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17 Maggio 2011 • di Manila Carassai

La gestione dei conflitti in azienda

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I conflitti sono inevitabili nelle relazioni. Tuttavia, se anticipati e gestiti attraverso le opportune tecniche di comunicazione, sfruttando l’intelligenza emotiva e l’assertività, i conflitti possono essere vissuti in modo costruttivo e non costituire ostacolo al raggiungimento degli obiettivi individuali o aziendali.

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Sommario

1. I conflitti: un’opportunità di crescita
2. Le cause dei conflitti
3. Come affrontare i conflitti: alcuni strumenti per gestire al meglio i conflitti.
4. Analisi Transazionale
4.1. Cenni
4.2. I Sottostati dell’io
4.3. Contaminazioni
4.4. Esclusioni
5. Stili comunicativi e posizioni esistenziali
5.1. Assertività
5.2. Assertività: le carezze
6. Conclusioni

  

1. I conflitti: un’opportunità di crescita

Ragionare sulla gestione dei conflitti significa portare la riflessione sul tema delle relazioni interpersonali. Nel momento in cui le persone si trovano ad avere rapporti con gli altri, sia in forma individuale sia in gruppo, si creano inevitabilmente dei conflitti. Persone che per educazione sono state abituate a pensare che i conflitti non debbano esistere, intendono il loro manifestarsi come un problema. Le persone, invece, che pensano alla gestione costruttiva dei conflitti rifiutano l’idea che il conflitto sia qualcosa di negativo che non deve esistere, e pensano che essi non siano altro che una parte dell’interazione umana.
Per affrontare in modo costruttivo la gestione dei conflitti è di fondamentale importanza avviare un processo di consapevolezza sui propri vissuti e promuovere lo sviluppo di capacità comunicative e relazionali. Il conflitto, infatti, è quello spazio che fa emergere un proprio schema, un proprio modo di leggere la realtà ed è caratterizzato da un’attivazione che coinvolge il proprio mondo cognitivo, emozionale e comportamentale. La relazione consente di far luce, per contrasto, con la propria identità e con la propria struttura psichica. L’acquisizione di una posizione distaccata dal processo istintivo alla base del disagio che accompagna il conflitto, consente di prenderne consapevolezza e determina un processo di trasformazione del conflitto stesso che porta al superamento dei propri limiti (nota) .

I conflitti nascono dai bisogni delle persone; i bisogni insoddisfatti non vengono meno, ma rimangono in attesa di un’occasione per manifestarsi. Tradurre questo concetto in ambito lavorativo significa affermare che conflitti non risolti compromettono il raggiungimento della performance attesa. Gestire i conflitti, dunque, vuol dire recuperare energia da impiegare nell’operatività (nota) .

Molto spesso, quando si parla di metodologie per la risoluzione dei conflitti, si pensa a setting di psicoterapia o, comunque, a strumenti a disposizione solo di professionisti esperti. Tuttavia è possibile, oggi, uscire da questi specifici ambiti e trasferirli anche nei contesti organizzativi per farli entrare nel kit di competenze di un manager. Mi piace pensare al manager secondo una visione “olistica”: il manager nello svolgimento delle sue attività, nel prendere decisioni e gestire persone dovrebbe mettere in gioco non solo competenze di natura prettamente tecnica, ma anche relazionale e comunicativa; ciò vuol dire essere in grado di impostare in modo sano e costruttivo i rapporti con gli altri, gestire in modo efficace le proprie emozioni ed esprimere sentimenti. Sono proprio questi due aspetti che determinano il grado di frustrazione o gratificazione nel lavoro, incidendo sulla motivazione dei lavoratori e sui risultati del loro operato.

Negli ultimi decenni sono caduti i modelli autoritari del passato senza essere sostituiti da nuovi modelli; strutture organizzative rigidamente gerarchiche stanno lasciando il posto a strutture più snelle e piatte; qui, dove il manager è chiamato a confrontarsi costantemente con i colleghi sull’allocazione dei diritti e delle risorse, la negoziazione del conflitto diventa fondamentale per non comprometterne i risultati (nota) .
I manager sono chiamati a trovare soluzioni creative capaci di soddisfare tutte le parti in causa, senza usare forme di autoritarismo o sprazzi di lasseiz-faire che non hanno mostrato la loro efficacia nel tempo. Oltre all’intelligenza cognitiva diventa quindi fondamentale recuperare altre capacità intellettive: consapevolezza dei propri sentimenti, delle proprie emozioni, saper vivere secondo uno spirito di collaborazione, con serenità e assertività. In questo modo il contesto lavorativo diventa un “luogo” dove le persone possono svilupparsi nella loro globalità, passando anche attraverso la gestione dei conflitti.


2. Le cause dei conflitti

I conflitti nascono da forze emotive complesse. Le cause possono essere diverse:

  • un problema personale-familiare
  • una frustrazione per la mancanza di soddisfacenti prospettive economiche
  • “frizioni” dovute alla diversità di bisogni, opinioni, atteggiamenti, stili di personalità
  • aspettative divergenti rispetto a quelle del capo o dei collaboratori
  • un mancato senso di riconoscimento dovuto a uno stile comunicativo svalutante.


Per fronteggiare in modo appropriato un conflitto è importante capire bene la situazione; ciò consente di agire con meno aggressività sulla persona e comprendere meglio la questione.


Una breve auto riflessione combinata a un piccolo bagaglio di conoscenze sugli stili di comunicazione può essere utile al manager per la gestione costruttiva del conflitto. Dalla letteratura che si occupa di gestione dei conflitti, emerge che non è realistico pensare di estirpare i sentimenti negativi e che l’unico aspetto su cui si può agire è il comportamento.

 


3. Come risolvere i conflitti

Per capire più a fondo i comportamenti e le cause psicologiche sottese al manifestarsi dei conflitti nei contesti lavorativi possiamo avvalerci del modello dell’Analisi Transazionale. La trattazione del modello che qui viene affrontata vuole costituire solo uno spunto di riflessione per prendere consapevolezza di alcuni funzionamenti che accomunano le persone con il fine di migliorare la qualità delle proprie relazioni, senza voler indurre il lettore a utilizzare il vocabolario dell’Analisi Transazionale e senza l’intento di ridurre a una semplice schematizzazione una materia complessa e in continua evoluzione.

 


4. L’analisi Transazionale

 

4.1. Cenni

L’Analisi Transazionale (nota) è un modello che aiuta a prendere consapevolezza dei propri bisogni e di quelli degli altri. Essa si basa sull’idea che la comunicazione tra due individui può essere letta come una transazione o scambio tra stati dell’io.
Berne, ideatore del modello, sostiene che all’interno di ogni essere umano esistono tre realtà psichiche: il genitore (G), l’adulto (A) e il bambino (B).
Durante le prime fasi dell’elaborazione del modello, Berne notò che se osserviamo e ascoltiamo le persone, possiamo vedere all'istante i loro cambiamenti improvvisi passando attraverso tre personalità diverse: l’Adulto, il Bambino e il Genitore e che questi passaggi da uno stato all’altro dell’io si evidenziano nei comportamenti, nelle espressioni del volto, nelle parole. Pensiamo ad esempio a un volto che immediatamente impallidisce, arrossisce o s’illumina di gioia (nota) .
Di là dalle apparenze, secondo i rapporti con il contesto e con se stesso, l’individuo attiva uno degli stati dell’io come risposta naturale e spontanea agli stimoli che riceve.
Gli stati dell’io indicano come abbiamo imparato a utilizzare la nostra energia in base alle personali esperienze di vita e ai modelli appresi dalle figure di riferimento (es. genitori e insegnanti). Infatti, ogni persona interiorizza, per apprendimento, un insieme di convinzioni su ciò che ritiene valido e meritevole nella vita e in base a questi sviluppa dei comportamenti corrispondenti.
Gli stati dell’io (G-A-B) possono essere letti come strumenti intellettuali utili, da una parte, a decodificare ciò che accade dentro di noi e negli altri, e dall’altra, a raggiungere gli obiettivi che ci siamo proposti.
Per riconoscere quale stato dell’io viene attivato in una comunicazione possiamo ascoltare e osservare alcune caratteristiche. Di seguito viene riportato un elenco, non esaustivo d’indicatori generali.

 

Io Genitore: (DEVO)

Nel caso dell’attivazione dello Stato dell’Io G (Genitore) vengono espressi giudizi, ordini, opinioni, critiche, apprezzamenti, consigli. È quella parte che esprime approvazione o disapprovazione.
Lo stato dell’io Genitore custodisce esperienze ed esempi, contiene quelle registrazioni avvenute a livello cerebrale di esperienze esterne o interne, imposte o assorbite da una
persona nell’infanzia. Nel Genitore, infatti, sono registrate le regole, le norme che, buone o cattive, il bambino ha introiettato come sue verità perché provenienti dalle sue figure di riferimento.

Lo stato dell’io Genitore utilizza:

  • Espressioni di comando: fai questo, non fare quello, stai zitto, sii prudente, voglio aiutarti, dimmi, smettila.
  • Espressioni di giudizio: bravo, è bello, sei un pasticcione, non fai mai niente come si deve, tutti…
  • Frasi fatte: volere è potere, il capo ha sempre ragione.
  • Tono di voce: forte o, al contrario, carezzevole.
  • Gestualità: indice puntato, scuotere la testa, abbracciare, strizzare l’occhio.
  • Posture: braccia conserte, mani sui fianchi,
  • Mimica: labbra serrate, mascelle contratte, espressioni di simpatia, orgoglio, sopracciglia aggrottate
  • Sguardo: accusatorio, incute soggezione, sdegnoso.


Io Bambino: (VOGLIO)

Nel caso dell’attivazione dello Stato dell’Io B (Bambino) l’energia psichica viene espressa in forma di affettività ed emozioni. Il sistema dell’io Bambino coinvolge il mondo delle passioni, dei sentimenti, delle tristezze, delle gioie, degli entusiasmi e della creatività. È, infatti, la parte che racchiude l’emotività e la spontaneità e che registra eventi interni (emozioni) come reazione a eventi esterni provenienti soprattutto dal padre e dalla madre.
Lo stato dell’io Bambino è il luogo degli impulsi e delle sensazioni, della semplicità e timidezza, della paura e della sottomissione.
Solitamente i bambini mostrano apertamente i loro sentimenti. L’analisi transazionale usa l’immagine pedagogica del bambino per indicare questa modalità di usare l’affettività nella vita quotidiana, per adattarsi alle situazioni e risolvere i problemi di vita.

Il bambino che non può esprimere giudizi perché non possiede ancora un bagaglio lessicale tale da permettergli di costruire espressioni di senso compiuto produce stati d’animo a fronte di ciò che vede o sente. Se, da un lato, il bambino è portato a provare tutte quelle piacevoli sensazioni legate alla scoperta quali la gioia, la spontaneità e l’intuizione, dall’altro, uno sguardo burbero può provocargli facilmente una sensazione negativa rispetto a se stesso, proprio perché incapace di giudicare. Ecco che il bambino può provare senso di vulnerabilità, paura o tristezza e avvertire il bisogno di protezione.
Ciò cui il bambino attribuisce importanza è l’approvazione dei genitori. Nella realtà, quando una persona è in balia delle proprie emozioni, si dice che in essa prevale il suo stato Bambino (nota) .

Lo stato dell’Io Bambino (B) utilizza:

  • Espressioni verbali: ehi! Uh! Fantastico! ok!, funziona! Nessun problema
  • Tono di voce: variabile, fievole, ardente o eccitato.
  • Gestualità: attorcigliare ciocche di capelli, sbadigliare, disegnare durante una riunione..
  • Sensazioni: nervosismi, rossori o pallori improvvisi, lacrime, tremori, palpitazioni….
  • Atteggiamenti: trascurato, felice, simpatico, depresso, gambe ripiegate sotto la sedia.
  • Sguardo: mobile, occhi bassi, lampeggianti, complici
     

Io Adulto: (POSSO)

L’Io Adulto è quella parte dell’io che elabora informazioni in base a dati e fatti raccolti per prendere decisioni. I dati raccolti costituiscono la base della sua fiducia. L’io Adulto aggiorna i dati del Genitore per valutarne la validità e aggiorna i dati del Bambino per determinare quali stati d’animo esprimere liberamente. In questo senso si può dire che l’io Adulto analizza con attenzione la realtà e decide senza lasciarsi coinvolgere dai timori della prima infanzia(nota) .
L’Adulto (A) rappresenta l’uso dell’energia nella forma di trasformazione dei dati della realtà senza pregiudizi o false illusioni. Il sistema A è logico e razionale, permette di classificare, analizzare, dedurre, organizzare e decidere. È la capacità di ascolto e interrogazione, di negoziare per agire con competenza ed efficacia. Calcola la probabilità, vede il mondo con senso di realismo. Le manifestazioni di quando il sistema A è in azione s’individuano in ascolto attento, atteggiamento calmo, uso di domande, sguardo diretto.

Lo stato dell’io Adulto utilizza i seguenti canali:

  • Domande: chi, cosa, dove, quando, perché? Cosa te lo fa pensare? mi puoi raccontare cosa è accaduto? Hai preso una decisione? Cosa ne pensi? Che cosa pensi di fare? Cosa ti aspetti da me?
  • Dichiarazioni brevi e dirette: ecco la mia opinione, sono d’accordo, non sono d’accordo, il margine di errore è, le probabilità sono, ecco i pro e i contro, aspetta devo pensarci
  • Atteggiamenti corporei: rilassato ma attento, sguardo discreto, voce calma, braccia aperte.


Secondo il modello dell’Analisi Transazionale tutti gli stati dell’io sono importanti per il buon adattamento dell’individuo all’ambiente e per la sua realizzazione dal punto di vista esistenziale. Una personalità ben funzionante è quella in cui i confini tra i diversi stati dell’io sono ben definiti. Quando insorgono opposti interessi intrapsichici tra gli stati dell’io insorgono, invece, i conflitti.


Tutti i messaggi che un bambino introietta da piccolo attribuendogli un significato, gli rimangono poi nella vita adulta. Ognuno di noi, infatti, sin da piccolo in base all’educazione ricevuta ha elaborato dei blocchi e dei divieti. Quello stato interiore di mancato riconoscimento rispetto a un proprio bisogno o desiderio si manifesta poi in età adulta nel conflitto.
Quando i comandi contenuti nello stato dell’“io genitore” agiscono sullo stato dell’ “io bambino” senza che la persona abbia la capacità di mediazione basata sull’analisi della realtà e delle risorse a propria disposizione, si finisce per inibire ancora il manifestarsi dei bisogni ed emozioni nel presente, vivendo una realtà non autentica e cadendo facilmente nel disagio e nel conflitto interpersonale.(nota) Pensiamo a un bambino che vuole compiere un’azione e al genitore che lo inibisce inviandogli un messaggio di tipo intimidatorio. Nella vita adulta può verificarsi una situazione in cui, a fronte di una decisione da prendere, l’individuo può sentirsi bloccato e inibito dal timore di pensare chissà cosa accadrà se non si comporta secondo lo stile di comportamento che è stato introiettato da piccolo.
Ecco che per vivere in modo costruttivo un conflitto, all’insegna di una riscoperta della propria autenticità e dei bisogni più veri, abbandonando il proprio “copione esistenziale” come lo chiama Berne, diventa fondamentale ripristinare la consapevolezza di quanto si è vissuto, entrando in stretto contatto con le parti di sé rinnegate nel corso del tempo. (nota)

Il manifestarsi di un conflitto relazionale e il senso di disagio che esso comporta può essere letto come occasione per riscoprire quali sono i propri reali bisogni, attraverso un esercizio costante di riconoscimento dei propri valori guida e dei personali desideri. Da questa riscoperta si approda a comportamenti improntati al coraggio e all’empatia; è qui che, traslando il concetto ai contesti organizzativi, nasce e si sviluppa anche la capacità delle persone di assumersi responsabilità nello svolgimento degli obiettivi affidati.(nota)

Mary Parker Follett, nota consulente di management che ha gettato le basi del pensiero moderno in merito alla risoluzione dei conflitti, individuava nel conflitto la manifestazione di una differenza da intendere come opportunità di miglioramento di ciò che non funziona. Secondo la stessa, dal conflitto si possono trovare soluzioni creative che non sacrificano nulla ai contendenti, ma che, anzi, integrano i desideri di entrambi.


In sintesi:

   

4.2. I sottostati dell’io

Per comprendere meglio i comportamenti disfunzionali sono indicate di seguito delle sotto modalità di esprimere gli stati del Genitore, dell’Adulto e del Bambino. Ogni stato dell’io ha connotazioni positive e negative, a seconda che favorisca o impedisca l’indipendenza della persona.

 

L’Io Genitore che esprime norme o offre aiuto può presentarsi come:

 

 

Lo stato dell’Io Bambino può esprimersi in vari modi ma passano tutti per le emozioni e il vissuto.

Per semplificare possono essere aggregati in due aree:

  1. adattandosi alle norme personali o sociali (c’è un buon adulto dentro di lui che lo avverte su com’è opportuno comportarsi, è sincero, riflessivo, ben educato, attento al contesto nel senso che in alcuni momenti è più spontaneo, mentre in altri è più attento al contesto)
  2. o esprimendo la spontaneità che gli è naturale (è il bambino che può piangere, ridere, arrabbiarsi, giocare; vive sentimenti adeguati e proporzionati agli eventi; prova tutte le emozioni; è spontaneo, non è scontento, è esplicito, è fantasioso, è contento; trova motivi di contentezza e soddisfazione in sé e negli altri; è capace di percepire il lato positivo delle cose).

Tutte le disfunzioni traggono la loro origine dalle percezioni del bambino rispetto al mondo che lo circonda, da esperienze vissute male o mal decodificate, da eventi oggettivamente traumatici o soggettivamente interpretati male.

 


4.3. Contaminazioni

Quando i confini tra gli stati dell’io non sono chiari e si riscontra una sovrapposizione tra gli stessi, si verificano le cosiddette “contaminazioni” tra gli stati dell’io. In questi casi l’individuo non si mostra capace di superare una situazione conflittuale in modo costruttivo.
Di seguito vengono riportati alcuni casi per comprendere meglio i comportamenti che possono manifestarsi.


Caso 1 - Adulto (A) contaminato dal genitore (G):
è una persona che esprime pregiudizi, non si fida e tende al controllo

 


Caso 2 - Adulto (A) contaminato dal bambino (B)
è quella persona che fa sue delle convinzioni del bambino come se esse fossero reali. È il caso di chi percepisce un dato della realtà e lo interpreta secondo i suoi bisogni e le sue fantasie


Caso 3 - Adulto (A) contaminato dal Bambino (B) e dal Genitore (G)
qualora lo stato dell’io Adulto sia contaminato, trascura le emozioni e i valori, non si cura dei rapporti interpersonali


A fronte delle contaminazioni dell’io Adulto, per superare il conflitto è necessario prendere consapevolezza dei propri pregiudizi, delle proprie convinzioni limitanti, nonché delle svalutazioni che impediscono la costruzione di una comunicazione aperta e autentica.

 


4.4. Esclusioni

Oltre alla contaminazione, esistono dei disturbi disfunzionali legati all’esclusione di uno o più stati dell’Io.
Di seguito alcuni casi:


Genitore escluso

 
 

Bambino escluso

 

 

Adulto escluso

 

  

 

5. Stili comunicativi e posizioni esistenziali

 

Un’organizzazione orientata ai risultati richiede a manager e professionisti di avere padronanza rispetto alla complessa arte di comunicare efficacemente con i propri collaboratori.


5.1. Assertività

Una delle prime caratteristiche della buona comunicazione è l’assertività che consiste nella capacità di mantenere il giusto equilibrio tra passività e aggressività.

 

 


L’essere assertivi implica la capacità di esprimere le proprie emozioni e idee rispettando quelle altrui, senza aggredire e, al contempo, senza essere sopraffatti. L’assertivo utilizza pronomi personali, non utilizza il “devo” o “dovrei”, non maschera le proprie emozioni, esprime con precisione e chiarezza ciò che sente (“Mi è piaciuto quando tu”, “Ho un’opinione differente. Penso che...”, “Vorresti per favore...”, “Io voglio”), è diretto nel comunicare il messaggio alla persona specifica e non ad altri, chiede feedback e risposte: “Sono stata chiaro?”, “Come vedi questa situazione?”, “Che cosa vuoi fare?”.
Avvalendoci delle posizioni esistenziali di Harris che descrivono come una persona vede sé
e gli altri, si può sostenere che lo stile assertivo è quello di chi pensa: Io sono ok, tu sei ok.

 

L’assertività richiede la capacità di fare e accettare critiche

Alcune formule di risposta assertiva alle critiche più comunemente usate:

  • “Vuoi essere più preciso? In che cosa esattamente ho sbagliato?”
  • “Sembra che qualsiasi mio consiglio non sortisca alcun effetto. Vogliamo trovare una via di uscita insieme?”
  • “Desidero risolvere questa situazione con il tuo aiuto”
  • “Mi rendo conto che abbiamo due opinioni diverse”
  • “Voglio essere proprio sicuro di aver capito quanto mi stai dicendo”
  • “Tu come risolveresti questo problema?”
  • “Evidentemente non ho ben capito la situazione”
  • “Poiché non sei d’accordo, cosa suggerisci per risolvere il problema?”
  • “Penso che i tuoi dubbi siano giustificati”
  • “Desidero spiegarti le mie ragioni”
  • “Capisco la tua insoddisfazione, che è anche la mia, pertanto desidero discutere con te il modo di arrivare a risultati migliori”
  • “Penso che tu abbia diritto di vedere le cose in modo diverso da me. Io comunque non condivido il tuo punto di vista”
  • “Accetto la tua critica. Desidero comunque che tu mi faccia degli esempi concreti.” (nota)

 

L’assertività presuppone una buona dose di autostima

La persona assertiva, per relazionarsi in modo appropriato agli altri, infatti, sa attribuire il giusto valore a se stessa, è capace di accettare le critiche che le vengono rivolte, ha il coraggio di dire ciò che pensa e di difendere i propri diritti.

 

L’assertività richiede la capacità di ascolto

Per sciogliere i conflitti praticando l’assertività è necessario avere la capacità di ascolto, da intendere come ascolto in profondità di ciò che l’altro ha da dire, chiedendo spiegazioni, facendo domande, parafrasando le sue affermazioni per verificare se abbiamo capito bene le sue dichiarazioni (“Tu mi stai dicendo che”). L’ascolto attivo e partecipato richiede anche la capacità di cogliere anche ciò che l’interlocutore non dice, i turbamenti nascosti, i messaggi impliciti senza cadere in facili interpretazioni e senza esprimere giudizi.
L’ascolto come dimensione dell’assertività presuppone una postura, una mimica e un atteggiamento congruente con le parole. Anche il corpo attraverso il contatto oculare, la postura e la giusta distanza spaziale deve dimostrare l’accoglienza e l’attenzione per quanto l’altro ci sta dicendo.

 
Esercizio

“Impara a riconoscere ciò che non viene dichiarato”
Pensa a un episodio d’incontro o scontro particolarmente significativo a livello della tua esperienza relazionale.

Riporta per iscritto i comportamenti verbali e non verbali riguardanti quell’episodio.
Seleziona le affermazioni dell’interlocutore, elaborate tenendo conto delle seguenti domande:

  • “Che cosa l’altro mi voleva dire… e non mi ha detto?”
  • “Che cosa l’altro diceva di sé … e non ha dichiarato? Che cosa l’altro voleva ottenere…e non mi ha chiesto?”
  • “Che tipo di relazione aveva instaurato con me e come voleva modificarla…voleva imporsi o sottomettersi?...oppure?”
  •  “Che stati d’animo esprimeva …senza rivelarli direttamente” (nota)


L’assertività richiede l’empatia

Altro elemento necessario per essere assertivi è l’empatia, vale a dire la capacità di cogliere la prospettiva dell’interlocutore assumendone il punto di vista.

 

Stile passivo

È lo stile di chi adotta un comportamento passivo, sottomesso e compiacente, di chi si sente inferiore rispetto agli altri, si sente di non meritare nulla e sfugge alle relazioni conflittuali.
La posizione esistenziale del passivo è del tipo: Io non sono OK, tu sei OK.
Nei luoghi di lavoro questo stile di comportamento si manifesta col timore di perdere la protezione altrui e con la propensione a svolgere attività di routine che non richiedono spirito d’iniziativa.

 

Stile aggressivo

È lo stile di chi adotta nella relazione un comportamento aggressivo di prevaricazione e di dominio. L’aggressivo si sente superiore agli altri, s’impone senza preoccuparsi della reazione altrui, si mostra invadente, chiede favori in modo arrogante e utilizza frasi sminuenti. I comportamenti aggressivi sfociano facilmente in relazioni conflittuali e demotivano i collaboratori.
La posizione esistenziale dell’aggressivo è del tipo: Io sono OK, tu non sei OK.
Le persone aggressive hanno ricevuto nella loro infanzia un’educazione normativa e punitiva,non tollerante rispetto alla fragilità.(nota)

 

Manipolazione e cinismo

L’aggressività può anche manifestarsi in forme mascherate: ad esempio fare il broncio, utilizzare continuamente frasi sarcastiche, ignorare o negare complimenti.(nota)

Un’espressione dell’aggressività è data dal cinismo.
La posizione esistenziale del cinico è del tipo: Io non sono OK, tu non sei OK.
Il cinico è chi cerca di distruggere il positivo che è nell’altro, inducendolo a sottovalutarsi e a non sentirsi efficace.(nota)


 

 

5.2. Assertività: le carezze

Una condizione dell’assertività è la capacità di saper riconoscere i meriti propri e quelli degli altri, esprimere e chiedere apprezzamenti legittimi. Ogni apprezzamento costituisce un segnale di riconoscimento.
Eric Berne sostiene che “qualsiasi carezza” intesa come unità di riconoscimento positiva o negativa, in forma di lode o critica, sia meglio di nessuna carezza. Molti bambini pur di sentirsi riconosciuti dai propri genitori accettano risposte negative e mantengono da adulti la tendenza a comportamenti autolesionisti.
Tradurre questo concetto nella vita lavorativa vuol dire pensare a tutte quelle situazioni in cui il dipendente vorrebbe un feedback, un segnale di riconoscimento dal proprio superiore e non lo ottiene; questo caso specifico, protratto nel tempo, genera disaffezione per il proprio lavoro e demotivazione. A tutti piace sentirsi apprezzati e trattati in modo consono e appropriato.
In ambito lavorativo, purtroppo, si assiste al problema di privilegiare tra le varie funzioni; quelle di controllo trascurano le opportunità di riconoscimento del buon lavoro svolto dai propri collaboratori. Molto spesso, infatti, chi ha responsabilità direttiva si mostra avaro nel riconoscere un lavoro ben fatto o, meglio ancora, nel manifestarlo a chi l’ha eseguito. Si trova più facilità nel riconoscere una piccola imprecisione anche di quelle trascurabili.
Tutto ciò è da ricondurre a una cultura basata più su rimproveri e divieti che sul riconoscimento di ciò che è buono e positivo. Ecco che ai manager è richiesto un notevole impegno nell’affrontare i collaboratori con un approccio positivo del tipo: “mi piace come ha impostato la relazione, bravo”, aggiungendo, se necessario, degli aspetti di miglioramento per il futuro.(nota)
Durante lo sviluppo della personalità, l’individuo apprende dai genitori o dalle figure di riferimento varie modalità nel vivere le carezze: può imparare alcune regole non verbali come ad esempio non chiedere le carezze che desidera, oppure non dare le carezze che desidera. Secondo l’economia delle carezze di Steiner, la gestione delle carezze è basata su cinque punti:(nota)

 

1) non chiedere carezze:
questa posizione si basa sull’assunto che le carezze che rispondono a una specifica richiesta abbiano meno valore di quelle spontanee. Fa parte, invece, dell’essere Adulti la capacità di chiedere in maniera franca e aperta le carezze desiderate, accettando il rischio che l’altro possa rifiutarsi di dare la carezza richiesta e attivarsi, magari, in altra forma per soddisfare il suo bisogno di carezze positive.

2) non dare carezze:
è la posizione in base alla quale viene visto come un pericolo elargire carezze positive; invece, la circolazione di carezze positive, non fa che aumentare il benessere delle persone, colma il profondo desiderio di riconoscimento ed evita l’innescarsi dei conflitti.

3) non accettare carezze:
si tratta di una posizione malsana che porta a respingere le relazioni e la generosità altrui.

4) non rifiutare carezze anche se non le vuoi:
significa sentirsi obbligati a dare o ricevere carezze, ma questo porta ad allontanarsi dalla spontaneità, generando svalutazioni ed emozioni parassite (rabbia, depressione). Nella realtà le persone non sempre si comportano come vogliamo noi; l’importante è essere consapevoli che è un diritto degli altri quello di poter avanzare delle richieste, così com’è nostro diritto rifiutarle se ci infastidiscono o rinegoziarle in base ai nostri obiettivi.

5) non dare carezze a te stesso:
fa riferimento alle carezze interne, cioè alla capacità di riconoscere le proprie qualità e capacità nutrendo così il proprio benessere. Le carezze interne, come le carezze esterne rappresentano un’importante fonte di riconoscimento.


Alla luce di quanto sopra espresso è importante ricordare che quando riceviamo un complimento e pensiamo di meritarlo, perché è coerente con quanto pensiamo di noi, è importante accettarlo e manifestare tutta la nostra riconoscenza con frasi del tipo:

  • “La ringrazio, apprezzo il suo complimento.”
  • “Grazie, mi fa piacere sentirglielo dire.”
  • “Grazie sono contento che l’abbia notato.”
  • “Grazie, è piaciuto anche a me.”


Si può ricorrere alle carezze per migliorare il benessere relazionale all’interno delle organizzazioni, modificando schemi acquisiti in cui possono essersi consolidati comportamenti svalutanti e utilizzo di carezze negative.


Le carezze, in base ai modi con cui vengono espresse, possono essere:

  • Interne: l’individuo cerca in autonomia delle fonti di benessere, facendo cose che gli piacciono (es. un bagno termale, l’ascolto di buona musica, mangiare il cibo preferito)
  • Esterne: derivano dal riconoscimento proveniente da altri
  • Fisiche: implicano un contatto corporeo
  • Mimiche: implicano un messaggio non verbale
  • Verbali: implicano un messaggio udibile
  • Condizionate: legate al fare, ad esempio a un lavoro ben fatto
  • Incondizionate: legate all’essere, a com’è la persona. Es. “Sei una bella persona”
  • Positive: quando sono capaci di creare uno stato di benessere in chi le riceve
  • Negative: quando generano uno stato di disagio in chi le riceve
  • Improduttive: quando non solo tali da creare crescita in chi le riceve
  • Distruttive: quando incrementano in chi le riceve uno stato di disagio che la persona ha già.

  

6. Conclusioni

Le organizzazioni moderne che mettono al centro del loro percorso di crescita le persone, non possono prescindere dall’intraprendere azioni di maggiore investimento in formazione e sviluppo, con attenzione ai modelli di comunicazione assertiva, alla creazione di competenze sulla gestione efficace dei collaboratori e sulla capacità di relazione interpersonale.


DOI  10.4439/mm9

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