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Strategie e analisi di opportunità

10 Maggio 2011 • di Luca Scaini

Il rapporto tra l’internazionalizzazione e la physioeconomia

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L’articolo presenta uno spaccato del punto di vista physioeconomico (Pellicelli 2010), applicato non tanto e non solo alla segmentazione internazionale (Parker 1997), ma soprattutto dell’applicazione sociale agli aspetti economici, includendo il marketing e più in generale la scienza economica entro l’ampio abbraccio delle scienze sociali, come sostiene la diffusa recente corrente che vorrebbe riportare il marketing come scienza del mercato nel societing come scienza della società (Venkatesh e Penaloza 2006). Si mette quindi in evidenza come gli approcci metodologici dovrebbero, secondo la nostra esperienza pratica, ponderare meglio gli assetti sociali e psicologico-sociali propri dell’antropologia dei mercati, in modo particolare per i beni più “emozionali” e in termini di global economy.

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Sommario

  1. Aspetti tradizionali e innovativi dell’internazionalità
  2. New Markets e approccio alla novità
  3. Gruppi Socio-Culturali Dinamici e Segmentazione

 

1. Aspetti tradizionali e innovativi dell’internazionalità

Ogni qualvolta s’inizia un nuovo intervento sull’internazionalizzazione tanto in azienda quanto in accademia, si dovrebbe cercare di riorientare il sistema di pensiero degli interlocutori verso quello che a volte sembra essere rimasto un interstizio tra credenze generali e fuorvianti, in un’ottica di “operazioni di qualità”: l’obiettivo del presente intervento è quello di rendere il “fattore sociale dell’internazionalizzazione”, il punto su cui focalizzare l’attenzione.
Sovente si affronta il problema antropologico del marketing internazionale legandolo alla segmentazione, o alla selezione dei mercati, ma il più delle volte si dovrebbero necessariamente attraversare barriere culturali e psicologiche più serrate di quelle tariffarie o doganali: il vero processo inter-nationes è - basandosi sull’esperienza tanto pratica quanto sulla ricerca - di carattere culturale e tribale (in alcuni settori come la moda e il lusso, ricercatori e aziende se ne sono accorti da tempo): tale concetto risale ad autori che hanno trattato appunto il rapporto con il marketing e la moda (Foglio 2007, Pellicelli 2010), ma anche ad autori che, nel marketing non-convenzionale, hanno parlato diffusamente di concetti d’internazionalità sociale (Cova 2003 e Cova-Kozinets-Shankar 2007), in cui i fattori di segmentazione (anche nazionale) esulano dal contesto socio-politico per addentrarsi in quello dei momenti di vita (Codeluppi, 2002); addirittura l’entrare a far parte di tribù potrebbe rendere “…impossibile la classificazione secondo gli abituali standard sociologici, incluso lo stile di vita” (Cova, Giordano, Pallera 2008, p.90).
Il marketing internazionale, e più in generale le politiche d’internazionalizzazione, sono quindi operazioni di passaggio tra gruppi sociali, i cui elementi di diversificazione possono esulare dall’aspetto prettamente politico: sono processi simili a quelli del societing, appunto (Badot-Bucci-Cova, 1993): l’accezione politica o nazionale non è che una - seppure la più diffusa - accezione. Secondo gli autori citati, peraltro, sembra che nell’ottica economica globale, l’accezione “nazionale” in senso non culturale, ma prevalentemente burocratica, sia anche la più debole.
L’archetipo di Natio deriva dalla Bibbia, secondo cui la nazione è “…una delle grandi divisioni naturali della specie umana uscita dalle mani di Dio creatore, espressione della diversità visibile della società umana sulla terra…”, dunque un gruppo sociale i cui parametri di associazione o raggruppamento sono variabili e multidimensionali (Tajfel 1999): in latino natio non significa che “nascita” o, appunto, gruppo sociale, tribù (e qui ritorna il riferimento citato al societing).
È credenza comune che i mercati internazionali siano dunque mercati stranieri più che estra-nei in senso culturale; invece per l’accezione antropologica che si vuole usare, dobbiamo riconoscere che le strategie di penetrazione internazionali sono egualmente valide e applicabili - e spesso perfino più redditizie - per penetrare nuovi segmenti, nicchie (Andreani-Rossi 2007) e utenti (Pellicelli, 2010). Si aggiunga che i mercati sono tanto più stranieri quanto culturalmente ignoti (Valdani e Bertoli, 2006). Penetrare una nazione culturalmente diversa o un segmento che agisca in maniera culturalmente diversa dalla nazione o dal segmento di origine, non differisce, se non nella tecnica commerciale, dalla penetrazione internazionale classica: le dogane e le operazioni in valuta sono probabilmente sostituite dallo sdoganare valori e credenze legate al prodotto e al suo (meta) brand.
Insomma, Montesquieu per primo sostenne che non sono gli uomini a essere diversi, ma gli ambienti, pertanto è sul concetto di diversità dell’ambiente a cui vorremmo sempre fare riferimento: ambiente, cultura, interazione come elementi di maggiore influenza nelle relazioni e nella formazione di quadri di riferimento applicabili all’interscambio merci/informazioni/stimoli (Tosi-Pilati, 2002).
È necessario partire da una solo apparentemente ovvia definizione del mercato come “luogo d’incontro della domanda e dell’offerta”, per arrivare a un più attuale “luogo d’incontro” (Cva, Giordano, Pallera, 2008), in cui l’interazione è multi livellata nel più ampio panorama sociale e culturale (Locke et al., 2001).
Il mercato estraneo o estero è tale soprattutto in relazione al punto di vista del “noto”, cioè del prodotto-azienda: rispetto a esso (cioè al prodotto-azienda) si parla di novità e di comprensione cognitiva dello stesso. Il “noto” è il punto di vista peculiare rispetto al quale si calibrano le strategie internazionali e globali, ora arrivate a un punto di svolta, quello della forte sottolineatura dell’aspetto antropologico e culturale.

 

2. New Markets e approccio alla novità

Quando si sente parlare di “new markets”, anche se ci si riferisce principalmente alla Cina, all’India, presto, prestissimo, al Brasile e al Messico, si dovrebbe invece pensare anche ad a-spetti di innovazione nell’approccio culturale più che alla novità rappresentata dall’ingresso nel panorama economico mondiale di un nuovo player: esiste infatti un accesso attivo ai mer-cati: la penetrazione commerciale, la penetrazione integrata produttiva (Pellicelli, 2010), e uno passivo, proprio dei “soft means”, cioè l’avvicinamento di noi al nuovo e l’attrazione del nuovo a noi.
Lo stesso “…marketing non-convenzionale: una storia italiana” (Cova, Giordano, Pallera, 2008, p.53 e segg.) lo dimostra, unitamente ad altri testi (Bucci 2006, Codeluppi 2002).
Per esemplificare tale punto di vista, si presti attenzione a un esempio pratico. Quando nel 1996 l’autore del presente articolo si trasferì in Russia, come direttore generale del centro di cooperazione dell’UNESCO, si affrontò sistematicamente l’approccio (nuovo per molte aziende italiane) al mondo post-sovietico e al tempo si lavorava moltissimo col settore calzaturiero in cui eccellono le Marche. Il prodotto incontrò un totale apprezzamento nonostante la Russia di quegli anni fosse, letteralmente, un “Mercato Senza Storia”, il più nuovo dei mercati nell’asset mondiale di fine millennio e nonostante le politiche di penetrazione fossero più passive che attive e non certo attuali. La novità rappresentata dal Mercato era solo apparente: per oltre trent’anni le scarpe dei russi erano state prodotte in Emilia e in altre zone d’Italia (la stessa Gianmarco Lorenzi, azienda leader oggi nel segmento lusso in Russia era, senza saperlo, presente e fornitrice del segmento “top”), e per oltre quarant’anni l’immaginario collettivo russo aveva idealizzato l’Italia come sorta di Paese del Bengodi in cui le arance (bene rarissimo in Unione Sovietica) crescevano liberamente ai bordi delle strade, e in cui anche il più povero aveva frutta buona e scarpe belle. Se la Russia era ignota alle aziende italiane, coi suoi gusti eccessivi e i suoi modi anomali, “esse” non erano estranee “a loro”. Si era già gettato il seme del citato tribalismo (Cova, 2003).
Nuovo significa che ci si deve riferire soprattutto a qualcosa di psicologicamente, socialmente ed economicamente “nuovo”, in quanto estraneo al nostro senso comune, un mercato nuovo in quanto mai affrontato direttamente o attivamente in precedenza non è necessariamente una novità assoluta.
Il cosiddetto “foreign market”, il “Mercato Estero” anglosassone è, a ben vedere: foreign (ag-gettivo) “not contained in or deriving from the essential nature of something or not belonging to that in which it is contained; introduced from an outside source”.
In definitiva, soprattutto in settori in cui il prodotto risulta drammaticamente secondario ri-spetto alla strategia di supporto e all’universo emozionale che ruota attorno al prodotto stesso - come il settore della moda, del lusso e i settori in cui si punta sull’edonismo come risultante e causa di proposte d’acquisto - le tecniche di penetrazione studiate per i mercati possono essere egualmente utilizzate anche per nuovi segmenti, fintantoché ci si riferisce a “new” e a “estraneo-foreigner” come a “sconosciuto” a livello di processo cognitivo, su un piano socio-antropologico prima che meramente economico.

 

3. Gruppi Socio-Culturali Dinamici e Segmentazione

Nella segmentazione physioeconomica per i mercati internazionali (Parker 1997) si fa riferi-mento a fattori culturali come la religione. A suo tempo ci si riferì all’accesso alle risorse da parte di diversi gruppi religiosi (Weber, 1905). Infine si portano ad esempio le abitudini d’acquisto e di consumo del tabacco e di determinati farmaceutici (Pellicelli, 2010): è il princi-pio passato alla psicografia, che influenza, in termini di globalizzazione, gli acquisti più che le barriere fisiche: dove viene meno il confine reale subentra quello percepito, è anche il principio passato al tribalismo (Cova 2003) e al Cluetrain Manifesto (Locke et al., 2001).
Tutta la strategia d’internazionalizzazione, dal punto di vista dell’ingresso su nuovi mercati, va interpretata a partire da un approccio sociologico in cui lo scambio economico prodotto contro denaro si regge prima di tutto sul passaggio da un gruppo a un altro, gruppi che si aprono per permettere il flusso merci contro valuta solo in seguito a quello delle idee, e degli scambi culturali (Venkatesh e Penaloza 2006).
Se la cultura è “una mappa che racconta una storia” (Mantovani 2005, p.57) ed essa è “una mappa per esplorare la realtà […] essa media tra individui e ambiente avvolgendoli in una rete di senso” (Mantovani 2005, p.147). Essa è mappa per muoversi nella società e nel mercato. Allora permette anche e prima di tutto il movimento dei prodotti - ivi incluse le informazioni - (Cova, Giordano, Pallera 2008) della società stessa, e per questo è opportuno ricondurre la linea di pensiero al passaggio d’idee e alla conseguente conoscenza dell’alter psicologicum, un po’ come avvenne mille anni or sono per le crociate… che, infatti, lanciarono e prosperarono proprio attorno ad un prodotto metafisico ed emozionale potentissimo: la Croce (Aphandery-Dupont, 1974).
L’internazionalizzazione è quindi un processo inter-nationes che trascende l’economia per riversare tutto il suo significato completo nell’ambito sociale, di cui l’economia è parte integrante e integrata, e dove inter sta a indicare un attraversamento di una barriera o confine non necessariamente fisico, né meramente economico, ma ben più complesso, in quanto compartecipato da diversi aspetti.
Si è detto che il confine fisico, come quello doganale, può essere ben più blando di quello sociale o antropologico: spesso, infatti, la peggiore maniera di affrontare la novità, rappresentata non dal “mercato” in sé, ma dal suo contenuto socialmente, antropologicamente “nuovo”, è il tentativo di costruzione di hard point (keystones) concentrandosi (esclusivamente) sul tipico modello di business aziendale esportato in un passato recente in cui gli asset globali erano ben diversi da quelli attuali, e ancora in rapida evoluzione (Zaltman 2003, Hennessey 2004).
In epoca globale i gruppi non sono (più) agglomerati (solo) attorno a concetti nazionali o economici, ma attorno a soft-points variabili e prettamente psico-sociali, i fattori tribali (Venkatesh e Penaloza 2006, Cova 2003 e Cova-Kozinets-Shankar 2007)
Occorre rivedere l’approccio alla complessità del mercato in maniera che si può definire “penetrazione orizzontale”, cioè rivalutando aspetti culturali tangenti il business, che ne fanno parte rendendolo più globale.
Già si parlò di segmento globale come sistema di approccio ai mercati e alla loro estraneità co-gnitiva: si è infatti iniziato a parlare nell’ultimo decennio di target più che di mercati, riferendosi al fatto che la globalizzazione sta riducendo determinate distanze economiche, politiche, comunicative, e oggi già si afferma che “non ci sono più target da colpire, ma persone con cui risuonare” (Cova, Giordano, Pallera 2008, p. 77).
In conclusione, l’orientamento che si propone è forse un buon compromesso tra marketing non-convenzionale e physioeconomia, dal momento in cui - seguendo una linea di pensiero ampiamente accettata nel marketing internazionale - si connotano i target come persone piuttosto che come bersagli di azioni di mercato, e ripensando i mercati come gruppi sociali di cui i target sono elementi costituenti. Questo sistema di guardare ai mercati si basa su parametri che non sono più solo economici e politici, ma che si allargano a quelli sociali, psicologici e culturali, senza soluzione di continuità. La proposta si estende alle teorie proprie del marketing non-convenzionale (Venkatesh e Penaloza 2006, Locke et al., 2001), esattamente come l’estraneità dei mercati internazionali appare motivata più da ragioni culturali che non eco-politiche (tanto più in epoca di economia globale) e l’identificazione dei target-persone potrebbe venire fatta su basi culturali e psico-sociali come proposto dalle teorie physioeconomiche.

 

 DOI 10.4439/ig5
 

 

Bibliografia

 

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