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02 Maggio 2011 • di Saverio Sabatini

La successione nell’impresa

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Questo mio primo contributo inaugura un percorso che si prefigge di fornire all’Imprenditore risposte, certe nei limiti del possibile, con riferimento alla successione nell’impresa, da realizzarsi in vita (patto di famiglia, clausole societarie, donazione) o a mezzo testamento. La delicatezza delle questioni mi ha suggerito di presentare un quadro riassuntivo iniziale, che consenta di districarsi nel complesso iter della successione dell’imprenditore. Seguiranno, a breve, approfonditi interventi specifici sui temi più controversi, nei quali si tenterà di suggerire valide e originali soluzioni.

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Sommario

1.    Premessa: qualche dato…
2.    Rimedi Ante mortem
2.1  Patto di famiglia
2.2  Donazione di azienda
2.3  Clausole di continuazione nelle società di persone
2.4  Clausole di consolidazione nelle società di persone
2.5  Clausole mortis causa nelle società di capitali
2.5.1 Società per azioni
2.5.2 Società a responsabilità limitata
3.    Rimedi Post mortem
3.1  Testamento – legato di contratto di vendita
3.2  Testamento – legato di genere
4.     Conclusioni
 

 

1. Premessa: qualche dato…

Si stima che:

  • il 60% degli imprenditori italiani ha più di 60 anni;
  • il 68% degli imprenditori manifesta l’intenzione di lasciare l’azienda a un familiare;
  • l’80% degli imprenditori considera il passaggio generazionale un fenomeno gestibile con grandi difficoltà o impossibile da gestire;
  • il 24% delle aziende sopravvive al passaggio dalla prima alla seconda generazione;
  • il 14% sopravvive alla terza generazione.

Nei prossimi cinque anni, circa 130.000 aziende dovranno definire la questione della successione nell’impresa; saranno interessati circa 3.000.000 di posti di lavoro.
Le trasmissioni di imprese all'interno del nucleo familiare sono in calo (vedi “Trasformazione di comunione di azienda in società in accomandita semplice”).
Le successioni extrafamiliari sono altrettanto complesse da definire (ricerca di un idoneo successore, finanziamento del rilevamento, trasferimento di know how, ecc.), ma il più delle volte consentono all’azienda di sopravvivere. Tralasciando queste possibili “soluzioni esterne”, focalizzeremo la nostra attenzione sul passaggio generazione dell’azienda all’interno della famiglia.
I dati sopra riportati sono, di per sé soli, sufficienti per comprendere quanto delicato sia l’argomento che ci occupa; il legislatore, tuttavia, sembra non essersi ancora reso conto della reale portata del problema. Cercheremo, allora, di fornire qualche risposta all’imprenditore che si accinge ad affrontare il passaggio generazionale della sua azienda e intende porvi rimedio in vita o per il tempo di apertura della sua successione.

 


2. Rimedi Ante mortem

2.1 Patto di famiglia

Tizio, titolare di un’azienda di mobili da arredamento, è coniugato con Tizia ed ha tre figli, Sempronio, Mevio e Caio. Di questi tre solo Caio si è sempre dato da fare per l’azienda di famiglia, contribuendo fattivamente alla sua crescita e impiegando tutte le sue energie nel favorirne lo sviluppo. Tizio intenderebbe trasferire in vita al solo Caio la sua azienda. Come potrà fare?
Con la legge 14 febbraio 2006, n. 55 è stato introdotto anche nell’ordinamento italiano un fenomeno di successione nell’impresa, effettuato per atto tra vivi (pur avendo il legislatore – impropriamente e per ragioni tuzioristiche – precisato che tale istituto comporta una deroga al regime dei patti successori), che determina una vera e propria anticipazione della successione ereditaria dell’imprenditore titolare di azienda o di quote societarie (vedi “Patto di famiglia per trasferimento di azienda ai sensi degli articoli 768-bis e seguenti del codice civile”).

L’espresso esonero operato dall’art. 768 quater, c.c.,ultimo comma, dalla collazione e dalla riduzione, rende questo strumento molto utile e proficuo per la finalità di cui al sopra formulato esempio pratico: in sintesi, il beneficiario dell’attribuzione non dovrà conteggiare nella sua quota di legittima l’azienda o le quote ottenute a seguito del patto di famiglia, né i fratelli o la madre potranno richiedere che quel bene sia imputato in natura a seguito dell’apertura della successione di Tizio, così cristallizzando gli effetti dell’attribuzione e rendendola definitiva.
L’istituto, pur accolto con entusiasmo dagli addetti ai lavori, ha disatteso tutte le aspettative e risulta scarsamente attuato, essenzialmente per due ragioni pratiche:

  1. Vista la sistematica del codice e la ratio della norma, la dottrina più attenta attrae l’istituto nell’ambito delle divisioni ereditarie; da questo discende quale corollario immediato che il patto risulterebbe nullo in assenza del consenso di anche di uno solo di coloro che, in quel momento, sarebbero legittimari dell’imprenditore se si aprisse la sua successione. È evidente come tale potere di veto, posto a favore dei legittimari non beneficiari dell’azienda o delle quote, risulti un primo insormontabile ostacolo nei casi in cui non ci sia totale accordo tra i legittimari potenziali.
  2. I legittimari non beneficiati, ivi incluso il coniuge, hanno diritto a essere liquidati secondo le porzioni fissate dal codice in tema di successione mortis causa; la dottrina si è interrogata su chi sia il soggetto onerato di effettuare tali liquidazioni. Il dettato normativo, tuttavia, non lascia molti dubbi: sarà il beneficiario dell’azienda o delle quote a dover sopportare il peso di soddisfare le pretese dei fratelli o del genitore non disponente. Ciò ha rappresentato il secondo insormontabile scoglio per la stipulazione del patto di famiglia: difficilmente, infatti, il legittimario discendente, beneficiato dell’attribuzione, potrà far fronte a tale incombenza, risultando, altresì, poco conveniente che costui indebiti l’azienda per liquidare gli altri legittimari.

Nella pratica si assiste anche alla liquidazione effettuata direttamente dal disponente: tale escamotage, tuttavia, comporterà la realizzazione di un’ulteriore donazione, indiretta (nota) , da parte del genitore disponente a favore del discendente beneficiato dall’attribuzione, sicché torneranno in vigore tutti i rimedi tipici della donazione (collazione (nota) , imputazione ex se (nota) , azione di riduzione (nota) , azione di restituzione (nota) ).
Pur avendo individuato tutte le criticità dell’istituto e in attesa di pronunce interpretative della Suprema Corte o di un auspicabile intervento del Legislatore, si può, tuttavia, concludere che, in talune circostanze, lo strumento del Patto di famiglia potrà comunque costituire valida soluzione per la trasmissione dell’azienda con un atto inter vivos.


2.2 Donazione di azienda

Fino all’introduzione del patto di famiglia, la donazione dell’azienda (vedi “ Cessione gratuita di azienda e regolarizzazione in società di persone” e “Donazione di quote”)
risultava l’unico istituto idoneo a consentire all’imprenditore di assegnare l’azienda al figlio “preferito”. Per quanto tale soluzione sia ancora attuale, anche alla luce delle imperfezioni del patto di famiglia, non poche sono le controindicazioni. In primis le c.d. azioni a tutela della quota di riserva spettanti ai legittimari che in vita non siano stati apporzionati o non abbiano ricevuto beni sufficienti a soddisfare le proprie quote di legittima (azione di riduzione e collazione, su tutte). Tale soluzione, dunque, non potrebbe certo soddisfare le aspettative del genitore imprenditore che intendesse disporre dell’azienda in maniera certa e definitiva.
Immaginiamo il solito Tizio, imprenditore nel settore di mobili per arredamento, che intenda donare al figlio Caio l’azienda, rinviando così all’apertura della successione ogni calcolo relativo alle quote di legittima degli altri figli, Sempronio e Mevio. Ipotizziamo, ancora, che tale azienda al momento della donazione abbia un determinato valore mentre all’apertura della successione ne abbia uno nettamente inferiore o superiore.
La Giurisprudenza è intervenuta più volte in simili fattispecie, nelle quali venivano lese, secondo i casi, le aspettative dell’erede che aveva ricevuto per donazione un’azienda di modesto valore e nel frattempo l’aveva portata a livelli nettamente superiori, o le aspettative degli altri legittimari, laddove il preferito avesse ricevuto un’azienda di notevole valore e l’avesse nel frattempo depauperata o portata a livelli infimi. La valutazione, infatti, deve tener conto del valore dei beni all’apertura della successione, sicché, storicamente, si sono presentati casi come quelli di cui al menzionato esempio, che sono sfociati in liti giudiziarie tra eredi del defunto imprenditore, con conseguente danno anche per l’azienda.


2.3 Clausole di continuazione della società di persone

Altra soluzione poco praticata, ma di sicuro impatto, è l’apposizione di clausole di continuazione nei patti sociali delle società di persone. Per semplificare il discorso, citeremo le tre clausole più dibattute e utilizzate:

  1. Clausola di continuazione facoltativa: in caso di decesso di un socio, gli eredi di questo avranno facoltà di scegliere la liquidazione della quota loro spettante o la continuazione dell’attività sociale, senza che i soci superstiti possano opporre eccezione alcuna. Tale clausola viene ritenuta pacificamente valida e ammissibile nei patti sociali di snc e sas, perché non può integrare un patto successorio, lasciando ampia discrezionalità agli eredi del socio defunto circa la possibilità di subingredire in società o chiedere e ottenere dalla società medesima la liquidazione a essi spettante, gravando i soli soci superstiti dell’onere di accettare che tali eredi subentrino nella posizione del socio deceduto;
  2. Clausola di continuazione obbligatoria: in caso di decesso di un socio, gli eredi di questo avranno l’obbligo di continuare la società. In caso contrario, costoro saranno tenuti a corrispondere alla società una penale quantificata sin d’ora in Euro …Parte della dottrina dubita della validità di tale clausola, che comporterebbe un illecito ingerirsi nella sfera successoria degli eredi del socio defunto; la Cassazione (nota) , tuttavia, si è espressa in termini favorevoli, individuando nella clausola una promessa del fatto del terzo, posta in essere dal socio, che graverà sui suoi eredi all’apertura della successione, senza per questo incidere sulla libertà testamentaria del defunto, che sarà liberissimo di individuare i suoi eredi;
  3. Clausola di successione o successione automatica: in caso di morte di un socio, gli eredi di questo diventeranno soci della società a seguito della semplice accettazione dell’eredità.Tale clausola è da considerarsi nulla perché non prevede alcuna attività in capo agli eredi, se non quella relativa all’accettazione dell’eredità del socio defunto, e andrebbe, così, a violare il divieto dei patti successori, ledendo l’autonomia dei successori, a nulla rilevando la facoltà in capo a costoro di rinunziare all’eredità.


2.4 Clausole di consolidamento nelle società di persone

Sono frequenti, nei patti sociali delle società di persone, le clausole che comportino la consolidazione delle quote o delle azioni a favore dei soci superstiti, in caso di morte di un singolo socio, con questo impedendo agli eredi di costui di subentrare nello status socii del dante causa.

  1. a) Clausola di consolidazione pura: in caso di decesso di un socio, la sua quota si accrescerà automaticamente a favore dei soci superstiti, senza che nulla venga liquidato agli eredi del socio defunto. C’è concordia in dottrina circa la nullità di una clausola così strutturata, che non preveda alcun diritto di liquidazione in capo agli eredi del socio deceduto. Per taluni la nullità deriverebbe dalla solita violazione del divieto di patto successorio, per altri, invece, dalla violazione del divieto del patto leonino.
  2. b) Clausola di consolidazione impura (nota) : in caso di decesso di un socio, la sua quota si accrescerà automaticamente a favore dei soci superstiti. Gli eredi del socio deceduto dovranno essere liquidati secondo le seguenti norme: …A differenza della precedente, tale clausola è pacificamente ritenuta ammissibile, perché non lederebbe alcun diritto inderogabile che il legislatore riconosce ai riservatari, non violando l’art. 458 c.c. (divieto del patto successorio).


2.5 Clausole mortis causa nelle società di capitali

Molto più agevole la disciplina delle società di capitali (srl, spa, sapa), per le quali il legislatore non ha previsto una norma similare all’art. 2284 c.c., dettato in tema di società di persone, in particolar modo a causa dell’assenza del rilievo prettamente personalistico tipico delle società di persone e molto meno marcato nelle società di capitali.


2.5.1 Società per azioni

Con l’emanazione dell’art. 2355-bis,c.c. il legislatore ha inteso ampliare notevolmente il raggio di azione dei limiti alla circolazione, anche a causa di morte, delle azioni, assicurando, allo stesso tempo, ai successori del socio deceduto, la possibilità di realizzare il valore economico della partecipazione che gli viene impedito di acquistare. Lo Statuto delle spa potrà agevolmente prevedere una clausola di gradimento a favore dei soci superstiti o dell’organo amministrativo: in caso di prestazione del gradimento, i successori acquisiranno automaticamente le azioni del dante causa; in mancanza di gradimento, verrà loro liquidata la quota in base ai valori predeterminati o da determinarsi con criteri obiettivi e certi. Dubbio è se si possa applicare anche al trasferimento a causa di morte il divieto di trasferimento di cui al richiamato articolo, pacificamente ammesso per i trasferimenti inter vivos.


2.5.2 Società a responsabilità limitata

Quanto alle società a responsabilità limitata, l’art. 2469 c.c. prevede la libera circolabilità delle quote a causa di morte, ma fa salva, espressamente, una contraria disposizione dell’atto costitutivo. Sarà ben possibile, allora, prevedere divieti di trasferimento mortis causa della quota di partecipazione e limiti alla detta circolazione, con la conseguenza (art. 2469, comma 2) che in caso di apposizione di un simile divieto o in caso di mancato gradimento, al socio o ai suoi eredi spetterà il diritto di recedere dalla società. Vediamo un esempio per chiarirci ancor meglio le idee: la Alfa s.p.a. ha un capitale sociale di Euro 200.000, diviso in parti eguali tra i quattro soci, Caio, Mevio, Filano e Tizio. Lo Statuto prevede la intrasferibilità delle azioni senza il gradimento dell’organo amministrativo. Tizio decede; chiamati a succedergli a titolo particolare sono i figli Tizietto e Tizietta. Il vincolo apposto allo Statuto sociale dovrà ritenersi opponibile anche gli eredi, sicché, in caso di diniego da parte dell’organo amministrativo, non saremo di fronte ad un legato avente a oggetto la quota azionaria, bensì un legato avente a oggetto il diritto alla liquidazione patrimoniale della partecipazione.

 


3. Rimedi Post mortem

Tizio, imprenditore, vedovo e padre di due figli, Caio e Filano, è titolare esclusivamente di un’azienda manifatturiera, molto produttiva. Non risulta titolare di beni immobili, né di titoli mobiliari. Intenderebbe redigere un testamento per mezzo del quale lasciare l’azienda al figlio Caio che ha sempre lavorato con lui, con l’onere, in capo a quest’ultimo, di liquidare il fratello con denaro proprio, quando Tizio sarà deceduto.
La fattispecie, frequente nella prassi, è stata reputata nulla dalla Corte di Cassazione (nota) ; il nostro ordinamento, infatti, tutela l’intangibilità meramente quantitativa della quota riservata ai legittimari, lasciando il più ampio spazio di manovra al testatore dal punto di vista qualitativo, tuttavia purché si tratti di beni compresi nell’asse ereditario. Sarà nulla, dunque, la divisione predisposta dal testatore che, in mancanza di denaro nell’asse ereditario, imponga all’erede beneficiato con l’azienda, di soddisfare con denaro proprio le aspettative ereditarie degli altri legittimari. La conseguenza sarà che le volontà del testatore non saranno rispettate e tra i suoi eredi si aprirà una indesiderata e fratricida “guerra”.
Esclusa la facoltà di far gravare sull’erede beneficiato con l’azienda l’onere di liquidare gli altri chiamati con beni non ereditari, la dottrina ha cercato di individuare altre soluzioni, di seguito presentate.


3.1 Testamento – legato di contratto di vendita

È stata avanzata l’ipotesi di nominare eredi tutti i legittimari nella quota loro riservata e il legittimario favorito anche nella quota disponibile, ponendo a loro carico e a favore di quest’ultimo (a cui si intende attribuire l’azienda o le quote societarie) un legato di contratto di vendita o di permuta della quota ereditaria contro il pagamento del prezzo o la cessione di un bene che non sia inferiore al valore della legittima spettante agli onerati medesimi.
Nomino miei eredi universali nella quota loro spettante ex lege i miei due figli Tizio e Caio. Istituisco mio figlio Tizio erede anche nella quota disponibile. Lego a carico di mio figlio Caio e a favore di mio figlio Tizio il contratto di vendita (o permuta) della quota ereditaria a esso devoluta per Legge contro il pagamento di un prezzo (o cessione di un bene) di pari valore al momento dell’apertura della successione.
Tale soluzione è stata, tuttavia, oggetto delle seguenti obiezioni: in primis potrebbe configurarsi una violazione del disposto di cui all’art. 549 c.c. che reputa nulli tutti i pesi e le condizioni apposte sulla quota di legittima; in secondo luogo, configurandosi una modalità di scioglimento della comunione, diversa dalla divisione, sarebbe applicabile il rimedio della rescissione ultra quartum ex art. 764, comma 1, c.c.

 

3.2 Testamento – legato di genere

Nomino mio erede universale mio figlio Tizio (al fine di attribuirgli l’azienda). Lego in sostituzione della legittima ex art. 551 c.c. a mio figlio Caio una somma di denaro pari a Euro … (valore della quota di legittima a esso spettante) ex art. 653 c.c. pur riconoscendo l’altruità della res ex art. 651 c.c. (vedi “Testamento pubblico”).
Risulta particolarmente apprezzata questa seconda modalità: il testatore nomina erede universale il figlio al quale intende lasciare l’azienda; poi lega in sostituzione della legittima all’altro figlio una somma di denaro pari al valore dell’azienda, sebbene tale somma non risulti compresa nell’asse ereditario. Risulterà applicabile l’art. 653 c.c. (legato di genere, valido anche se di quel genere non si trova alcun bene né all’apertura della successione né al momento della redazione del testamento). Obiezione mossa da altra dottrina riguarda il consenso del legittimario che abbia ricevuto un legato in sostituzione di legittima: infatti, a costui la legge consente di rinunziare al legato e chiedere la legittima. Così la piena attuazione della volontà del testatore risulterà assoggettata alla volontà del legatario: sarà, dunque, preferibile che il testatore renda particolarmente appetibile il legato in sostituzione.

 


4. Conclusioni

Risulta chiaro come non vi possa essere una soluzione univoca, ma ciascuna situazione vada analizzata singolarmente, al fine di predisporre per ogni singolo caso un vestito su misura, con l’ausilio di tecnici esperti della materia. Stante l’importanza e la delicatezza dell’argomento, approfondiremo prossimamente le tematiche qui delineate.

 

  DOI  10.4439/fb2

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