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Mediazione

19 Maggio 2011 • di Luca Dattolo

Il mediatore e il conflitto tra le parti: tecniche di composizione e gestione dei contrasti

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In questo contributo esamino le principali tecniche di composizione, mediazione e gestione dei conflitti, componenti tra più delicate che il mediatore deve essere in grado di affrontare efficacemente

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Sommario

1. Definizione di mediatore
2. Il mediatore come terzo “imparziale”
3. Le doti necessarie del mediatore
4. Tecniche di composizione dei conflitti
4.1 Autorevolezza
4.2 Persuasività
4.3 Imparzialità
4.4 Empatia
4.5 Altre tecniche empiriche
5. Tecniche di mediazione

 

1. Definizione di mediatore

Prima di prendere in considerazione la gestione del conflitto tra le parti in sede di mediazione, mi preme fare un passo indietro sulla definizione del mediatore che ritroviamo nell’art. 1, lett. b) D.Lgs. 28/2010 nel quale il mediatore è definito come “la persona che svolge la mediazione, rimanendo priva, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”.
A mio parere, questa definizione di mediatore che viene indicato genericamente come persona suscita più di una perplessità, poiché potrebbe far presumere che chiunque possa diventare mediatore o che mediatore si diventa per caso, per passione o semplicemente perché si è caratterialmente portati a gestire conflitti sociali di qualsiasi tipo.
Mi preme rilevare che, non tutti quelli che sono particolarmente avvezzi alla gestione di un conflitto sociale, quale ad es. può essere un conflitto familiare o di relazione tra due amici o tra due colleghi di lavoro, siano in grado di ricoprire il ruolo di mediatore civile e di conseguenza di gestire un procedimento di mediazione che, per dirla sempre secondo la terminologia adottata dal legislatore, è finalizzato alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.
È importante, secondo me, far passare l’idea che il mediatore è o comunque deve necessariamente essere un professionista.
D’altronde, penso che la mancata considerazione della necessaria professionalità del mediatore, una mancata considerazione da parte del legislatore non dell’ultima ma della precedente riforma del rito del lavoro, sia stata la causa principale del totale fallimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 410 c.p.c. (oggi reso facoltativo dalla recente riforma); un tentativo che è stato gestito male perché affidato a una persona che poteva essere un funzionario, ma nella stragrande maggioranza dei casi era un impiegato della Direzione Provinciale del Lavoro che non ha mai studiato, saputo o approfondito niente in materia di mediazione, e quindi, tale tentativo si limitava a una domanda rivolta da un mediatore improvvisato alle parti, del tipo “Volete conciliare?” e oltretutto se e quando le parti erano presenti in quella sede.
La mediazione prevista dal D.Lgs. 28/2010 è un istituto che è stato disciplinato sotto diversi aspetti procedurali, rischiando addirittura di far venir meno una delle caratteristiche peculiari di tale procedimento che è l’informalità.
Si è sempre parlato e pensato alla mediazione come un procedimento informale in cui la gestione del conflitto è opera delle parti che comunicano e collaborano tra di loro per trovare una soluzione al comune problema controverso, soluzione che sia la più soddisfacente possibile per entrambe, senza avere la preoccupazione di dover rispettare rigide regole di procedura o di osservare il rispetto di termini di legge perentori e, quindi, più in generale senza la preoccupazione di rispettare le formule classiche del diritto procedurale.
Per questo, a fronte di un procedimento di mediazione che rischia di perdere la caratteristica dell’informalità e che va quindi sempre più verso una disciplina di aspetti procedurali, la figura del mediatore non può che essere quella di un professionista.

In attesa che venga redatto un codice deontologico del mediatore civile, esiste, infatti, quello del mediatore creditizio e del mediatore familiare; la stessa legge (D.Lgs. 28/2010 e il successivo D.Lgs. 180/2010) ha imposto degli obblighi al mediatore tra cui:

  • quello di una formazione professionale continua;
  • quello d’imparzialità rispetto alle parti;
  • neutralità rispetto alla lite;
  • obblighi di riservatezza esterna e interna, intendendo per riservatezza esterna del mediatore, l’obbligo di quest’ultimo di non divulgare all’esterno le informazioni assunte direttamente dalle parti o di cui viene a conoscenza durante il procedimento di mediazione. Per riservatezza interna s’intende l’obbligo del mediatore di non riferire a una delle parti in conflitto le informazioni che assume dall’altra parte, se non con il consenso della parte che le ha fornite.


2. Il mediatore come terzo “imparziale”

Poiché terzo imparziale, il mediatore si trova in una posizione unica nella conduzione di una prospettiva generale su ciò che accade all’interno del conflitto tra le parti.
Tale posizione, equidistante rispetto ai bisogni e agli interessi delle parti, rappresenta sicuramente un vantaggio ai fini di una possibile soluzione positiva e di comune soddisfazione per le parti stesse.
Il mediatore, infatti, quale professionista preparato al riconoscimento e alla gestione dei conflitti, è capace di percepire l’opportunità di aiutare le parti ad attivarsi e, in un certo senso, a trasformare i propri atteggiamenti, passando da uno stato di rabbia e di debolezza a uno di forza e di sensibilità nei confronti della controparte.
Il conflitto, in sede di mediazione, offre al mediatore l’opportunità d’incidere sul modo con cui le parti si trattano a vicenda nelle loro relazioni umane, aiutandole a trovare modi nuovi per agire e interagire tra loro, e per sperimentare nuove strade per la gestione delle proprie dispute.
Quindi tra gli obblighi previsti dalla legge, vi è quello della formazione professionale continua.
La formazione è un momento importante sia per la crescita professionale del mediatore e sia per la sicurezza delle parti che verranno a usufruire di queste professionalità.

I mediatori civili sono professionisti, ognuno in base al proprio corso di studi e alla propria professione, che hanno unito alla propria professionalità di base un quid novi:

  • le tecniche di composizione o gestione dei conflitti;
  • le tecniche o meglio, considerando che non esiste una tecnica di mediazione che sia valida in assoluto per ogni tipo di controversia;
  • le regole strategiche di mediazione delle controversie.

La formazione specifica per mediatori comprende, quindi, insegnamenti di comunicazione, psicologia della comunicazione, mimica, tecniche di risoluzione alternativa delle controversie, gestione delle emozioni, nonché insegnamenti prettamente giuridici che riguardano le varie normative previste dal legislatore nazionale e comunitario in tema di tentativo di conciliazione.


3. Le doti necessarie del mediatore

La preparazione che un mediatore sperimenta su se stesso non è cosa da poco e si affina strada facendo.
Egli, in qualsiasi incontro di mediazione:

  • deve tendere a utilizzare un linguaggio neutrale e ben equilibrato nelle argomentazioni;
  • deve avere un atteggiamento il più possibile positivo, per incoraggiare le parti a ottenere il massimo vantaggio possibile dal tentativo di conciliazione che le riguarda;
  • deve essere un facilitatore, nel senso che deve saper facilitare la comunicazione tra le parti al solo scopo di far emergere tutto quello che c’è dietro e oltre il conflitto, inteso in termini giuridici, e quindi quali sono i reali interessi più profondi e più remoti delle parti, i loro bisogni, le aspirazioni cui tendono e le esigenze che non rivelerebbero in alcun modo alla controparte.

Tali informazioni che possiamo definire “indirette” e “latenti”, nel senso che non vengono rivelate direttamente dalle parti in una normale situazione di giudizio ordinario, o di transazione negoziale, ma sono il frutto di un’attività di estrapolazione soprattutto psicologica del mediatore sulle parti, serviranno al mediatore stesso al fine di aiutare le parti a immaginare una soluzione alla loro disputa che vada di là dei diritti e dei doveri di ciascuna di loro.
Per riuscire, quindi, ad avere un atteggiamento positivo, per utilizzare un linguaggio il più possibile neutrale, e per essere un facilitatore della comunicazione tra le parti, il mediatore ha il dovere di formarsi adeguatamente, di mantenere e aggiornare costantemente la propria preparazione in tecniche di composizione e di gestione dei conflitti, dovendo rifiutare la nomina qualora non si ritenga sufficientemente qualificato.


4. Tecniche di composizione dei conflitti

Esaminiamo ora le tecniche di composizione dei conflitti.


4.1 Autorevolezza

Una tecnica preliminare per il mediatore, per svolgere nel migliore dei modi il suo ruolo di facilitatore della comunicazione tra le parti, è quella di acquisire dalle parti stesse il riconoscimento della propria autorevolezza.
Si parla, infatti, di figura o di ruolo autorevole del mediatore e non di autorità del mediatore.
Autorevolezza e autorità sono due concetti diversi, la cui differenza sostanziale è rappresentata dall’origine dell’assegnazione dell’una o dell’altra, vale a dire da dove derivano, da dove traggono origine, l’autorità e l’autorevolezza.
L’Autorità corrisponde a un livello gerarchico ed è quindi legata a uno stile direttivo, ad esempio nel nostro ordinamento giuridico, l’Autorità è legata alla figura del Giudice, che emette autonomamente una sentenza per disciplinare una questione di diritto controversa.
L’Autorevolezza è, invece, riconosciuta dagli altri. Sono gli altri che identificano in una determinata persona, comportamenti adeguati, competenze e capacità di comunicare in modo efficace; sono gli altri che riconoscono, in quella persona, equità e percepiscono per se stessi un equilibrio psichico che permette di evitare l’aggressività, di poter ammettere i propri errori senza il complesso di essere giudicati, e quindi di poter gestire i propri conflitti senza timori reverenziali o autocensure.

 

Come fa il mediatore ad acquisire autorevolezza?


Innanzitutto, assicurandosi che prima dell’inizio dell’incontro, le parti abbiano ben compreso ed espressamente accettato le finalità e la natura del procedimento, sottolineando il fatto che il mediatore non è un giudice o un arbitro, ma il suo ruolo risiede nel facilitare la comunicazione tra le parti, ricordando il carattere informale del procedimento e gli obblighi di riservatezza esterna e interna esistenti a tutela delle parti.
Nulla deve essere lasciato alla libera interpretazione delle parti che devono essere correttamente informate su tutti gli elementi necessari a un positivo esperimento del tentativo di conciliazione, e questo proprio perché saranno le parti le protagoniste assolute dell’eventuale accordo.
Il mediatore deve, quindi, essere chiaro nell’esposizione delle c.d. “regole del gioco” che devono essere condivise da tutti, e deve avere, inoltre, la capacità di far rispettare queste regole.


4.2 Persuasività

Altra tecnica di composizione dei conflitti è quella che porta il mediatore a essere persuasivo nelle richieste poste alle parti, portando le stesse a rendersi conto dell’importanza di ciò che stanno facendo, e tutto questo nel rispetto di un clima informale e non irrigidito da formule classiche del giudizio civile.
Come riesce a essere persuasivo?
Il mediatore riesce a essere persuasivo nei confronti delle parti attraverso la formulazione di domande mirate e misurate. Nella formulazione delle domande e/o richieste alle parti, il mediatore deve avere un:

  • ruolo attivo, attraverso le domande mirate, poiché deve ottenere delle risposte che permettono alle parti di vedere le loro posizioni da una diversa angolatura;
  • ruolo passivo, attraverso domande misurate, nel senso che le domande non devono orientare le parti, ma devono facilitare la comunicazione tra di loro: le domande devono essere poste per capire se è possibile raggiungere un’intesa e non tese a rendere giudizi, opinioni, né tantomeno interpretazioni sulla controversia ovvero sull’eventuale ragione o torto delle parti.

Il mediatore, proprio perché facilitatore della comunicazione tra le parti, non deve esercitare alcuna pressione su di esse. Non deve decidere, non deve giudicare, non deve emettere sentenze o verdetti o lodi, ma il suo compito è di facilitare la composizione negoziata della lite che rimane in totale gestione delle parti.


4.3 Apertura mentale

Un’altra tecnica di gestione dei conflitti consiste nell’abilità del mediatore di tenersi fuori dagli schemi ragione/torto, giusto/sbagliato, verità/errore.
Nella mediazione, infatti, non serve sapere chi ha ragione o torto; è importante, invece, far capire alle parti che hanno un problema che è comune a entrambe, ed è da questo dato oggettivo che bisogna partire per capire ciò che le parti sono disposte a dare o a fare pur di giungere a una soluzione soddisfacente per i loro interessi e i loro bisogni.
V’è da precisare, al riguardo, che, in sede di mediazione, non sempre quello che le parti sono disposte a dare o a fare si traduce automaticamente in concessioni reciproche pur di porre fine alla questione, poiché le parti possono benissimo impegnarsi nell’assunzione di nuovi obblighi reciproci che nulla hanno a che vedere con le circostanze di fatto e di diritto che hanno determinato il conflitto precedente.
Questo dipende sicuramente dalla disponibilità delle parti di arrivare a un accordo, ma dipende anche dalla fiducia che le parti stesse ripongono a favore del mediatore.


4.4 Empatia

Gioca un ruolo fondamentale, per il mediatore, al fine di ottenere la fiducia dalle parti, un’altra tecnica di composizione dei conflitti che consiste nella capacità del mediatore di rimuovere tutti gli ostacoli che le parti, con il loro comportamento, hanno creato precedentemente e/o continuano a creare durante la procedura.
Come fa un mediatore a rimuovere gli ostacoli?
Entrando in empatia con le parti, creando un atteggiamento volto a superare le ritrosie, le diffidenze, i pregiudizi, gli atteggiamenti negativi delle parti e dei rispettivi consulenti, siano essi consulenti legali o familiari. Il mediatore utilizza a tal fine la tecnica dell’ascolto attivo che consiste, da una parte, nel dare ascolto agli sfoghi emotivi delle parti, dei consulenti, di tutti coloro che partecipano all’incontro e, dall’altra, nel porre le giuste domande per capire e per far capire alle parti ciò di cui si sta discutendo.
Fondamentale risulta, a tal fine, l’utilizzo del feed-back che letteralmente è un nostro nutrimento che deriva da un interlocutore e che viene rimandato indietro allo stesso interlocutore, ed è una tecnica di sospensione del giudizio che permette di restituire al nostro interlocutore gli eventi così come li percepiamo senza aggiungere alcuna valutazione, interpretazione o soluzione, senza dare eccessivo supporto e soprattutto senza indagare.


4.5 Altre tecniche empatiche

Altre tecniche di composizione dei conflitti che devono far parte del bagaglio di competenza del mediatore per cercare di entrare in empatia con le parti, sono:

  • l’assunzione di un atteggiamento accogliente e cordiale, specie al primo incontro con le parti, ma anche in occasione degli incontri separati; tale atteggiamento aiuta a mantenere un clima d’informalità che permette alle parti di relazionarsi con il mediatore senza alcun timore reverenziale nei suoi confronti e senza il pericolo di sentirsi giudicati per i fatti che hanno determinato il conflitto che le riguarda;
  • la capacità di sapersi adattare a ogni circostanza, rendendosi conto delle competenze e delle diversità culturali, sociali, culturali ed economiche delle parti;
  • la capacità di essere scaltro, per far scoprire i giochi delle parti, le verità e gli atteggiamenti fasulli, le tattiche poste in essere, senza fermarsi alla prima ricostruzione dei fatti;
  • la sua duttilità, che si manifesta nel comprendere il ruolo delle parti e le eventuali gerarchie o rapporti di potere tra le parti stesse, avendo cura, in particolare, che tutti coloro che possono avere un ruolo nella controversia siano presenti personalmente.

In mediazione, infatti, può capitare che sul punto di raggiungere un accordo, una parte fa un passo indietro, perché per essa è importante ascoltare l’opinione di un familiare o di un amico, di una persona che ha una forte influenza per la parte stessa e che può essere o non essere, direttamente o indirettamente, interessato alla conclusione dell’accordo. Sarebbe utile, allora, cercare di coinvolgere quella persona, anche subito se è facilmente raggiungibile, il cui consenso diventa quasi una condizione indispensabile e necessaria per il raggiungimento dell’accordo. Vediamo, inoltre, che in questa situazione, gioca un ruolo fondamentale la caratteristica dell’informalità del procedimento di mediazione che va al di là e oltre a quello che può essere il rispetto di regole procedurali, e fornisce, quindi, un aiuto concreto alle parti, in termini di maggiore speditezza del procedimento ai fini del raggiungimento o meno dell’accordo.



5. Tecniche di mediazione

Per quanto concerne le Tecniche di mediazione, v’è da dire, in via preliminare, che la qualità, buona o cattiva, positiva o negativa, di una mediazione non dipende dal raggiungimento dell’accordo. Questo perché il raggiungimento dell’accordo e quindi l’avvenuta conciliazione rimane sempre delle parti che ne sono le protagoniste assolute.
In secondo luogo, bisogna aggiungere che non esiste una tecnica assoluta che sia valida per qualsiasi tipo di mediazione, e questo perché, in mediazione, giocano un ruolo fondamentale le emozioni, gli stati d’animo delle parti che saranno diversi di volta in volta.
Di sicuro, però, una buona gestione della procedura di mediazione, in aggiunta all’utilizzo di alcune tecniche, strategie, regole di mediazione che noi abbiamo ereditato dall’esperienza americana, elaborate dalla facoltà di legge di Harvard, nell’ambito di un progetto riferito alle regole fondamentali da seguire per una buona negoziazione, possono aiutare le parti nella ricerca di una soluzione al problema comune che sia la più soddisfacente possibile rispetto ai loro interessi e bisogni.

Quali sono queste regole?
Bisogna evitare la contrattazione per posizioni perché non crea alcun valore, non riesce a produrre un accordo efficace e soprattutto non migliora i rapporti tra le parti.
Più una parte difende la propria posizione, più tende a identificarsi con essa, e inoltre, la sua posizione viene recepita dalla controparte come una chiusura totale ed elemento negativo di disturbo alla ricerca di una comune soddisfazione di interessi.

Negoziare per posizioni implica un enorme dispendio di energia e di tempo e non favorisce la comunicazione e la collaborazione tra le parti.
Quando le parti sono ferme sulle loro posizioni, scatta un meccanismo per cui ciascuna parte attende che sia l’altra a fare la prima mossa, in termini di concessioni, e s’irrigidisce; di fatto, succede che nessuna delle parti si muove e questo stato di cose, questo immobilismo, non fa altro che rafforzare l’idea che la controparte non vorrà mai negoziare e che quindi ci si convince di aver fatto bene a difendersi, rimanendo fermi sulla propria posizione.
In questo stato di cose, l’accordo difficilmente potrà essere raggiunto ed ecco perché il mediatore ha il compito specifico di aiutare le parti a comprendere e a scindere le proprie posizioni di principio dai reali interessi sottostanti.

Separare le persone dal problema
Le parti di una mediazione, anche quando riguarda persone giuridiche, in ultima analisi sono sempre essere umani, persone, ognuna con il proprio bagaglio di esperienze e di competenze che comprende altri e diversi fattori: la cultura, l’educazione, le emozioni, gli stati d’animo, i preconcetti, i pregiudizi ecc.
Tale background personale svolge un ruolo importante in mediazione, perché a seconda di come viene utilizzato, ne può derivare un’utilità o un disagio per le parti in disputa.
A tal proposito, il mediatore che abbiamo detto essere un esperto dell’arte della composizione e gestione dei conflitti, sarà sempre attento a considerare i problemi personali ed emozionali delle parti che, se mal gestiti, possono creare confusione ed essere d’intralcio per l’intera procedura di mediazione. E quindi il mediatore deve essere bravo a considerarli soltanto nella misura in cui queste emozioni possono creare un valore positivo ai fini del possibile scioglimento delle tensioni e delle rigidità esistenti tra le parti, mentre tali emozioni non vanno considerate se ci si accorge che possono turbare le trattative.
Il compito del mediatore, in questa fase, è tenere la relazione tra le parti a debita distanza da quella che è la sostanza intrinseca del problema, aiutando le parti a concentrarsi insieme sul problema comune e comportando, in tal modo, un cambio di prospettiva per le parti stesse che dovranno essere accompagnate lungo un percorso nel quale si trovino a ragionare non più nella condizione dell’“Io e il mio problema”, ma del “Noi e il problema che va risolto insieme”.
Il mediatore, nel suo ruolo di facilitatore della comunicazione tra le parti, aiuta le parti a ragionare sull’esistenza di possibili soluzioni per il problema comune, senza recriminare sul passato o senza rinchiudersi in sterili o rigide posizioni. In altre parole si va in mediazione per affrontare insieme il problema comune, per lavorare a fianco a fianco al fine di risolvere la situazione controversa, e non si va per scontrarsi a faccia a faccia.

Concentrarsi sugli interessi e non sulle posizioni
Il compito più importante e più difficile del mediatore è di far capire alle parti in conflitto che dietro le proprie opposte posizioni non vi sono necessariamente interessi inconciliabili, e che proprio in termini di bisogni, paure, timori, emozioni e stati d’animo si deve ragionare per trovare una soluzione al problema comune.

Certamente, far emergere gli interessi di una parte, è un problema di non facile soluzione!

 

Come fa il mediatore a porvi rimedio?


Innanzitutto, il mediatore ha il compito di aiutare le parti stesse a individuare i propri interessi che quasi mai vengono riconosciuti.

  1. Il mediatore aiuta le parti a “vestire i panni l’una dell’altra”, chiedendo alle parti magari di domandarsi il motivo che ha spinto le controparti ad agire in un modo piuttosto che in un altro, oppure chiedendo a una parte cosa avrebbe fatto se si fosse trovata al posto della controparte, come avrebbe agito o come, secondo lei, dovrebbe agire per cercare di porre un rimedio alla situazione controversa.
  2. Il mediatore, inoltre, aiuta le parti ad avere maggiore considerazione del futuro piuttosto che del proprio passato, e quindi a concentrarsi sulle circostanze che possono favorire una soluzione del problema, piuttosto che concentrarsi sulle cause che l’hanno determinato. In mediazione, non ha senso arroccarsi e bloccarsi sulla valutazione del passato, ma è molto più utile considerare come risolvere insieme la situazione controversa.
  3. Inventare soluzioni vantaggiose per entrambe. Caratteristica della mediazione che la rende differente da un negoziato o da una transazione è l’inventiva che il mediatore cerca di diffondere nelle parti, per creare tante soluzioni al problema che siano diverse l’una dall’altra. Il mediatore, infatti, aiuta la parti in quello che viene definito “l’allargamento della torta negoziale” per poi meglio dividerla. In genere, quando le parti pensano che vi sia un’unica soluzione al problema, oppure quando evitano di creare opzioni, o quando credono che il problema o la soluzione riguardino soltanto la controparte, non sentono il bisogno di creare valide alternative al fine di una comune soddisfazione con la controparte stessa. Di solito, l’inventiva non è facilmente comprensibile e attuabile dalle parti in lite che sono alla ricerca affannosa di una soluzione ai loro problemi, e soprattutto non è comprensibile e attuabile quando si utilizzano metodi, tecniche o formule che tendono a esasperare dati ed eventi passati e per questo immodificabili, come avviene di solito durante un giudizio ordinario. In mediazione, la caratteristica dell’inventiva del mediatore e di riflesso delle parti può portare a un accordo creativo e può quindi arrecare quel valore aggiunto dal quale, successivamente, far discendere la soluzione che soddisfi maggiormente gli interessi delle parti.
     

 DOI 10.4439/pfs6

 

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