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Risorse umane e motivazione

23 Giugno 2011 • di Renato Votta

La gestione e la valorizzazione delle risorse umane per “competenze”. Parte 1. Significato di “competenze”

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L’approccio alla gestione delle risorse umane trattato in questo lavoro è di recente ideazione (la prima azienda ad applicarlo è stata la “IBM” meno di quindici anni fa) e solo da un paio di anni in Italia si è aperto il dibattito sul suo eventuale utilizzo nelle nostre realtà imprenditoriali più grandi e innovative. Proprio perché si tratta di un modello nuovo, anche la bibliografia, soprattutto in lingua italiana, non è molto consistente. Nella prima parte di questo nostro intervento introduciamo il significato generale di competenze

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Parte 1. Significato di “competenze”

Sommario

1. Introduzione
2. Che cosa è una competenza

 

  

1. Introduzione

L’organizzazione del lavoro, a livello globale, ha attraversato due fasi fondamentali; da processi di produzione di tipo Labour intensive, tipici della Rivoluzione Industriale si è passati, in maniera crescente e direttamente proporzionale al progresso tecnologico, nei primi tre quarti di questo secolo, a organizzazioni industriali definite Capital intensive, capaci, cioè, di prescindere sempre di più dal fattore umano o, almeno, di utilizzarlo in maniera diversa e più efficiente.
Il processo di terziarizzazione dell’economia mondiale - e qui si entra nella storia degli ultimi trenta-quaranta anni - oltre a sconvolgere le cifre dei rapporti d’impiego di lavoro umano tra i vari settori produttivi, strappando il primato alla produzione e dunque all’industria, ha determinato, nel mercato del lavoro in tutto il mondo, una sempre maggiore focalizzazione delle professionalità sull’intensità di conoscenza, configurando così organizzazioni e processi produttivi di tipo knowledge intensive.
L’IBM individuò addirittura alcune decine di migliaia di competenze, ripartite per ruoli e tipologie professionali, che dovevano essere necessarie per un corretto ed efficace svolgimento del lavoro.
Tuttavia, com’è facile intuire, la gestione operativa di un progetto del genere era talmente complessa e onerosa, da far perdere di vista perfino la sua concreta utilità pratica. L’esperienza e la pratica hanno poi portato ai necessari aggiustamenti.


2. Che cosa è una competenza

La definizione di “competenza” è inevitabilmente difficile, come del resto qualsiasi definizione, ma con l’ulteriore complicazione causata dalla numerosità e complessità delle variabili in gioco in questo caso. Tanto per iniziare, si può subito ricondurre il concetto di competenza alla sua dimensione di elemento costitutivo di un profilo professionale. Occorre, però, chiedersi, a questo punto, quali siano tutti gli elementi costitutivi di un profilo professionale.
In realtà essi sono sostanzialmente tre e sono trattabili come “aree” in una rappresentazione grafica “a cipolla”, in cui siano disegnati cioè come tre cerchi concentrici.

Queste tre aree sono gli:

  • orientamenti
  • capacità
  • competenze

 

Gli orientamenti rappresentano in realtà l’area del saper essere, costituiscono cioè quel complesso di motivazioni, idee e aspirazioni, anche di carattere personale-affettivo, che spingono ad agire e a comportarsi in un certo modo. Proprio perché gli orientamenti attengono alla sfera più personale e “intima” di ciascuno, essi sono gli aspetti più importanti e propulsivi nella vita e nei comportamenti concreti e al tempo stesso sono anche i più difficili da cambiare o da modificare.
Le capacità costituiscono l’area del saper fare, riguardano cioè l’abilità nello svolgere uno o più ruoli diversi. Da un lato, sono elementi di carattere individuale e a forte connotazione “innatistica”, dall’altro sono in qualche modo passibili di miglioramento e perfezionamento. Le capacità, ad esempio, di svolgere lavori “manuali” o, al contrario, più di concetto o “intellettuali”, in parte si possono imparare, in parte fanno parte della natura e delle inclinazioni congenite a ciascuna persona.
Infine le competenze. Esse rappresentano l’area del sapere; si tratta cioè di quell’insieme di conoscenze acquisite con lo studio, l’esperienza e l’aggiornamento professionale e le concrete esperienze di vita.
Esse rappresentano lo strato più superficiale del grafico della cipolla, nel senso che, rispetto alle capacità e agli orientamenti, sono molto più “esterne” e acquisibili.
Tuttavia è bene subito sgombrare il campo dagli equivoci: il fatto che si possano anche “imparare” non significa che non siano connesse - e difatti lo sono in maniera anche rilevante - ad aspetti più personali e attinenti al “patrimonio genetico” di ciascuno. Ogni persona svilupperà le competenze che, probabilmente, sono anche più adatti alle sue attitudini e inclinazioni. Quest’affermazione è talmente vera che Lyle M. Spencer Jr. e Signe M. Spenser, due studiosi e teorici dell’approccio per competenze, forniscono la seguente definizione di competenza.
Per competenza intendiamo: una caratteristica intrinseca individuale che è causalmente collegata a una performance efficace/o superiore in una mansione o in una situazione, e che è misurata in conformità a un criterio prestabilito. Caratteristica intrinseca significa che la competenza è parte integrante e duratura della personalità di un individuo, del quale può predire il comportamento in un'ampia gamma di situazioni e di compiti di lavoro. Causalmente collegata significa che la competenza causa o predice comportamento e risultati ottenuti. Misurata su un criterio prestabilito significa che la competenza predice chi esegue un lavoro bene o male, secondo criteri o standard specifici. Esempi di criteri sono il fatturato realizzato da un venditore o il numero di persone che un assistente sociale riesce a tenere lontane dall’alcol”.

Da questa definizione deriva che le competenze, per essere oggetto di studio e, soprattutto, di applicazione pratica in campo aziendale e lavorativo, debbano essere:

  • definibili
  • osservabili
  • misurabili
  • sviluppabili

 

A questi aspetti sarà dedicata la parte successiva di questo lavoro.

Le competenze possono essere innanzitutto ripartite in due grandi categorie: le competenze “soglia” e le competenze “distintive”. Le competenze “soglia” sono le conoscenze e le “skill” elementari, necessarie per essere appena in grado di svolgere un determinato lavoro.
Per un venditore, ad esempio, possono essere rappresentate dalla conoscenza di tutte le caratteristiche del prodotto da vendere oppure dalla capacità minima di vincere la naturale timidezza e approcciare i clienti potenziali o attuali in maniera almeno dignitosa.
Le competenze “distintive” sono appunto quelle che fanno la differenza e distinguono i superiori dai medi. Sempre rifacendosi all’esempio del venditore, sono quelle che permettono al venditore “X” di vendere di più del venditore “Y” a parità di obiettivi e di condizioni di partenza. È chiaro, poi, che la stessa capacità di discostarsi dalla media in senso positivo è misurabile su livelli diversi cui corrispondono gradi diversi di possesso di una o più competenze e cui devono rispondere anche livelli diversi di retribuzione.
Se è vero che le competenze devono essere uno strumento utilizzabile in azienda, anche per valutare prestazioni e definire politiche e livelli retributivi, allora è necessario definire delle scale di rilevazione delle competenze, da tradurre in “scoring” crescenti sulla base di precisi parametri di riferimento. Questi parametri, ulteriormente scomponibili e di applicazione variabile secondo le singole fattispecie, sono fondamentalmente i seguenti:

  • intensità o completezza dell’azione
  • dimensione dell’effetto
  • complessità
  • dimensione dello sforzo
  • dimensioni particolari.

L’intensità o completezza dell’azione misura l’intensità della volontà e dell’intenzione e la completezza delle azioni intraprese per realizzare gli obiettivi e l’intenzione.

 

La dimensione dell’effetto descrive e quantifica l’utilizzo di una competenza sul numero di persone su cui incide e a quale livello di attività aziendale. Se avere una determinata competenza incide su dieci o cento persone (magari le persone e dunque i ruoli gerarchicamente riportanti a colui che debba essere dotato di un certo livello di quella specifica competenza) è un aspetto di estrema importanza. Parimenti, se da quella competenza specifica dipenda il fatturato dell’azienda o il più efficiente utilizzo delle risorse tecniche di un ufficio che determina conseguenze diverse per importanza e per valore strategico.

La complessità attiene al numero e qualità delle variabili in gioco (persone, dati, strumenti tecnici e informatici ecc.). Ovviamente e per fare un esempio molto semplice, elaborare le strategie aziendali richiede di gestire e padroneggiare un numero complesso di variabili anche sofisticate; per realizzare una mansione operativa non è necessario affrontare problemi di particolare complessità.

La dimensione dello sforzo indica appunto la quantità e la qualità del lavoro in più necessario nella corretta applicazione e nel coerente esercizio di una specifica competenza. Un venditore che, per raggiungere obiettivi sfidanti, è disposto a lavorare anche la sera o in orari particolari, sicuramente mette in gioco una disponibilità e un impegno particolari.

Alcune competenze poi, hanno dimensioni particolari; lo spirito d’iniziativa ha sicuramente una dimensione temporale: con quanto anticipo una persona prevede i comportamenti e le azioni necessarie o non ancora richiestegli dai capi e dalla natura del suo ruolo. Anche questi aspetti devono essere considerati nella definizione e nella catalogazione delle competenze.
Prima di passare a descrivere le varie tipologie di competenze, appare utile effettuare un’ulteriore premessa teorica e metodologica. Quando si parla di osservabilità delle competenze, ci s’intende riferire al fatto che esse vanno identificate e rilevate non sulla base di astratte definizioni, ma sui comportamenti agiti, concretamente e quotidianamente dalle persone che ricoprono il ruolo per il quale sono state individuate. Se si definisce, per un Relationship Manager di un’azienda, la competenza: “Proposizione di soluzioni innovative per i clienti”, essa va verificata sulla base di quanto la persona in esame mette concretamente in atto i comportamenti ritenuti effettivamente coerenti con tale “competenza”. Questa precisazione è importante per due ordini di motivi; prima di tutto, perché questo modello nasce e si sviluppa per soddisfare al meglio le esigenze del business e non per elaborare nuove teorie di sociologia del lavoro; e in secondo luogo perché dovrebbe essere proprio in capo agli uomini che reggono il business, individuare le competenze necessarie a ciascun ruolo per realizzare gli obiettivi aziendali.
Infine un’ultima considerazione: si è detto che per ciascuna competenza è possibile e anzi necessario stilare diversi e crescenti livelli di possesso; una stessa competenza può, pertanto, essere richiesta a due ruoli differenti con punteggi differenti. Ad esempio, un direttore commerciale dovrà avere: la competenza: “Ricerca di nuove opportunità di affari” a un livello: “alto”, mentre un venditore del suo team sarà già molto bravo se raggiunge un livello: “medio”. La decisione poi, di richiedere un livello almeno alto per il direttore commerciale e medio per il venditore per la suddetta competenza, è chiaramente di pertinenza del responsabile del business, in base agli obiettivi che si è posto e alle strategie che ha deciso di adottare per raggiungere tali obiettivi.

 

DOI  10.4439/mm15

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