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08 Giugno 2020 • di Marco Minossi

Ripartire senza Esitare con le "Best Practices": il contributo fondamentale della Vision sull'Export per le P.M.I.

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Non basta pensare di ripartire, le circostanze economiche in cui ciò avviene richiedono un ripensamento radicale delle metodologie di business, della scelta e fidelizzazione dei clienti e dei partner distributivi, per non subire il depauperamento del patrimonio di business in emergenze che si preannunciano potersi ripetere, come stiamo bruscamente imparando.

La messa in sicurezza della massa critica aziendale, patrimoniale, delle operazioni e potenzialità costruite a livello commerciale, rende necessaria una gestione fatta di tutele contrattuali, assicurative, finanziarie, logistiche, in cui anche gli attori esterni all’ impresa vengano chiamati a “fare quadrato” per uno sviluppo ed un interesse comuni, secondo schemi percorribili e condivisi. Il punto di partenza per riprendere a lavorare nel modo corretto, è a nostro avviso quello di recuperare per prime le “good practice” che già conoscevamo o intuivamo, e che per motivi non meglio comprensibili adottavamo con convinzione scarsa o nulla.

Non avrebbe senso ritrovarsi, da oggi a qualche mese, ad aver recuperato qualcosa, mentre ne avrà – con peso determinante – il ritrovarsi più forti, più solidi e preparati. Per le PMI e per il sistema-Paese stesso.

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Non limitarsi a limitare i danni, non accontentarsi di ricucire, incollare o rimettere in modo (scegliamo la metafora che più ci piace, tanto sono tutte inadeguate), bensì imporsi di cambiare. Di realizzare il cambiamento realistico, che significa adottare, una volta per tutte, alcune “best practice” che già conosciamo, e l’utilizzo delle quali solo per ingiustificato alibi rimandavamo. Adottare con convinzione e perseveranza accorgimenti strategici.

Il primo, a nostro avviso, è quello per il quale le transaction, le operazioni commerciali, sono da riconvertire in Long-term-business-relationship, con il funzionale supporto della contrattualistica internazionale idoneamente progettata, e adottata sempre nella forma scritta. Manager ed economisti mutino la prospettiva, e gettino le basi per il business a lungo termine avvalendosi del supporto dei giuristi d’impresa, nel nuovo modus operandi.

Chi scrive, non raccoglie tanto l’invito – pur di moda - a prevedere accuratamente la causa di forza maggiore (Act of God), perché essa rappresenterà comunque la contrattualizzazione di un rischio da cui ci si protegge sì, ma che può a sua volta essere subìto a freddo, poiché ogni emergenza ha ormai un impatto planetario immediato. Si strutturi invece con molta prudenza e cura, nella conoscenza, (“mindness”) la difesa dal rischio di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship), per il semplice fatto che, per dirla in forma breve ma efficace, quest’ultima i contratti permette di rinegoziarli, non li elimina, come al contrario fa la prima.

Cerchiamo degli appoggi autorevoli nei modelli di questa clausola della ICC, Camera di Commercio Internazionale, e nelle recenti certificazioni da Decreto Cura Italia, ma non prima di aver previsto nel testo contrattuale la prevenzione delle ipotesi di minaccia ai nostri rapporti di business, per come esso è previsto svolgersi nella sua specificità.

Si è visto e capito peraltro – in particolar modo da parte di chi ha i suoi terzisti e sub-contractors in Cina - che del certificato camerale italiano che cerca di sollevare dalle responsabilità da inadempimento per forza maggiore, l’impresa italiana ci fa poco, senza un efficace impianto contrattuale alla base, mentre l’attestazione governativa cinese della forza maggiore ha inchiodato i tempi di consegna e i pagamenti che sono dovuti ai fornitori esteri. Paradossalmente, imprese italiane che non riescono ad incassare, vedono anche bloccarsi gli incassi previsti e pattuiti dalla Cina: riflettiamo dunque sul peso giuridico dell’Italia nell’economia del commercio mondiale, per il futuro immediato, e diamo il nostro contributo pratico a renderlo più consistente ed autorevole di quanto non sia da sempre, in particolare in questo momento. La conoscenza applicata della contrattualistica internazionale è fondamentale anche a tale scopo.

Sulla certezza e garanzie dei pagamenti, gli strumenti extracontrattuali quali crediti e garanzie documentari, ed assicurazioni dei crediti, dovranno prevalere sulle consuete formule delle penali e dei liquidated damages (il nome che viene dato alle penali stesse nella Common Law per renderle ammissibili nel contratto tra aziende). Il pagamento anticipato, già in affanno, e già contrario da sempre alle buone pratiche del marketing come accorgimento, è previsto scomparire del tutto, per ovvie ragioni di livello medio decrescente della liquidità immediata internazionale, se non a fronte di sconti non corretti, o di utilizzo delle garanzie internazionali advance payment bond di pari importo, che fanno uscire dalla finestra quel beneficio finanziario che era entrato dalla porta.

Soprattutto, si inserisca questo ed altro (ad esempio portare i termini di consegna sempre meno sull’Incoterm “Ex Works – franco partenza”, e sempre più su uno del gruppo C o D, che significa prendersi in carico la cura del trasporto a destinazione) e lo si attui in un quadro di obblighi e di rimedi efficaci in quelle che sono le condizioni normali di esecuzione del rapporto, non solo in quelle straordinarie, e con una linea di scontistica che serva a premiare la pianificazione strategica condivisa, piuttosto che a penalizzare i margini, a sminuire il marchio, e nulla più.

Tale metodo non varrà solo con i clienti, ma anche nei rapporti di lavoro e di collaborazione con i partner (sì, quelli che chiamavamo “fornitori di servizi”): tre su tutti, Spedizionieri per la logistica (soprattutto perché ci si dovrà sempre più decisamente orientare il business al Far East), Banche e Crowdfunding, giacché le alternative alla finanza tradizionale non potranno essere, per le PI, né la Borsa, né l’AIM (il mercato azionario sempre ufficiale, regolamentato, ma più piccolo), né i fondi di private equity, ma neppure i mini bond, per i quali invece si intravede una prospettiva rosea per le MI, le medie imprese.

Sull’attrattività della piccola azienda per il Private Equity, le eccezioni potranno essere peraltro costituite dai requisiti di avere un buon know-how, una storia consolidata, ma una situazione finanziaria problematica: chi scrive ne ha vissute più di una, ed aiutate a rimettersi in sesto passando per un rilancio commerciale sull’estero. In ogni caso, questo tipo di accesso alla finanza viene solo subìto, ma non può essere mai considerato dall’ imprenditore come un rimedio, anche perché ne conseguirebbe con molte probabilità una limitazione della governance e della managerialità proprietarie. A livello macroeconomico sarebbe una soluzione accettabile, ovviamente, ma molto spesso la perdita del potere decisionale originario snatura l’identità dell’azienda, e a volte anche il successo del “trapianto” di capitali e competenze esterne: attenzione a questo aspetto reale!

Occorrerà il nuovo approccio di fare accordi nuovi anche con i finanziatori quindi, sempre in forma scritta, perché il dilettante parla, il professionista scrive, e non sempre ce ne siamo ricordati; non semplicemente compilare istruttorie, quanto soprattutto presentare progetti, e poi implementarli con i sotto-progetti man mano (secondo il metodo del Project Management), iniziative che siano reciprocamente interessanti e convincenti (si chiamava Business Plan, ricordi?). Il criterio prevalente deve diventare quello per cui il finanziatore avverte fin da subito la profittabilità che ne verrà anche per lui: nessuna falsa speranza o tattica d’altro genere deve condizionare l’impresa che ha bisogno di essere finanziata, e nessuna cultura dell’alibi e della frustrazione dovrà essere esternata, che veda nel diniego una manifestazione di insensibilità e di incomprensione da miopìa, o di discriminazione a causa della piccola dimensione del richiedente.

Un esempio tra i tanti, ma particolarmente significativo in un focus sull’export, è quello di costruire un certo progetto proprio con l’obiettivo di cominciare ad esportare, e di strutturarsi per farlo. Il consiglio che diamo ad una piccola impresa che intenda realizzare tale strategia, è quello di passare per il canale Simest (la merchant bank del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti). Essere capaci di farsi considerare finanziabili in termini di soft-loan, 50% a fondo perduto su programmi di attività commerciali ordinarie di presenza all’estero (come da strumento nuovo disponibile entro maggio 2020, che segnaliamo qui in anteprima) , e poi di patrimonializzazione, di investimenti in equity e di supporto al credito all’esportazione, significa saper dimostrare di avere solidità e competenze per avvalersi di quel supporto pubblico che troppo spesso sminuiamo. Pensare al contrario, cioè che ci debba essere una sorta di gratuità finanziaria nei nostri confronti per farci poi crescere, ha dimostrato da tanto tempo di non servire a nulla.

Sempre sul fronte degli approvvigionamenti finanziari, nessun commercialista o professionista della finanza non bancaria verrà più perdonato – e giustamente - per non aver saputo intercettare, istruire, utilizzare e rendicontare i finanziamenti dei fondi strutturali UE, sia su base regionale, che direttamente su Bruxelles: sono già da ora gli unici strumenti di sovvenzione e di credito agevolato per gli investimenti che contano.

E poi, viene il Marketing: act inbound, think outbound, ci sentiamo di esortare. Si consiglia cioè al piccolo imprenditore di diventare, egli ed i suoi collaboratori, la Landing Page dell’azienda stessa nella comunicazione (tutte le figure e non solo i “front”, e non tanto perché la distinzione con la funzione “desk” è stata appiattita ormai da due mesi dal remote working); la cultura della piccola impresa dovrebbe definitivamente abolire la distinzione tra clienti attivi e prospect, parlare, ragionare ed agire (lo sforzo di attrazione e di fidelizzazione) unicamente di Lead, di contatti qualificati, da non dare mai per acquisiti, neppure dopo che confluiscono nell’elenco dei clienti attivi, ma che sono tali solo da un punto di vista amministrativo.

E si devono costruire, certo, delle landing page continue nel sito, nella e-mail, nelle interazioni social e su mobile, che non lascino mai indifferente NESSUNO di coloro che fa parte della comunità degli Stakeholder. Abolire il pregiudizio di differente peso dell’impatto attrattivo e reputazionale che c’è, ad esempio, tra un cliente ed un membro o istituzione della comunità locale; tra un fornitore ed un istituto di credito, eccetera. Tutti i portatori di un interesse verso l’impresa devono essere considerati importanti, essenziali, da quest’ultima.

Nell’ interfacciarsi ai clienti, va tenuto presente che il concetto di semplice presentazione (catalogo o sito istituzionale statico) è autoreferenziale, non distintivo, e proietta l’approccio aziendale sul versante commerciale, quello in cui il fattore-prezzo comanda: e qui o si é un cost-leader, o si perde tempo. Creare contenuti, invece, corrisponde a creare valore, ad agire manovrando la leva del Marketing. Un nome solo per tutto questo, per costruirlo e consolidarlo di continuo, dove i due concetti si confondano, e dove di mixano anche le attività off-line e quelle di automation? Quello di cui non si dovrà e non si potrà più fare a meno: CRM, che corrisponde nel digital marketing a quando dicevamo rispetto al management off-line: che il vero Managing Director, e quindi l’azienda virtuosa, ragionava “in excel”. Ora invece l’approccio CRM, piattaforma in-cloud-di Customer Relationship Management, è quello che deve permeare di sé ogni aspetto dell’attività d’ Impresa, come felice sintesi tra la parte operativa e quella strategica.

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