Gestione e controllo
31 Gennaio 2019 • di Alessandra Tami
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Nel 2019 le imprese italiane si stanno confrontando con alcune riforme che potranno avere rilevanti impatti sulla loro organizzazione, in particolare sui sistemi di amministrazione e controllo.
Probabilmente per le aziende più grandi e meglio strutturate tali riforme avranno un impatto limitato: si tratta di aziende che sono in genere dotate di un sistema di amministrazione e controllo in cui l’IT ha un ruolo rilevante, in cui il B2B o il B2C si avvale di piattaforme informatiche, con sistemi di contabilità evoluti, per le quali sia il ciclo attivo che il ciclo passivo utilizza la fatturazione elettronica. L’informatizzazione delle procedure contabili ha condotto a sistemi di contabilità integrata, che hanno come output non solo l’informativa contabile necessaria per un corretto rapporto con le diverse classi di stakeholder, siano essi gli azionisti e quindi il mercato finanziario, sia gli altri interlocutori, dai finanziatori, banche o altre istituzioni, fino ai dipendenti e alla collettività nella quale sono inserite, ma anche l’informativa utile per il controllo interno e l’assunzione di decisioni consapevoli.
Possiamo osservare in generale che se il mercato non è solo locale, il bilancio d’esercizio diventa uno strumento di comunicazione e spesso è redatto secondo le migliori prassi internazionali: l’adozione dei principi contabili internazionali implica l’implementazione di un sistema interno di controllo di gestione, in grado di generare le informazioni necessarie per una corretta redazione del documento, con le informazioni di natura gestionale necessarie. L’informativa sui rischi richiesta dalla normativa, ampliata dall’obbligo di redigere una dichiarazione non finanziaria, ha richiesto alle stesse aziende di implementare un sistema di monitoraggio non solo dei rischi economico finanziari, ma anche di natura ambientale, sociale e sui sistemi di governance.
Inoltre la presenza di una struttura articolata ha richiesto l’adozione di sistemi di programmazione e controllo in grado di monitorare l’andamento aziendale e di verificare la fattibilità delle strategie in atto e /o che si vorrebbero attuare.
Ma in Italia per una serie di fattori il numero delle grandi imprese è limitato, mentre operano un numero elevato di PMI, spesso di tipo familiare o a ristretta base azionaria, prive di sistemi formalizzati di amministrazione e controllo, che si limitano ad implementare quanto richiesto dalla normativa fiscale, senza porre attenzione all’effetto di come i mutamenti di scenario potrebbero impattare sull’economicità e sulla stessa sopravvivenza della realtà aziendale.
In questo scenario stanno irrompendo normative nuove, che di fatto rispondono a esigenze diverse e non conciliabili sempre fra di loro: fatturazione elettronica e sistema di allerta.
La fatturazione elettronica, con il ciclo della fatturazione integrato con il sistema di contabilità generale, viene proposto come un sistema di semplificazione: la norma parla di abolizione di alcuni adempimenti, che l’agenzia delle entrate potrà fare al posto del contribuente: d’altra parte l’informatizzazione dei processi di vendita, di acquisto, del personale consente di prefigurare quello che sarà il risultato dell’azienda. Ma è logico ed utile che “la tenuta dei conti” sia demandata a terzi?
Si osserva che il sistema di contabilità non serve solo per rispondere agli adempimenti civilisti e fiscali obbligatori per le aziende, ma dovrebbe servire in primis per orientare la gestione e per assumere decisioni adeguate allo sviluppo aziendale. E in questo ambito non bastano rilevazioni consuntive quali quelle connesse agli adempimenti civilistici e fiscali, ma serve un sistema di rilevazioni “prospettiche”, che in base all’analisi del passato e alle ipotesi di scenari futuri, prefigurino la capacità dell’azienda di continuare in condizioni non solo di equilibrio economico, ma soprattutto finanziario e patrimoniale.
Valutazione dei fabbisogni per rimanere competitivi, valutazione delle risorse derivanti da autofinanziamento e di quelle da richiedere esternamente, ma soprattutto controllo della liquidità sono le sfide che le PMI in particolare si trovano ad affrontare.
1.Perché le aziende falliscono?
Prima di affrontare il tema, occorre sottolineare che il decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155 non prevede più il termine fallimento, ma quello di “liquidazione giudiziale”, nella logica del provvedimento stesso, di favorire la continuità delle parti sane dell’organizzazione, a favore di una classe di interessi più ampia del soddisfacimento dei soli “creditori sociali”.
Tale obiettivo è perseguito quindi non solo con il mantenimento e il rafforzamento di istituti adeguati a favorire processi di ristrutturazione, ma soprattutto con l’introduzione anche in Italia, sul modello di altre realtà europee e non solo, di un sistema di “allerta”, con l’obiettivo di un intervento tempestivo ad evitare situazioni di deterioramento[1].
Il decreto propone le seguenti definizioni per distinguere la situazione di crisi, da quella di insolvenza, la seconda foriera della applicazione della liquidazione giudiziale.
Si definisce come “crisi”: lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate (art. 2, lettera a).
Viene invece definito come b) “insolvenza”: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Dalla lettura della definizione della “situazione di crisi” si rileva come il legislatore ponga attenzione non tanto ad analisi di situazioni consuntive, ma richieda alle aziende di implementare sistemi di amministrazione e controllo in grado di integrare le dinamiche economiche, patrimoniali e soprattutto finanziarie collegate alla gestione dell’impresa.
Occorre osservare che sistemi di amministrazione e controllo adeguati, anche se non sufficienti a prevenire situazioni di difficoltà aziendali, sono coerenti con un a gestione proattiva, in grado di individuare fattori di possibile crisi futura e quindi interventi tempestivi per strategie di riorganizzazione e/o turnaround, in grado di limitare gli effetti dei mutamenti di scenario.
In questa direzione va inoltre interpretato l’art. 3 del citato decreto sulla crisi d’impresa, che pone in capo all’imprenditore, sia esso individuale o collettivo (quindi una società) il compito di: “adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte” (imprenditore individuale), mentre per l’imprenditore collettivo viene indicato che: “deve adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”.
Quindi, al di là dei compiti più stringenti posti a carico degli organi di controllo esterni, come sindaci e revisori, e delle segnalazioni demandate a particolari categorie di creditori, come organismi previdenziali e fiscali, la norma interviene sottolineando come un sistema di controllo di gestione adeguato sia necessario per una gestione d’impresa, soprattutto in periodi come l’attuale, caratterizzato da forti discontinuità e possibili shock esterni non prevedibili.
Il ruolo dei soggetti a cui viene demandata la funzione di controllo trova inoltre in un sistema interno adeguato di programmazione un elemento essenziale ai fini stessi del giudizio di “continuità aziendale”[2] cui essi sono chiamati in occasione della pubblicazione da parte dell’azienda del bilancio esercizio.
Il tema della continuità aziendale implica l’analisi delle possibili situazione che potrebbero compromettere il normale svolgimento dell’attività, incidendo sulla prosecuzione dell’attività nel prossimo futuro.
Gli accadimenti che possono compromettere la continuità aziendale si riferiscono:
Non è agevole prevedere una lista esaustiva di circostanze che indichino l’insorgenza di dubbi significativi sulla continuità aziendale, dovendo trattarsi di un insieme di elementi convergenti e sufficientemente preoccupanti anche in considerazione del contesto in cui opera l’ente.
Gli standard setter dei vari Paesi hanno via via definito una serie di elementi segnaletici di problematiche relative alla continuità.
In sintesi tali problematiche possono essere ricondotte a:
1.1. Circostanze legate alla situazione finanziaria:
a. Patrimonio netto negativo;
b. Capitale circolante pesantemente negativo;
c. Aumento considerevole del fabbisogno di capitale circolante netto;
d. Cessazione del sostegno finanziario da parte della casa madre;
e. Aggravamento dei principali equilibri finanziari;
f. Situazione di tesoreria negativa o in forte peggioramento tale da non permettere di far fronte agli impegni nei confronti dei debitori alle scadenze pattuite;
g. Impossibilità di rinnovare finanziamenti indispensabili o di ottenerne nuovi quando necessari;
h. Richieste di garanzie esorbitanti da parte di terzi;
i. Ricerca di fonti di finanziamento eccessivamente onerose;
j. Credito di fornitura modesto o inesistente (pagamento in contanti);
k. Cessazione dei pagamenti da parte di un cliente/debitore importante;
l. Integrazione di una partecipata in difficoltà.
1.2. Circostanze legate alla gestione aziendale:
a. Margine operativo insufficiente;
b. Capacità di autofinanziamento insufficiente;
c. Perdita di mercati fondamentali; riduzione del portafoglio ordini al di sotto della soglia di redditività;
d. Scomparsa di fonti di ricavi importanti direttamente o legate alle altre società del gruppo;
e. Perdita di licenze o brevetti, scadenza di un contratto di franchising, mancato rinnovo di concessioni o gestioni statali;
f. Interruzione di forniture di materie prime indispensabili;
g. Sottoutilizzo rilevante e continuato della capacità produttiva;
h. Oneri finanziari elevati.
1.3. Circostanze legate all’ambiente economico e sociale:
a. Distruzione di macchinari di produzione;
b. Conflitti sociali gravi e ripetuti;
c. Violazioni in materia ambientale;
d. Conflitti gravi presso clienti o fornitori importanti o serie difficoltà politiche nei loro Paesi;
e. Procedure giudiziarie o espropriative in corso;
f. Dipendenza dalla realizzazione di un singolo progetto;
g. Inadempimenti da parte di terzi o di controparti di contratti importanti (franchising, distribuzione, subfornitura);
h. Cambiamenti normativi o disegni di legge che possano impattare sull’attività aziendale;
i. Catastrofi naturali che impattano sull’azienda o su un terzo in relazione con la stessa.
1.4. Altre circostanze che possono compromettere la continuità aziendale in un orizzonte temporale più ampio:
a. Dissidio tra soci;
b. Assenza di ricambio di dirigenti anziani;
c. L’azienda opera in un mercato in declino;
d. Competenze tecniche considerate insufficienti;
e. Partenza di impiegati chiave;
f. Assenti o insufficienti spese in ricerca e sviluppo;
g. Obsolescenza dei macchinari;
Dall’elencazione di tali fattori emerge che le azioni per evitare situazioni di crisi devono in primis derivare dalle attività di direzione aziendale, che deve dotarsi di un sistema di “tableau de bord” adeguato a monitorare continuamente l’attività gestionale; naturalmente eventi “catastrofici” ovvero cigni neri non sono prevedibili con i normali sistemi di controllo. In questo caso sarà necessario attivare i vari canali che spesso sono messi a disposizione dalle autorità per evitare ulteriori peggioramenti della situazione.
La lettura delle diverse circostanze evidenzia che è l’amministrazione aziendale che deve monitorare la situazione, evitando che l’attività di routine prevalga su una analisi attenta dell’evoluzione dell’azienda in rapporto all’evoluzione del mercato.
Per quanto riguarda l’organo di controllo esterno, cui la nuova normativa pone obblighi nuovi, esso deve essere vigilante su ogni circostanza che possa compromettere la continuità aziendale, considerando soltanto i fatti più rilevanti e valutare se vi sia un insieme di fatti significativi e sufficientemente preoccupanti anche in considerazione del contesto in cui opera l’organizzazione.
È raro che un solo fatto possa compromettere la continuità aziendale (salvo incendio, catastrofi naturali, esproprio…), per cui chi controlla deve anche ponderare le circostanze sfavorevoli con eventuali accadimenti positivi che siano compensatori o che possano attenuarne la portata, derivanti dalle stesse azioni che il management interno può implementare.
In ipotesi di situazioni critiche, la stessa direzione aziendale potrebbe, con riferimento alle attività e passività, prevedere alcune azioni correttive, come:
a. Cessione di attivi non indispensabili;
b. Possibilità di differire il rinnovo delle immobilizzazioni o del magazzino;
c. Ricorso al leasing, lease back o alla locazione;
d. Utilizzo di linee di credito o possibilità di attivare finanziamenti straordinari, ricorso al factoring;
e. Possibilità di rinegoziare le scadenze dei debiti;
f. Rinnovo dei finanziamenti a scadenza;
g. Riduzione o soppressione della distribuzione di dividendi;
h. Aumento del capitale (eventualmente con l’ingresso di nuovi soci)
L’organo amministrativo, ma anche quello di controllo, per favorire la continuità aziendale, devono quindi ponderare le circostanze sfavorevoli con eventuali accadimenti positivi che siano compensatori o che possano attenuarne la portata.
In riferimento alle scelte gestionali si tratta di verificare la fattibilità di alcuni interventi, come:
a. Cessazione del ramo di azienda all’origine delle difficoltà aziendali;
b. Rinviare le spese di manutenzione o di ricerca e sviluppo;
c. Ridurre i costi generali e le giacenze di magazzino;
d. Aumentare i dividendi delle partecipate e i ricavi da attività non caratteristiche;
e. Ottenere sovvenzioni/contributi.
Va inoltre osservato che preliminare è l’attività del management aziendale che dovrebbe cercare di:
a. Sostituire rapidamente clienti e fornitori inadempienti
b. Trovare nuovi mercati di sbocco
c. Sostituire figure chiave.
2. Conclusioni
Nell’attuale contesto caratterizzato da profonde volatilità dei mercati dovute anche a scelte politiche in tema di commercio internazionale e non solo, emerge che la continuità aziendale richiede una gestione proattiva, in grado di condurre l’attività di gestione in un quadro di cambiamento continuo degli scenari.
Il forte sviluppo dell’IT, richiesto anche dalla necessità di essere compliant con nuovi adempimenti fiscali, quali quelli della fatturazione elettronica, deve essere visto come un’opportunità per dotare l’azienda di quei sistemi di controllo gestionali in grado di monitorare l’andamento aziendale anche in situazioni di forti variabilità dei mercati, coerente con l’evoluzione della normativa, che ha implementato l’istituto del sistema di allerta, per dar soluzione tempestiva a situazioni di criticità gestionali, ed evitare il peggioramento della situazione.
Naturalmente il successo di una tale innovazione risiede in un atteggiamento culturale, che trascende la sola dimensione economica dell’impresa, di generare reddito per gli azionisti, ma che fa sua una diversa concezione dell’impresa nel contesto in cui agisce. L’imprenditore è certamente responsabile nei confronti degli azionisti e degli investitori, ma lo è anche nei confronti dei lavoratori, dei fornitori, del mercato di riferimento, dei consumatori e in generale del sistema economico.
La prospettiva culturale sull’impresa responsabile deve trascendere quella di un capitalismo finanziario che ha aumentato le diseguaglianze e spesso anche i conflitti, ma deve essere quella di un capitalismo sostenibile, tenendo conto di un mondo multipolare, con diversi attori.
Il sistema di allerta introdotto dalla nuova normativa sul modello francese può tener conto che in quell’esperienza anche il consiglio di fabbrica, ovvero i dipendenti, devono farsi carico di favorire al continuità aziendale: l’impresa è una comunità e come tale prospera solo con la collaborazione di tutti.
Favorire un’adeguata informazione interna ed esterna è la sfida che l’impresa deve assumersi.
[1] L’esempio principale è quello della normativa francese, di cui all’art. L 234?1 (e L 612?3) Codice di Commercio, che prevede « Lorsque le commissaire aux compte d’une société anonyme relève à l’occasion de l’exercice de sa mission, des faits de nature à compromettre la continuité de l’exploitation de cette personne morale, il en informe le président du conseil d’administration… ».
[2] Commissione paritetica per i principi di revisione, CNDEC, Continuità aziendale – Documento n. 570, ottobre 2007, in www.commercialisti.it
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