Cultura aziendale
e tecniche di gestione

Login utenti

Password dimenticata?

Management e marketing

Risorse umane e motivazione

26 Maggio 2011 • di Fabrizio Micozzi

Perché un nuovo umanesimo per le nostre PMI?

effettua il login per scaricare il pdf

mi piace

In questo mio breve contributo, in cui condenso, peraltro, riflessioni maturate nel corso della mia esperienza professionale, sempre in contatto con le PMI, pongo il tema di una ridefinizione di una scala di ideali qualità aziendali, che (ri)metta al vertice ciò che veramente crea e distrugge valore nelle aziende: il fattore umano

Commenta (0 presenti)

 

Sommario

  1. I problemi delle PMI italiane: un approccio alternativo
  2. La risorsa umana come investimento morale
  3. La necessità di un nuovo umanesimo
  4. Tecnologia, felicità e valore degli uomini

  

1. I problemi delle PMI italiane: un approccio alternativo

Quando s’indagano, in un tentativo di sintesi, i problemi più comuni delle PMI italiane, sovente ci sentiamo ripetere termini quali “scarsa internazionalizzazione”, “carente ricerca e sviluppo”, “fiscalità oppressiva”, “incoerente utilizzo della grande rete”, “scarsa capitalizzazione” e via dicendo.
Indubbiamente, tra fattori esogeni e cause interne aziendali, gli elementi suddetti ben si prestano a calamitare l’attenzione su ragioni in qualche modo oggettivizzabili.
Senza disconoscere quanto accennato, credo che tutto ciò configuri un quadro carente di un’indagine di tipo sistemico e tento di spiegare il perché.

Nel percorso comune delle nostre vite, ci viene spesso insegnata la tematica dei rapporti umani e del connesso valore relazionale: nello sport, nello studio, in ambito religioso e così via impariamo a organizzare i nostri rapporti e ad apprezzare la singolarità di ognuno di noi.
Se poi volessimo concentrarci sulle imprese, basterebbe riflettere su frasi del genere: “molte aziende americane sono ottime: rispettano i lavoratori, praticano il miglioramento continuo e applicano gli strumenti del Sistema di produzione Toyota. Quello che è davvero importante, però, è avere tutti questi elementi presenti insieme contemporaneamente all'interno di un sistema” (Fujio Cho - Presidente di Toyota Motor Corporation).
Ciò che colpisce, in tale frase, è soprattutto l’incipit “rispettano i lavoratori”, che non è concetto banale - talora qualcuno pensa che pagare gli stipendi significhi rispettare i collaboratori ! - ma rimanda a contenuti molto più densi di complessità, atteso che il rispetto configura sentimenti e comportamenti “informati alla consapevolezza dei diritti e dei meriti altrui, dell'importanza e del valore morale, culturale di qualcuno” (Sabini Coletti, Dizionario della lingua italiana).
In tale ambito, io ritengo che affrontare simili tematiche, nelle PMI, spesso appaia un’impresa ardua e vorrei spendere qualche riflessione su simile conclusione.

 


2. La risorsa umana come investimento morale

Sovente i capi aziendali, emersi dai più vari percorsi di vita, appaiono convinti di comprendere perfettamente cosa significhi organizzare e valorizzare le risorse umane: impregnati di nozioni tecniche e/o del loro vissuto, applicano un concetto meccanicistico alle stesse risorse che, per definizione, non sono invero inquadrabili in schemi preconfezionati e in squadre a priori vincenti.
Eppure, se oggi entrassimo in una qualunque PMI italiana, a una prima domanda, su quali siano i problemi più rilevanti percepiti dall’alto, difficilmente ci sentiremmo dire frasi del tipo “ho dei macchinari vecchi”, “i miei computer sono da buttare” o “il nostro magazzino è pieno di cose invendibili” ma, semmai, concetti del tipo “la mia rete commerciale è un disastro”, “nella mia amministrazione mancano persone valide”, “non ho dialogo con il personale”, “non riusciamo a trovare un giovane all’altezza”.

In sostanza, un po’ in senso fordiano, gli uomini sono stati e sono tuttora concepiti come elementi del complessivo investimento aziendale, né più né meno dei macchinari o delle materie prime: eppure, se esiste una grande verità, in un pianeta dominato dalla tecnica, è che l’animo umano mal si presta a interpretazioni meccanicistiche.
Anche nelle aule di università e nei master post-laurea, ciò che più mi è rimasto impresso negli anni, affrontando argomenti disparati, non sono certo gli aspetti tecnici delle materie, ma gli sguardi e le parole di coloro che mi stavano ad ascoltare: se c’è un filo comune in tutto ciò, è che sussiste un bisogno enorme di venire ascoltati, valorizzati e apprezzati nelle aziende e spesso questo non si lega immediatamente a concetti di compensazione economica, ma piuttosto di tipo umano e immateriale.
Simili carenze, peraltro, si legano a percorsi potenzialmente perversi, perché una società davvero meritocratica (senza eccessi di nota derivazione “iper-competitiva”) pone indubbiamente come punto fermo la capacità di saper distinguere il valore degli uomini, nel concetto ben espresso da Albert Einstein: “non cercare di diventare un uomo di successo, ma piuttosto un uomo di valore”.

 


3. La necessità di un nuovo umanesimo

Occorre, dunque, un nuovo umanesimo, in cui dosare abilmente e sapientemente la componente immateriale umana nel sistema azienda.
Oggi si parla molto, e talora a sproposito, di cd intangibiles come autentici pilastri del valore aziendale delle PMI: ebbene, a uno sguardo anche superficiale, essi sussistono solo laddove si sappia interpretare la componente umana aziendale come il fluido essenziale e immanente del valore aziendale stesso, il che richiede, appunto per definizione, un approccio olistico (posizione filosofica basata sull'idea che le proprietà di un sistema non possano essere spiegate esclusivamente tramite le sue componenti) e non meccanicistico.

Comprendere, ascoltare, far partecipare, incentivare e apprezzare i propri collaboratori è quanto ci sentiamo dire e ripetere in mille sedi: nelle riunioni confederali dei grandi enti associativi, nelle aule di università o nei tantissimi master diffusi ovunque, nelle riviste specialistiche e nella grande rete.
Tuttavia, incontrando la realtà delle PMI, sorge il fondato sospetto che tutto ciò sia un bel film visto sulle scene tante volte e che dunque, come in un bel film, molti di noi conservino in sé l’idea che si tratti di una stupenda finzione e che mal si presti a interpretazioni realistiche.

Mi domando sempre il perché di tutto ciò e mi sono posto l’obiettivo, nel tempo, di farmi un’idea di sintesi, certo limitativa, ma con la pretesa di pormi più avanti nella ricerca empirica: la verità è che comprensione, partecipazione, ascolto, incentivazione e apprezzamento implicano, in chi dirige un’azienda, un bisogno di reinterpretarsi, di esser umili, di sognare lucidamente, di delegare, tutti termini poco adatti, così si direbbe di primo acchito, per un’ente vocato al profitto e inserito in un mondo complesso e sempre più aggressivo.
Eppure, è proprio in tale fase storica, così densa di opportunità ma anche di pericoli, in cui i destini aziendali e dunque di intere aree sociali, spesso si giocano con poche scelte azzeccate o errate, che appare assolutamente necessario concentrarci su ciò che veramente di unico, inimitabile e prezioso ha ogni PMI e cioè la risorsa umana.

 


4. Tecnologia, felicità e valore degli uomini

Come è stato acutamente osservato, “abbiamo fatto di tutto per emanciparci dalla natura e siamo diventati schiavi della nostra tecnologia, che, guarda caso, è strettamente collegata a una logica di tipo matematico. Ci sembra di essere onnipotenti, ma senza le nostre macchine ci sentiamo perduti, incapaci di agire, di muoverci, di prendere decisioni. Il nostro "io", in sé, non è più una risorsa, ma un anello, per giunta debole, della catena; non siamo neppure in grado di controllare ciò che abbiamo prodotto” (Elio Pennisi, Liberi dentro. Il libero pensiero umanista).
Anche nel mio quotidiano lavorare, sono un fervente fautore della tecnologia, intesa come importante ausilio operativo per la nostra vita corrente: tuttavia, il punto essenziale è che ogni collaboratore aziendale dovrebbe essere apprezzato per quel prezioso “io”, inteso come risorsa unica, irripetibile e potenzialmente senza limiti, se non appunto quelli di non essere divini.

Indubbiamente, se si è vissuto un percorso importante negli ultimi 60 anni in Italia, ciò è dovuto al profondo tessuto delle PMI e al relativo benessere economico apportato: ma se ciò è vero, va altrettanto notato come un simile percorso è stato reso possibile anche da fattori immateriali e di valorizzazione della componente umana in azienda.

Scrive in effetti G. Backer (premio Nobel per l’Economia): “le aziende devono capire che lo sviluppo futuro dipenderà da quanto investiranno nei loro dipendenti, nella loro formazione, nella loro motivazione. Per avere incrementi non solo di produttività, ma anche di creatività, le persone devono sentirsi motivate. Devono sentirsi felici di quel che fanno e di come lo fanno”.
Ecco, in tutto ciò intravedo la maggiore difficoltà insita nei processi di sviluppo delle nostre PMI: se è vero che la parola umanesimo viene dal latino humanus, posso altresì dire che occorre un nuovo imprenditore umanista, che metta l’uomo e la dignità della vita umana al centro dei propri valori, ponendo in risalto la libertà, la ragione, i diritti e le possibilità dei propri collaboratori.

 

DOI  10.4439/mm10
 

Commenta (0 presenti)

Visualizza articoli per

Funzione
Settore
Rivista

Ricerca