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Fiscalità internazionale

28 Settembre 2012 • di Paolo Bettiol

Residenza e trasferimento delle persone fisiche

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La necessità di individuare la residenza di una persona fisica discende dal diverso criterio utilizzato per tassare i soggetti residenti rispetto ai non residenti. L’art. 3, comma 1, del D.P.R. 917 del 1986 stabilisce che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti e per i non residenti da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.

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Sommario

  1. Introduzione
  2. La residenza delle persone fisiche
  3. Il principio di tassazione su base mondiale e il criterio per le imposte pagate all’estero
  4. Tassazione dei soggetti non residenti
  5. Il trasferimento della residenza in un “paese a fiscalità ordinaria”
  6. Il trasferimento della residenza in un “paese a fiscalità privilegiata”

  

1. Introduzione

L’individuazione dei soggetti passivi ai fini delle imposte sui redditi avviene sulla base di criteri di collegamento tra il singolo contribuente e l’ordinamento giuridico dello Stato che manifesta la propria pretesa impositiva.
Generalmente ci si trova di fronte a una situazione di evidente contrasto per il contribuente che deve rispondere alle richieste impositive motivate, da un lato, dal criterio di residenza, in base al quale ciascun Stato ha il potere di tassare i soggetti residenti per tutti i redditi ovunque prodotti dagli stessi (cosiddetto principio di tassazione su base mondiale o worldwide principle), mentre, dall’altro, dal criterio di territorialità che legittima la pretesa impositiva del Paese nei confronti dei soggetti non residenti per i redditi da questi prodotti all’interno del proprio territorio.
Esiste poi un terzo criterio (accolto nel sistema tributario statunitense), che obbliga a versare le imposte nello Stato in cui si è cittadini, indipendentemente dalla sussistenza di un collegamento territoriale effettivo con la madre patria.


2. La residenza delle persone fisiche

Negli ordinamenti fiscali degli Stati più evoluti si osservano definizioni più o meno chiare della nozione di residenza fiscale; tuttavia, non sono rari i casi in cui la stessa sia rimandata alla prassi o alla giurisprudenza. Il legislatore italiano ha scelto di elaborarne una rigida definizione e con l’art. 2, comma 2, del D.P.R. nr. 917/1986 ha individuato tre elementi fondamentali ed alternativi:
a) iscrizione nelle Anagrafi della popolazione residente;
b) il domicilio in Italia ai sensi del codice civile;
c) la residenza in Italia ai sensi del codice civile.

Tali elementi sono accumunati da un requisito temporale, rintracciabile nella locuzione “per la maggior parte del periodo d’imposta”, vale a dire il perdurare delle suddette situazioni giuridiche per più di 183 giorni nel corso dell’anno. Tale periodo può anche essere non continuativo, come precisato dal Ministero delle Finanze: in tal senso si esprime la Circolare nr. 201 del 17 agosto 1996, secondo cui il computo dei giorni al fine della verifica della permanenza in Italia deve essere effettuato tenendo presente il numero complessivo dei giorni di presenza fisica.

 

3. Il principio di tassazione su base mondiale e il criterio per le imposte pagate all’estero

L’applicazione del world wide principle comporta a carico dei soggetti considerati fiscalmente residenti in Italia l’obbligo di presentazione della dichiarazione per tutti i redditi, ancorché prodotti in altri paesi, conseguiti nel corso del periodo d’imposta: ben si può comprendere quale sia lo svantaggio per un soggetto residente in Italia che svolge un’attività in un altro paese, il quale si trova a dover soddisfare le richieste impositive contemporanee di due Stati (c.d. fenomeno della doppia imposizione giuridica).
Per assicurare la neutralità fiscale alle scelte operative del contribuente italiano che opera a livello transnazionale, il Legislatore ha concepito un metodo di eliminazione della doppia imposizione, atto a evitare che un soggetto residente che opera all’estero sia penalizzato rispetto a un soggetto residente che opera all’estero sia penalizzato rispetto a un soggetto residente che svolge la stessa attività solo all’interno dello Stato. L’art. 165, comma 1, T.U.I.R. dispone infatti, che: “se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”.
Il reddito prodotto all’estero deve cosi essere rideterminato secondo la normativa nazionale e deve essere incluso nella base imponibile complessiva. Dall’imposta lorda potranno essere portate in detrazione le imposte già pagate all’estero a titolo definitivo (nota) , fino a concorrenza della quota d’imposta italiana relativa ai redditi prodotti all’estero che corrisponde al rapporto tra redditi esteri e reddito complessivo netto del contribuente.
Un semplice esempio potrà chiarire le modalità del calcolo necessario per determinare l’ammontare del credito fruibile dal contribuente.

Si ipotizzi che una persona fisica residente in Italia abbia realizzato nel corso del 2009 un reddito complessivo al netto di eventuali perdite pregresse di 30.000 Euro, di cui 10.000 sono stati conseguiti all’estero dove è stata pagata un’imposta, a titolo definitivo, di 2.000 Euro. Per determinare fino a che limite l’imposta estera è detraibile dall’IRPEF dovuta in Italia, pari a 6.000 Euro, si deve determinare il rapporto tra il reddito prodotto all’estero e il reddito complessivo. Ne consegue che l’imposta già versata all’estero è interamente detraibile dall’IRPEF dovuta in Italia. Se, a parità di reddito, l’imposta estera fosse superiore, ad esempio 2.500 Euro, il contribuente italiano si potrebbe detrarre solo fino al limite massimo individuato di 2.000 Euro con la possibilità riconosciuta al contribuente di riportare in avanti (o a seconda dei casi all’indietro) il credito per le imposte pagate all’estero inutilizzato per incapienza.

Il comma 6 dell’art. 165, infatti, prevede la possibilità di riportare in avanti (carry forward) e indietro (carry back) l’imposta estera pagata a titolo definitivo eccedente la quota d’imposta italiana relativa al reddito prodotto nello stesso Paese.
Nel caso in cui, invece, l’imposta versata all’estero fosse inferiore a quella prevista in Italia, il contribuente sarebbe tenuto a versare la differenza nei limiti della maggiore imposta dovuta.
Rispetto alla vecchia normativa (art. 15 del DPR 917/1986) il nuovo Testo Unico delle imposte sui redditi considera il reddito imponibile non più al lordo di eventuali perdite pregresse ma al netto delle stesse. Questa differenza appare comunque più formale che sostanziale, perché, anche se ciò dovesse apportare un beneficio in capo al contribuente relativamente al credito d’imposta sui suoi redditi esteri, il limite massimo di detraibilità delle imposte estere continuerebbe a essere costituito dall’ammontare dell’imposta italiana dovuta sui redditi di fonte estera.

Merita una particolare attenzione, anche alla luce della riforma del nuovo Testo Unico, il concetto di definitività dell’imposta pagata all’estero. Infatti il precedente art. 15 del DPR 917/1986 sanciva che le imposte pagate all’estero erano considerate detraibili dall’imposta italiana solo se esse erano divenute “irripetibili” ossia non più modificabili (ad esempio vanno escluse le imposte versate a titolo di acconto o le imposte pagate in via provvisoria o quelle suscettibili di essere chieste a rimborso totale o parziale) e solo se pagate nel periodo d’imposta a cui si riferivano.
Questo concetto della definitività delle imposte pagate all’estero, con la nuova riforma fiscale viene modificato con l’introduzione da parte del legislatore italiano del principio di competenza. Il comma quattro dell’art. 165 stabilisce che le imposte pagate all’estero possono essere portate in detrazione alle imposte dovute dal contribuente italiano se queste sono state pagate entro i termini per la dichiarazione dei redditi in Italia. Si è passati da un principio di cassa a un principio di competenza, quindi dalla definitività e detraibilità delle imposte estere intesa come pagamento delle stesso entro il periodo d’imposta fiscale a cui si riferiscono, alla definitività e detraibilità delle imposte estere intesa come pagamento delle stesso entro i termini per la dichiarazione fiscale in Italia.

 

4. Tassazione dei soggetti non residenti

Per quanto riguarda i soggetti che non sono residenti in Italia, l’applicazione del principio di territorialità di cui all’art. 3, comma 1, T.U.I.R. , implica l’assoggettamento a imposta per tutti i redditi prodotti nel territorio dello Stato.
In assenza di diverse disposizioni contenute in una convenzione contro le doppie imposizioni sottoscritta tra l’Italia e il paese di residenza del soggetto estero(nota) , l’art. 23 del T.U.I.R. stabilisce che si considerano prodotti nel territorio dello Stato:

  1. i redditi fondiari;
  2. i redditi di capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti, con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali;
  3. i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato;
  4. i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato;
  5. i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni;
  6. i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti, con esclusione:
    1. delle plusvalenze di cui alla lettera c-bis) del comma 1, dell’articolo 67, derivanti da cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti negoziate in mercati regolamentati, ovunque detenute;
    2. delle plusvalenze di cui alla lettera c-ter) del medesimo articolo derivanti da cessione a titolo oneroso ovvero da rimborso di titoli non rappresentativi di merci e di certificati di massa negoziati in mercati regolamentati, nonché da cessione o da prelievo di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti;
    3. dei redditi di cui alle lettere c-quater) e c-quinquies) del medesimo articolo derivanti da contratti conclusi, anche attraverso l’intervento d’intermediari, in mercati regolamentati;
  7. i redditi di cui agli articoli 5, 115 e 116, con riferimento quindi ai redditi derivanti dalla partecipazione in società di persone o di capitali che abbiamo optato per il regime della trasparenza e siano pertanto imputabili a soci, associati o partecipanti non residenti.

 

5. Il trasferimento della residenza in un paese a fiscalità ordinaria

Sulla base della definizione di residenza accolta nel Testo Unico, la cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente e l'iscrizione all'AIRE (anagrafe degli italiani residenti all'estero)(nota) non comporta necessariamente la perdita della residenza fiscale in Italia. A differenza dell'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente, che, come sappiamo, costituisce presunzione assoluta ai fini della qualificazione come soggetto residente, l'iscrizione all'AIRE è suscettibile di prova contraria da parte dell'Amministrazione Finanziaria, che può dimostrare come il soggetto abbia mantenuto in Italia il domicilio o la dimora(nota) .
Proprio i concetti di domicilio e dimora molto spesso sono condizionati nella determinazione della residenza a fronte di un formale trasferimento e quindi cancellazione dall’anagrafe tributaria.
Come detto in precedenza, rileva quindi il luogo nel quale un soggetto mantiene il “centro dei propri interessi familiari e sociali”, anche qualora lo stesso si sia fisicamente trasferito all’estero o ivi presti la propria attività professionale.
A tale proposito la Circolare nr. 9/E del 26 gennaio 2006 ha chiarito che qualora la famiglia del soggetto dimori in Italia, la residenza del soggetto stesso è l’Italia e tale considerazione dovrebbe portare ad un’attenta riflessione innanzi a quei numerosi casi, resi talvolta celebri dalla notorietà dei soggetti interessati, nei quali con troppa facilità si trasferisce la residenza all’estero, omettendo di considerare l’ubicazione della famiglia, come più in generale delle relazioni personali, quale elemento discriminante per dimostrare l’effettiva residenza all’estero.
Tale tesi è stata di recente ripresa dall’Amministrazione attraverso la Risoluzione nr. 351/E del 7 agosto 2008, nella quale si ribadisce come i “motivi di lavoro” che portano al trasferimento all’estero del soggetto non sono tali da determinare il trasferimento della residenza a fini fiscali, qualora i legami familiari o il centro dei propri interessi patrimoniali e sociali permanga in Italia. Al fine di definire la controversia in esame tra Regno Unito e Italia, l’Amministrazione ha precisato che la sussistenza dello status di “residente” non si può verificare e dimostrare in sede d’interpello, quanto piuttosto in sede di accertamento, poiché è propedeutico l’esame delle relazioni personali e sociali con il territorio dello Stato.
In ogni caso a fronte di un effettivo trasferimento di residenza in uno stato estero da parte di un soggetto in precedenza residente in Italia, che non sia considerato “imprenditore”, la normativa interna non prevede alcuna exit tax.

 

6. Il trasferimento della residenza in un “paese a fiscalità privilegiata”

L’attenzione dell’Amministrazione per questa fattispecie è spesso dovuta al timore che il trasferimento della residenza all’estero da parte delle persone fisiche sia funzionale al conseguimento di un risparmio d’imposta, che si verifica nel caso in cui il paese di destinazione abbia un livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello italiano. I cosiddetti “paradisi fiscali” devo il loro appeal proprio alla tassazione di favore, elemento che ha indotto il legislatore ad introdurre una presunzione legale relativa per cui viene considerato residente in Italia, salvo prova contraria, il soggetto persona fisica italiano che trasferisca la propria residenza in uno di questi territori. In sostanza il legislatore ha invertito l’onere della prova portandolo a carico del contribuente.

Il comma 2-bis dell’art. 2 T.U.I.R.(nota) prevede che “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare in Gazzetta Ufficiale(nota)
La Legge finanziaria per l’anno 2008 ha riformulato questo comma ed altri del Testo Unico, modificando ogni riferimento alle black list e prevedendo l’introduzione di white list di futura emanazione, nelle quali saranno individuati i paesi cosiddetti “virtuosi” ossia quelli a fiscalità ordinaria. Nel caso del comma 2-bis dell’art. 2, infatti, precedentemente ci si riferiva ai paesi considerati “paradisi fiscali”, identificati sulla base di un’apposita lista redatta dal Ministero delle Finanze con Decreto del 4 maggio 1999.
Scopo di questa disposizione antielusiva è quello di ostacolare i casi di trasferimento fittizio in paesi a fiscalità privilegiata, effettuati al solo scopo di evadere gli obblighi tributari in Italia. Il contribuente che intende trasferirsi in uno dei paesi indicati nell'apposita black-list, fintanto che non saranno pubblicate le white list, dovrà quindi dimostrare l'effettivo trasferimento del proprio domicilio e della propria residenza ai sensi del Codice Civile, utilizzando "qualsiasi mezzo di prova di natura documentale o dimostrativa, atto a stabilire, in particolare:

  • la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell'eventuale nucleo familiare;
  • l'iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del paese estero;
  • lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso paese estero, ovvero l'esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;
  • la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel paese di immigrazione;
  • fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel paese estero;
  • la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel paese estero e da e per l'Italia;
  • l'eventuale iscrizione nelle liste elettorali del paese d'immigrazione;
  • l'assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, ecc.;
  • la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo"(nota) .

Per superare la presunzione relativa posta dal comma 2-bis non è pertanto sufficiente dimostrare che il proprio domicilio e residenza non si trovano più in Italia, essendo necessario provare che il proprio centro di interessi e la propria dimora abituale si trovano nello stesso luogo in cui il contribuente si è trasferito(nota) .
 

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