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02 Maggio 2012 • di Paolo Bettiol

Cina: il contesto economico e istituzionale

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Questo secondo contributo ha come riferimento il paese cinese. Il 2011 è stato per la Cina un anno di forte crescita: il PIL è cresciuto del 10,3% superando le previsioni degli analisti. Lo sviluppo dell’economia cinese ha tratto notevole impulso dalle politiche economiche espansive, dallo sviluppo delle infrastrutture, dallo stabile incremento dei consumi interni e dalla ripresa della domanda esterna.

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Sommario

1. Indicatori principali
2. Overview
3. Investimenti esteri
4. Novità e accordi quadro
5. Fiscalità in breve

  

1. Indicatori principali

 

                      

 

                      

 

                       

 

 

 2. Overview

La Repubblica Popolare Cinese (PRC) fu fondata nel 1949 e il partito Comunista Cinese (CCP) è al potere sin da allora. Le riforme basate su un’economia di libero mercato, fin dal 1978, hanno trasformato la struttura dell’economia e innalzato gli standard di vita, ma politicamente la Cina rimane uno Stato a partito unico di stile marxista. I leader nazionali non sono eletti, ma provengono dalla struttura politico-burocratica del partito comunista.

I settori produttivi tradizionali dell’economia cinese sono rappresentati dall’agricoltura, fondamentale nell’economia cinese, dal settore manifatturiero, in fase di progressiva espansione, e da quello energetico. Nel corso degli ultimi anni la struttura economica cinese si è però progressivamente diversificata, fino a comprendere ormai tutti i principali settori produttivi. Di rilievo il settore dei servizi, con particolare riguardo a quello finanziario, assicurativo e commerciale. Nel 2008, inoltre, la Cina ha superato gli Stati Uniti per numero di utenti collegati a internet ed è sicuramente da annoverare tra i Paesi con maggiori potenzialità in termini di vendite on line.

Per quanto riguarda il rischio paese “Sace(nota) identifica il paese cinese con un rischio L3 stabile e distingue tra:

Rischio politico: la stabilità è garantita dalla centralità del Partito comunista cinese (CCP). Il 2012 sarà caratterizzato dalla delicata transazione politica. Sul piano internazionale, il Paese è impegnato nel consolidare le sue relazioni diplomatiche nel contesto internazionale.
Rischio economico: il rallentamento delle economie avanzate influisce negativamente sull’economia cinese, sia in termini di minore export sia in termini di minori IDE nel Paese. Il modello di sviluppo si sta sempre più orientando verso produzioni a elevato valore aggiunto e in investimenti in nuove tecnologie.
Rischio finanziario e operativo: la Banca Centrale Cinese ha recentemente rivolto la politica monetaria al sostegno e alla stabilizzazione della crescita. Il settore bancario è vulnerabile a shock esterni. Nonostante i progressi, il contesto operativo resta caratterizzato da elevata burocrazia e scarsa trasparenza(nota) .


3. Investimenti esteri

Grazie alle modifiche apportate a seguito dell’entrata nella WTO, il contesto per gli investitori esteri è migliorato notevolmente. La Cina ha gradualmente ridotto le restrizioni sulle transazioni con l’estero. Gli investitori esteri hanno libero accesso alla valuta estera per tutte le transazioni che hanno a che fare con le partite correnti (export, import, rimpatrio di capitali, profitti, ecc.).
L’apertura del Governo agli investimenti stranieri, il cambio favorevole, il costo della manodopera, la stabilità politica e la capacità imprenditoriale della classe dirigente cinese hanno attirato negli ultimi anni ingenti investimenti esteri. Questa situazione, oltre a permettere all’economia cinese di crescere, sta ridisegnando l’attuale scenario economico-produttivo spingendo molte aziende a spostare la propria produzione in Cina.
Tra i Paesi in via di sviluppo la Cina si trova al primo posto per quanto riguarda il flusso degli investimenti esteri, che negli ultimi anni è in costante aumento. La Cina è il primo fra i mercati emergenti per flussi di capitali in entrata. L’Italia è il quinto Paese nella UE per flusso d’investimenti diretti in Cina, dopo Regno Unito, Germania, Paesi Bassi e Francia.
L’investimento straniero è consentito in diverse forme. Per quanto riguarda le società a capitale straniero costituite in partecipazione con un socio, si possono contemplare due modalità d’investimento estero:

Equity Joint Venture (EJV)
Contractual Joint Venture (CJV).

La prima prevede che il partner straniero possieda almeno il 25% delle quote con un limite massimo del 99%; la seconda, invece, non prevede alcun limite minimo per la soglia di partecipazione estera. Altra forma è ancora quella della Wholly Owned Foreign Enterprise (WOFE), per la quale non si richiede alcun capitale minimo, la Foreign Investment Company limited by Shares (FICL) e la Holding Company (HC). Ad oggi la forma più diffusa rimane quella della Joint Venture.

La Foreign Industrial Guidance classifica ancora le attività d’investimento in: incoraggiate, ristrette e proibite, anche in considerazione della partecipazione o meno del partner locale. In particolare le ultime riguardano progetti che pregiudicano la sicurezza nazionale e/o l’interesse pubblico, progetti inquinanti o dannosi per l’ambiente, investimenti che utilizzano progetti o tecnologie cinesi a fini produttivi o altri indicati tassativamente ex lege. Inoltre si ricorda che la nuova normativa emanata nel novembre 2010 dal Ministero delle Case e per lo Sviluppo Rurale e Urbano prevede una restrizione dei possibili investimenti nel settore immobiliare da parte di privati e di organizzazioni straniere. Per queste ultime si prevede la possibilità di acquistare solo immobili non destinati a uso abitativo per le attività lavorative nella città in cui sono registrate.

Le future politiche riguardanti l’utilizzo degli investimenti diretti stranieri sono volte a promuovere una crescita equilibrata delle regioni, in modo da garantire uno sviluppo armonioso delle stesse. Nel 2009, il Ministero del Commercio ha promosso un’iniziativa della durata di 5 anni, per agevolare lo sviluppo delle regioni centrali e la canalizzazione degli investimenti diretti in queste aree.


4. Novità e accordi quadro

Uno dei maggiori investitori istituzionali della Cina è l’Asian Development Bank (ADB). Fino al 2010 l’ADB aveva effettuato 169 prestiti per un totale di circa 23 miliardi di dollari. I settori verso i quali si sono indirizzati il maggior numero di interventi sono: trasporti e ICT, energia, acqua, agricolture e altre risorse naturali. L’ultima Country Partnership Strategy (2008-2010) dell’ADB per la Cina prevedeva prestiti per 3 miliardi di dollari più altri interventi di assistenza tecnica ed era principalmente incentrata su: protezione ambientale urbana; efficienza energetica e riduzione delle emissioni; conservazione delle risorse naturali; ferrovie efficienti dal punto di vista energetico; trasporti urbani; manutenzione delle strade.

La Cina ha sottoscritto con l’Italia i seguenti trattati:
• legge nr. 376 del 31 ottobre 1989. Ratifica ed esecuzione dell’accordo tra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica popolare cinese per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, con protocollo, firmato a Pechino il 31 ottobre 1986 (S.O. alla Gazz. Uff. n. 274 del 23 novembre 1989) ed entrata in vigore il 13 dicembre 1990;
• accordo in materia di promozione e reciproca protezione degli investimenti. L’accordo, firmato a Roma nel gennaio 1985, è stato ratificato il 3 marzo 1987 ed è entrato in vigore il 26 marzo 1987. I principali aspetti contemplati dall’accordo riguardano il riconoscimento del trattamento della nazione più favorita e il riconoscimento dell’indennizzo in caso di esproprio o nazionalizzazione;
• accordo di cooperazione tra l’Italia e la Cina. L’accordo, entrato in vigore il 19 maggio 1994 (Gazzetta Ufficiale n. 143 del 21 giugno 1994), prevede forniture di beni, costituzione di società miste, cessione di brevetti, licenze, “know-how” e tecnologie, scambi di personale e di visite.


5. Fiscalità in breve

La Company Law del 1993, modificata nel 1999, nel 2004 e nel 2005, in vigore dal 1 gennaio 2006, contiene la disciplina delle società di capitali in Cina.

L’attuale regime fiscale è il risultato di due principali riforme: quella che ha unificato l’aliquota delle imprese locali e delle Foreign Invested Enterprises (FIE), introdotta con l’Enterprise Income Tax Law del 2007 in vigore ormai dal primo gennaio 2008, e quella del primo gennaio 2009, che ha trasformato il regime dell’IVA e la Business Tax.
Le società a capitale straniero (FIE, Foreign Invested Enterprises), sono regolate da leggi speciali, ma qualora non vi siano normative specifiche, sono regolate dalla disciplina contenuta nella citata Company Law. Dal 2010, alle singole persone e alle società straniere è permesso di costituire una società semplice nel territorio della Cina, con procedura più agevole e facile e con meno limitazioni. Le FIE sono generalmente società cinesi con almeno il 25% di capitale straniero e possono condurre la loro attività in accordo con lo scopo del loro business plan approvato dal Governo.

Nell'ottica di attirare investitori stranieri in determinati settori considerati di interesse strategico, la Cina continua a offrire incentivi fiscali a progetti nei settori della protezione ambientale, dello sviluppo dell'agricoltura, della conservazione delle risorse idriche e dell’alta tecnologia.
Le FIE nei settori dell'alta tecnologia possono beneficiare della riduzione al 15% dell’aliquota della Corporate Income Tax. Nel caso di Shanghai, per essere ammessi a tale beneficio le imprese attive nei settori dell’alta tecnologia devono farne specifica richiesta alla Science and Technology Commission del distretto nel quale è localizzato l’investimento, la quale a sua volta la trasmette alla Science and Technology Commission della Municipalità di Shanghai. Se la richiesta è accolta l’impresa otterrà il rimborso di tutte le tasse pagate in eccesso rispetto all’aliquota ridotta, e a partire da allora le sarà riconosciuto lo status di azienda ad alta tecnologia e il diritto all’incentivo per 3 anni, al termine dei quali l’impresa dovrà verificare con una nuova richiesta se il proprio status è confermato.
Le società residenti sono soggette a imposta per i redditi ovunque prodotti. L’aliquota generale applicabile è pari al 25%. Per alcune imprese a basso reddito che soddisfano determinati requisiti in termini di asset, reddito imponibile e numero di dipendenti, l’aliquota è ridotta al 20%. Le società che fino al 2008 erano assoggettate ad un’aliquota inferiore sono sottoposte ad imposta con aliquote progressivamente maggiori fino al 2012, quando sarà applicata l’aliquota generale del 25%. Le società non residenti sono soggette ad imposta sui redditi esclusivamente prodotti in Cina.

L’Iva è imposta con aliquota ordinaria del 17%. Possono trovare applicazione aliquote ridotte in funzione di determinati beni di categorie di contribuenti. La Business Tax è calcolata sul fatturato d’impresa con percentuali variabili dal 3% al 20% in base al tipo di servizio.

Per quanto concerne la disciplina doganale c’è da ricordare che l’uso di barriere tariffarie e non (prevalentemente nella forma di controlli, quote e licenze) sulle importazioni e in misura ridotta sulle esportazioni, è stato largamente diffuso in Cina quale strumento di politica commerciale. Tuttavia, l’ingresso del Paese nella World Trade Organisation ha determinato un progressivo abbassamento delle tariffe doganali, rappresentando un fondamentale passo verso la più ampia e generale liberalizzazione del commercio e degli investimenti in Cina. Le principali implicazioni sono state: la progressiva riduzione dei dazi doganali per tutti i prodotti; la progressiva eliminazione, nel 2005, del sistema delle quote in tutti i settori e particolarmente per quanto previsto dal Multifiber Agreement, relativamente a Stati Uniti ed Europa; la progressiva liberalizzazione degli investimenti stranieri in più settori dell’economia. La fonte principale di regolamentazione del sistema doganale cinese è la Custom Law del 22 Gennaio 1987 (e successive modifiche).

I dividendi corrisposti ai non residenti sono soggetti a ritenuta alla fonte del 10%, salvo applicazione di minore aliquota convenzionale. I dividendi corrisposti da società a capitale straniero e derivanti da reddito prodotto antecedentemente al 1° gennaio 2008, non sono assoggettati a ritenuta. Una ritenuta del 10% è altresì applicata sugli interessi in uscita e sui canoni in uscita salvo applicazione di minore aliquota convenzionale.
C’è da ricordare che nel corso del 2009 è stata introdotta la “Implementation Measures of Special Tax Adjustment” che affronta la materia dei prezzi di trasferimento. Il documento di prassi fissa l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione della disciplina, dispone l’assolvimento di obblighi documentali e fornisce chiarimenti procedimentali sugli advance pricing arrangements. Inoltre, la circolare si sofferma sul potenziale impiego elusivo che può esser realizzato tramite manovre sui prezzi di trasferimento, con particolare riferimento alle fattispecie che implicano transazioni con società consociate in “paradisi fiscali”.
Le norme sulla "thin capitalization" stabiliscono il limite "fisiologico" del rapporto debt/equity pari a 2 ad 1, eccezion fatta per le imprese operanti nel settore finanziario per le quali il rapporto può spingersi fino a 5 ad 1. Inoltre la circolare di riferimento del 2009 fissa la documentazione che il contribuente deve predisporre al fine di comprovare la conformità all'arm's length.
La disciplina sulle “Controlled Foreign Companies” cinese stabilisce l'imputazione per trasparenza alle società residenti in Cina dei redditi conseguiti dalle proprie partecipate estere residenti in Paesi nei quali l'onere fiscale effettivo sia sostanzialmente inferiore a quello cinese. La norma di riferimento fissa le esimenti all'applicazione della disciplina, sostanzialmente riconducibili: all'esercizio da parte della controllata estera di un’effettiva attività economica o al mancato superamento da parte della Cfc di una soglia minima di reddito pari a 5 milioni di Rmb.

Infine ricordiamo che in Cina è in vigore una norma generale antielusiva che trova applicazione sia nei casi di abuso di un regime agevolativo, sia nell'utilizzo delle convenzioni contro le doppie imposizioni (treaty shopping), sia nell’utilizzo di paradisi fiscali; quindi il campo di azione della norma in oggetto viene esteso a tutti i casi in cui il risparmio d'imposta conseguito non sia giustificato da un "reasonable business purpose".
 

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