competenza vera e propria se sono tradotte in comportamenti concreti da seguire in ogni specifica realtà aziendale. Se la categoria è, dunque, unica e se il nome di “Orientamento al risultato” non cambia, la sua reale definizione in comportamenti attesi varia di azienda in azienda.

Comportamenti tipici di un forte orientamento al risultato sono:

  • lavorare per rispettare gli obiettivi fissati dai responsabili
  • fissare per se stessi e per gli eventuali collaboratori obiettivi sfidanti, ma non assurdi o irrealistici, dando il massimo per raggiungerli
  • effettuare frequenti controlli e analisi di redditività.


SPIRITO D’INIZIATIVA

Avere spirito d’iniziativa significa fare di più e meglio di quanto richiesto dai responsabili.
Una persona che ha iniziativa non aspetta gli eventi, non si limita a eseguire il compitino, ma si crea da solo nuove opportunità oppure individua nuove soluzioni o nuove proposte per migliorare il lavoro proprio e della propria unità. Questa competenza si manifesta solitamente come:

  • tenacia
  • individuazione e creazione delle opportunità
  • capacità di adottare provvedimenti e azioni anche inusuali per risolvere problemi e/o raggiungere obiettivi
  • previsione di aspetti e problemi non ancora emersi o concretamente prospettatisi.

Un esempio di spirito di iniziativa: l’addetto clientela di una filiale di una banca aveva raccolto molte richieste di clienti, che volevano essere ricevuti per appuntamento; così decise di accontentarli, ance se questo comportava spesso il dover lavorare in orari strani e al di fuori di quelli previsti per la sua mansione; i risultati raggiunti da quest’addetto furono elevatissimi e dopo qualche mese, tutta la sua banca introdusse la possibilità di ricevere i clienti per appuntamento.

 


1.2 Competenze di assistenza e servizio

Tali competenze sono riconducibili alla disponibilità e alla propensione ad aiutare. Assistere le persone, colleghi o clienti che siano, capirne le esigenze e i bisogni, per poterli meglio soddisfare e accontentare sono gli elementi chiave di questa tipologia di competenze. L’attenzione agli altri, l’ascolto, la volontà di venire incontro, sono tuttavia anche, come si vedrà, in parte caratteristici delle competenze d’influenza e di quelle manageriali.


SENSIBILITÀ INTERPERSONALE

Essa si può fondamentalmente compendiare come la volontà di capire gli altri. Significa ascoltare le persone, capirne sentimenti, emozioni, paure, oltre che esigenze e necessità concrete.
A volte, però, non basta l’ascolto; occorre intuire e comprendere tali aspetti anche quando non sono espressi chiaramente o sono addirittura volutamente sottaciuti. La sensibilità interpersonale si concretizza nella capacità di entrare in sintonia con gli interlocutori e per questo viene a volte definita anche come empatia. Il livello superiore alla comprensione e all’intuizione diagnostica degli altri è rappresentato poi dalla capacità di rispondere e di soddisfare, fornendo soluzioni e aiuti concreti, sia di tipo materiale sia psicologico. Un capo che, ad esempio, sappia intuire i problemi dei suoi collaboratori e abbia la volontà e la predisposizione a farlo, è sicuramente encomiabile; ma se si limita a questo, senza essere in grado di fare nulla per migliorare la situazione, ha una competenza di sensibilità interpersonale buona nella dimensione dell’ascolto ma carente in quella delle risposte.


ORIENTAMENTO AL CLIENTE
Tale competenza si esprime nella volontà di accontentare i clienti e di servirli nel modo migliore e più coerente con le loro esigenze e richieste. Come per la precedente competenza (Sensibilità interpersonale) essa si legge sotto due diverse chiavi di lettura, che rappresentano anche due stadi diversi e progressivi di possesso.

C’è prima di tutto la dimensione dell’ascolto e dell’intuito nell’individuazione e comprensione di bisogni e necessità; dalla loro individuazione si passa poi alla capacità di accoglimento e di soddisfazione. Il cliente può essere, ovviamente, sia interno sia esterno e in taluni casi si possono persino definire due diverse competenze di orientamento per i due tipi di cliente. Essa si concretizza nel:

  • ricercare e reperire tutte le informazioni sulle effettive necessità del cliente
  • impegnarsi personalmente per soddisfarne i bisogni e risolverne i problemi
  • offrire consulenza e supporto al cliente sempre, anche non in vista della vendita di un prodotto o in ambito meramente di lavoro
  • sforzarsi di creare un rapporto duraturo e basato sulla fiducia reciproca.

È evidente come nella concreta ed efficace realizzazione di tale competenza, di importanza particolarmente strategica a tutti i livelli di qualsiasi azienda, concorrano anche aspetti di altre competenze già viste precedentemente o ancora da affrontare in questo lavoro, quali lo spirito di iniziativa e l’orientamento al risultato.

 


1.3 Competenze d’influenza

Il termine “influenza” è ambiguo e potrebbe generare degli equivoci; la capacità di esercitare degli effetti sugli altri, condizionandone il comportamento o le decisioni, in taluni casi può essere strumentale alle esigenze del singolo o, comunque, non coincidente con le direttive e gli interessi aziendali. Una persona che abbia una certa “autorevolezza” nel modo di porsi, può sfruttare questa sua dote per danneggiare gli altri e in questo caso gli effetti del suo operato non sono positivi. Per competenze d’influenza si devono intendere quelle competenze utilizzate a fin di bene, in altre parole messe a disposizione del più generale e comune interesse aziendale.


PERSUASIVITÀ
La capacità di convincere e di persuadere ha sicuramente degli elementi in comune con la competenza di “orientamento al cliente”, con la differenza fondamentale, tuttavia, che la prima si caratterizza per essere messa in pratica per il raggiungimento di obiettivi personali e non per soddisfare esigenze dei clienti.
La sua estensione si rileva, anche in questo caso, in base al numero di persone coinvolte nel processo persuasivo e di influenza dei comportamenti/azioni e in base al livello gerarchico del ruolo di cui è monitorata tale competenza. In piccoli gruppi di lavoro o unità organizzative ridotte dal punto di vista numerico, la capacità di convincere e motivare non potrà ovviamente essere esercitata senza una buona sensibilità interpersonale e una buona predisposizione all’ascolto e alla comprensione degli altri.

I principali comportamenti nei quali si concretizza tale competenza sono:

  • cercare di prevedere l’effetto delle proprie azioni sugli altri
  • motivare il proprio operato, ricorrendo a tutti gli strumenti disponibili (dati, grafici, proiezioni etc.)
  • muoversi anche “nell’ombra” per raccogliere consenso e appoggio
  • utilizzare le doti personali di autorevolezza per condurre e guidare il gruppo verso le azioni desiderate.

 

CONOSCENZA ORGANIZZATIVA (“ORGANIZATIONAL AWARENESS”)
Essa consiste nella capacità di conoscere a fondo la struttura organizzativa della propria azienda per sfruttarne tutti i vantaggi e per coglierne tutte le opportunità.
Una persona con questa competenza “si sa muovere” in azienda, conosce le persone giuste e al momento del bisogno contatta i referenti più efficaci e quelle che contano. È dunque una competenza permeata di venature “politiche” o diplomatiche. Non solo; a livelli più elevati di possesso, ha la capacità di intuire i cambiamenti organizzativi in atto e di adeguarsi subito, riuscendo a vedere come l’azienda cambierà al verificarsi di determinati eventi.

I comportamenti attraverso i quali si determina sono:

  • conoscere l’organizzazione “informale” e “parallela” dell’azienda
  • individuare le occasioni per mettersi in mostra
  • rivolgersi alle persone opportune e in grado veramente di agire in maniera utile ai propri scopi.

 


1.4 Competenze manageriali

Si tratta fondamentalmente delle già citate competenze di influenza, applicate però ai manager e ai responsabili in genere. Esse focalizzano l’attenzione sulle capacità di questi ultimi e sugli stili di direzione e conduzione dei collaboratori. Proprio perché riguardano i responsabili, esse sono particolarmente interessanti e hanno implicazioni in taluni casi di portata strategica. Il prediligere o selezionare un certo tipo di responsabili, poi, significa incidere anche sulla cultura e i valori aziendali.


SVILUPPO DEGLI ALTRI
Rileva la disponibilità e la propensione a insegnare ai propri collaboratori e a curarne crescita e progressi professionali.
Essa può essere dettata anche da interessi personali o da considerazioni di carattere più opportunistico (“se il mio collaboratore sa lavorare, anch’io traggo i miei vantaggi”), ma se produce comportamenti coerenti e utili, è comunque importante e rilevabile nella misura opportuna. È ovvio, tuttavia, che una componente di sensibilità interpersonale è sicuramente di grande importanza per concretizzare una competenza del genere; per curare lo sviluppo di una persona occorre conoscerla, intuirne le attitudini e raccoglierne desideri e aspirazioni: difficile che tutte queste cose vengano fatte solo per opportunità e tornaconto personale. Tanto maggiore è il numero dei collaboratori e tanto più sono diversificate le loro mansioni e dunque professionalità, tanto più si richiede un livello elevato di tale competenza.

I comportamenti attraverso cui si attua possono essere, ad esempio:

  • non parlare male dei collaboratori nel momento delle difficoltà
  • in caso di errori, pensare a risolvere il problema anziché scatenare la caccia al colpevole
  • dare occasioni di “job rotation” e di scambio di esperienze professionali
  • favorire e sollecitare azioni formative mirate e personalizzate per i collaboratori
  • segnalare i comportamenti errati, senza fare alcun riferimento alla persona
  • delegare e decentrare responsabilità per coinvolgere, motivare e sviluppare i collaboratori.


DECISIONALITÀ O ATTITUDINE AL COMANDO
Essa esprime la volontà e la determinazione con la quale un capo fa rispettare i propri ordini.
La decisionalità si esprime attraverso comportamenti autorevoli e si concretizza non solo nel numero di disposizioni/ordini impartiti, ma anche nella loro qualità e opportunità. Un manager che prende tante decisioni inutili e su cose secondarie e che non decide invece sugli aspetti davvero importanti e strategici, non avrà certo uno scoring elevato di tale competenza ed è molto probabile che il suo team abbia difficoltà a raggiungere gli obiettivi.
Non è tuttavia una caratteristica esclusiva dei rapporti superiore-subordinato; l’autorevolezza e l’assertività di una persona possono riscontrarsi in qualsiasi dinamica relazionale aziendale: nella gestione di un cliente arrabbiato o nella soluzione di un problema con un fornitore. La decisionalità si estende e si rileva su una scala crescente di intensità di azione: si passa dalla totale assenza di ordini all’emanazione di disposizioni standardizzate e di routine, fino ad arrivare al confronto aperto con i collaboratori disobbedienti e, se necessario, all’adozione di provvedimenti più drastici e severi.
Tale competenza, con particolare riferimento agli aspetti di assertività e convincimento, ha sicuramente una relazione con la competenza della “influenza e persuasività” e si nutre di una forte componente di autostima e auto fiducia.


TEAMWORK
Il Teamwork o “lavoro di gruppo” o anche “cooperazione” consiste nella disponiblità e nella propensione a lavorare con gli altri, in un clima di sincera e aperta collaborazione.
Una persona ben dotata in questa competenza predilige il lavoro di gruppo rispetto a mansioni individuali; si relaziona con colleghi e superiori con spirito partecipativo e con una competitività intelligente e leale.
I livelli più bassi si rilevano invece in comportamenti egocentrici o autocentrati, nella bassa “concurrence” e nell’attegiamento chiuso, se non addirittura ostile, nei confronti degli altri componenti del proprio team. Uno specialista o un tecnico, molto di sovente, sono fortemente carenti in questa competenza. Con riferimento ai responsabili, l’attitudine al teamwork si rileva da aspetti al tempo stesso fondamentali e quotidiani, come la capacità di coinvolgimento e di motivazione dei collaboratori o come la considerazione e la presentazione dei risultati ottenuti quali risultati ottenuti da un gruppo e non solo per merito del capo.

 


1.5 Competenze cognitive

L’area “cognitiva” di una persona riguarda fondamentalmente la sua “testa”; la capacità di ragionamento, lo spessore, i contenuti e il livello di sofisticazione e complessità delle sue argomentazioni ne costituiscono il nucleo portante.
Esistono vari modi di approcciare le cose e i problemi, scomponendoli nelle loro parti e riconducendoli all’unità in funzione della ricerca della soluzione; a ciascuno di questi corrisponde un certo bagaglio di competenze cognitive e, in ultima analisi, una relativa dotazione personale nella sfera cognitiva. Da non trascurare, in relazione a tale tipologia di competenze, gli aspetti inerenti all’eloquio e alle capacità dialettico - espressive; una persona con una buona testa, infatti, ha spesso anche la capacità di estrinsecare considerazioni e ragionamenti lucidi, consequenziali e dunque convincenti.


PENSIERO ANALITICO
Tale competenza consiste nella capacità di identificare i singoli elementi di un problema, distinguendoli e ordinandoli in funzione della loro importanza e proponendo eventuali soluzioni specifiche.
Il pensiero analitico si riscontra e si misura dall’utilizzo di una logica deduttiva, dall’approccio preciso e meticoloso alle cose da affrontare, dall’immediatezza di analisi dei particolari e delle variabili in gioco. Utilizzare in maniera corretta ed efficace il pensiero analitico significa utilizzare la tecnica del “carciofo” nella disamina e nella scomposizione di tutti i fattori da considerare in una questione, senza tuttavia perdersi nei ragionamenti e mantenendo sempre una coerenza di fondo.
Le dimensioni di cui si compone tale competenza sono dunque due: la complessità e l’ampiezza. La complessità riguarda il numero delle cause, ragioni ed effetti inclusi e ricompresi nel ragionamento; l’ampiezza attiene alle dimensioni e alla portata del problema affrontato.


PENSIERO CONCETTUALE
La competenza di pensiero concettuale è la capacità di gestire la complessità e la numerosità delle variabili in gioco o delle componenti di un problema ponendoli in un’ottica allargata e indagando i fenomeni nel loro scenario. In altre parole essa è la capacità di individuare e prevedere le relazioni fra gli elementi significativi di un problema o di una situazione, proponendo eventuali soluzioni adeguate e coerenti.
Essa consiste nell’utilizzo di un ragionamento creativo, di tipo induttivo, volto alla propositività e alla finalizzazione. Trovare una sintesi per la complessità è sicuramente uno degli aspetti decisivi di tale competenza.


2.6 Competenze di efficacia personale

Si tratta di competenze, in un certo senso, di supporto alle altre competenze e che attengono alla sfera della “maturità” di una persona di fronte a situazioni difficili e di stress.
La gestione lucida e razionale dei momenti critici e delicati spalmerà i suoi effetti benefici su tutte le competenze possedute in genere da una persona, rendendola ancora più efficace e spendibile in posizioni più avanzate e complesse.


AUTOCONTROLLO
Esso consiste nella capacità di conservare il controllo delle proprie emozioni e di evitare comportamenti negativi alla presenza dell’ostilità dell’ambiente circostante e in condizioni di stress o di coinvolgimento emotivo personale.
Esso è sicuramente da rilevare e verificare nelle posizioni manageriali intermedie, come anche nelle posizioni lavorative più basse e di routine, mentre in quelle più elevate appare una competenza “naturale”, se non obbligatoria. Si misura partendo dall’incapacità costante di mantenere il controllo della situazione, perdendo le staffe e lasciandosi trascinare dall’ira o dal panico, per arrivare a livelli di autocontrollo notevoli, consistenti nel dominare le proprie emozioni, agendo sempre razionalmente e con calma.
Dice un proverbio cinese: mantenere la calma in un momento di ira fa risparmiare cento giorni di dolore. In maniera molto semplificata e banalizzata, è proprio questo il senso di questa competenza.


FIDUCIA IN SÉ

In termini aziendali, la fiducia in sé è la consapevolezza, o semplicemente la convinzione, di essere adeguati a svolgere una mansione o un compito specifico.
Essa si caratterizza per due dimensioni fondamentali. Da un punto di vista “positivo”, si configura come fiducia nei propri mezzi, andando dall’estremo di un’autopercezione di totale inadeguatezza rispetto alle attese o indicazioni ricevute, all’altro estremo di una volontà costante di accettare nuove sfide e di mettersi in discussione su obiettivi sempre più difficili e impegnativi.
Da un punto di vista “negativo”, si caratterizza per le modalità di reazione all’insuccesso e alla sconfitta.
Ci si può abbattere, cadendo nella depressione e nell’autodisistima, o ci si può interrogare serenamente sui motivi, per rimediare o, almeno, per non ripetere ancora gli errori alla prossima occasione.

 


2. La Valutazione delle Prestazioni secondo il modello delle competenze

L’approccio delle competenze può avere una prima, immediata applicazione pratica proprio nel sistema di valutazione delle prestazioni.
I sistemi tradizionali sono tradizionalmente orientati sulla “performance” e quindi sul “che cosa” deve fare la persona titolare della mansione in oggetto. Il rendimento può essere misurato in termini quantitativi o qualitativi, ma comunque concerne un “output” prodotto.
La gestione e la valutazione delle prestazioni secondo i principi delle competenze è invece focalizzata sul “come” una persona svolge il proprio lavoro. È dunque un angolo visuale qualitativo e al tempo stesso prospettico. La performance è analizzata e misurata secondo le competenze utilizzate dal dipendente per raggiungere i suoi risultati nella mansione.
Recentemente molte organizzazioni aziendali hanno scelto di adottare modelli “misti”, che uniscano cioè aspetti sia quantitativi (il “che cosa”) sia qualitativi (il “come”) delle prestazioni. La stessa composizione tra le due tipologie di sistemi può variare notevolmente a seconda anche degli obiettivi che ci si prefigge. La priorità data agli aspetti tradizionali determina un’attenzione maggiore verso il passato e verso gli obiettivi di breve periodo. Puntare sulle competenze significa concentrarsi sulle potenzialità e sui margini di sviluppo delle risorse, ampliando, di fatto, l’orizzonte temporale di riferimento.
Valutare le persone per competenze elimina molti errori o limiti della prassi ordinaria. Innanzitutto, l’approccio tradizionale rende necessario, per ottenere una valutazione migliore di altri, produrre di più di persone poste in posizioni similari. Nei casi in cui i risultati attesi sono fissi e standardizzati (come ad esempio nel caso della produzione industriale) non sono effettuate considerazioni sulla singola persona che ha realizzato la performance. Il processo di valutazione delle prestazioni e la relativa discussione del responsabile con la risorsa valutata sono spesso vissute con fastidio e come un’inutile e complicata attività burocratica da entrambe le parti in causa, non dando alcun valore aggiunto e anzi rischiando di essere controproducenti. Tale processo, inoltre, non sortisce effetti sull’efficacia e sulla qualità della direzione, non incoraggiando i responsabili a lavorare meglio e a far sviluppare i loro collaboratori.
L’utilizzo dell’impianto delle competenze, in forma almeno mista, rende invece molto più agevole la valutazione delle risorse in condizioni incerte o in rapido cambiamento, oppure quando le attività svolte dalla persona sono di servizio o assistenza alla clientela.
Più in generale, è particolarmente utile nel caso si debbano valutare posizioni che svolgano attività qualitative e non misurabili secondo i comuni parametri quantitativi (monetari, di produttività, ecc.).
Per impostare e rendere operativo il più velocemente possibile un sistema di valutazione delle prestazioni che abbia almeno una componente di competenze, è indispensabile, prima di tutto, individuare le competenze necessarie per una prestazione superiore nei ruoli considerati e dunque per essere rispondenti alle future esigenze strategiche aziendali.
Il vero principio di fondo di tale costituendo sistema deve essere quello di incentivare i dipendenti non tanto a lavorare di più, quanto soprattutto a lavorare meglio del presente.
Si creano allora delle “matrici”, in cui per ciascuna mansione s’indicano le competenze richieste e quelle considerate “prioritarie” da un punto di vista strategico. Per tutte le competenze considerate si tracciano gli schemi di comportamenti concreti riconducibili ai vari livelli di possesso di ciascuna di esse.
Dal confronto tra posseduto dal singolo e desiderato dall’azienda nasce il dovere dei responsabili di istruire, aiutare e supportare i collaboratori, sia per permettere ulteriori salti di qualità, nel caso di “gap” positivo, sia per rendere subito idonei e coerenti al ruolo ricoperto i relativi titolari, nel caso contrario. Un “gap” negativo tra posseduto e richiesto nel portafoglio delle competenze di una persona in una posizione aziendale può essere infatti dovuto a una scarsa anzianità nel ruolo, oppure a una serie di fattori esterni o anche alla mancata formazione degli interessati.
Per la realizzazione e la messa in opera di un sistema di gestione della performance basato sulle competenze, il fattore più importante è sicuramente il coinvolgimento e la formazione dei capi. Educare i responsabili a uscire dalle vecchie logiche del “premio” e della “punizione” per ragionare in termini di “coaching” e di sviluppo, diviene allora il giusto e opportuno sostrato culturale e gestionale per far prosperare nuove modalità di approccio alle risorse umane in azienda.


3. Conclusioni

Gestire le persone non significa giudicarle; sembra banale dirlo, ma è purtroppo la prassi pressoché generale nelle aziende. Aiutare le persone a migliorarsi, a crescere per rendersi sempre adatti e idonei a svolgere i ruoli che sono chiamate a svolgere deve essere senza dubbio un obiettivo prioritario di tutti coloro che si occupino di Risorse Umane. Il modello delle competenze nasce proprio per raggiungere quest’obiettivo. Conciliare le logiche aziendali con le attitudini e le capacità delle persone, soprattutto in attività ad alto contenuto qualitativo, è diventato ormai essenza stessa del business: parlare di competenze, allora, non è più un esercizio retorico, ma una necessità strategica.
 

DOI  10.4439/mm16

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