Cultura aziendale
e tecniche di gestione

Login utenti

Password dimenticata?

Family business

Protezione del patrimonio

14 Ottobre 2011 • di Saverio Sabatini

La comunione legale tra coniugi nell’azienda e nelle società. Parte 1.

effettua il login per scaricare il pdf

mi piace

Cerchiamo di fare chiarezza in merito all’annosa questione del rapporto tra comunione legale tra coniugi e partecipazioni sociali e tra comunione legale medesima e titolarità dell’azienda. Anche attraverso esempi concreti, chiariremo a chi appartengano le quote di una società (o di una determinata azienda) o i suoi frutti. Il risultato che ne deriverà è tutt’altro che scontato.

Commenta (0 presenti)

 

Sommario

  1. Premessa
  2. Comunione legale e azienda
  3. Le aziende costituite dopo il matrimonio: art. 177 lett. d) c.c.
  4. La comunione de residuo: art. 178 c.c.
  5. I beni personali ex art. 179 lett. d) c.c.

  

1. Premessa

Prima di entrare in medias res e approfondire il tema che ci appassiona nel presente lavoro, è opportuno fornire qualche indicazione sul regime patrimoniale della famiglia, pur senza tornare sui concetti di “Azienda” e “Quote societarie”, dei quali abbiamo già parlato nei precedenti interventi. La dottrina più avveduta ha intravisto nella Riforma del Diritto di Famiglia del 1975 un evidente favor communionis legato all’esplicitata uguaglianza tra coniugi, che ha sancito definitivamente l’abbandono della visione patriarcale della famiglia, in evidente connessione con il dettato costituzionale (nota) .
Si è, così, stabilito che il regime patrimoniale legale sia la comunione dei beni (e non più la separazione), sicché i coniugi che intendano regolare diversamente i loro rapporti economici dovranno dichiarare espressamente la scelta in sede di matrimonio o con una convenzione matrimoniale ad hoc.
Da quest’assunto nasce la lettera a) del comma 1 dell’art. 177 c.c. che fa rientrare nella comunione legale “gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali”; iniziamo ad approfondire il concetto con il primo esempio concreto: se Tizio, coniugato con Caia in regime di comunione legale dei beni, acquista un bene immobile, pur senza il di lei intervento (e al di fuori delle eccezioni di cui all’art. 179 c.c.), quel determinato ricadrà in comunione legale e si reputerà intestato a entrambe i coniugi in pari quote. Tuttavia non si tratterà di una comunione ordinaria, bensì di una c.d. comunione senza quote (anche definita “a mani riunite” di stampo marcatamente germanico), sicché a nessun coniuge sarà consentito alienare la propria quota di proprietà indivisa, non esistendo alcuna frazione di diritto dominicale.
Paradossalmente, invece, il singolo coniuge avrà la facoltà di alienare l’intera proprietà del bene, oggetto di comunione legale, pur senza il consenso dell’altro coniuge, ma tale alienazione sarà annullabile ex art. 184 c.c. (nel termine di un anno dalla data in cui l’altro coniuge è venuto a conoscenza della vendita o comunque entro un anno dalla trascrizione). Questo ha condotto a definire la comunione legale come una comunione “inderogabile” stante l’impossibilità di alienare singole quote e di operare una suddivisione in parti diseguali (nota) .
Ma, come anticipato, il Legislatore ha previsto specifiche e tassative ipotesi di esclusione di un determinato bene dalla comunione legale, ipotesi individuate all’art. 179 c.c. (acquisti effettuati ante matrimonio; beni di provenienza donativa o successoria; beni di uso strettamente personale; beni che servono all’esercizio della professione; beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno; beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali o con il loro scambio), anche prevedendo, per taluni casi - quelli di cui alle lettere c), d), f) del citato art. 179 c.c. - l’intervento ricognitivo del coniuge non acquirente (nota) .
Dunque, avvicinandoci all’argomento cardine del presente lavoro, un’azienda o delle partecipazioni sociali acquistate prima del matrimonio (o acquistate con denaro rinveniente da donazioni o successioni mortis causa) non rientreranno nella comunione legale; allo stesso modo, non rientreranno nella comunione legale immediata i beni di cui all’art. 178, che detta la disciplina della c.d. comunione de residuo: “i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa”.
Nel corso del lavoro ci soffermeremo su tutte le ipotesi relative ad aziende di entrambe i coniugi, o acquistate dopo il matrimonio o prima delle nozze, o gestite dai coniugi o da un solo coniuge e cercheremo di fissare alcuni punti cardine utili all’imprenditore che intenda comprendere se, nel suo singolo caso, l’azienda rientri in comunione legale, de residuo o sia bene personale.
Quanto all’ultimo aspetto, relativo alle partecipazioni societarie, sarà necessaria una rigida distinzione tra società di capitali e società a base personale, con inevitabili cenni alla più recente giurisprudenza di legittimità.

 

2. Comunione legale e azienda (nota)

Val la pena ribadire il dettato normativo dell’art. 177 lett. d): ”costituiscono oggetto della comunione le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio”; comma 2: ”qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi”.
Non v’è chi non veda, dunque, come l’elemento caratterizzante sia la gestione da parte di entrambi i coniugi: si tratta di “elemento di fatto” per il cui accertamento ha rilievo la concreta ed effettiva attività svolta (nota) . Tale elemento della gestione comune da parte dei coniugi consente di distinguere la fattispecie prevista dalla norma dall’impresa familiare, mentre non si potrà applicare tale norma in caso di società gestita da due coniugi, come meglio vedremo nel seguito.
La dottrina si è divisa anche in merito all’oggetto dell’art. 177 lett. d) c.c.: l’opinione preferibile afferma che oggetto di comunione debba essere l’azienda nel suo complesso, aderendo alla teoria della universitas e non a quella atomistica; pertanto non ricadranno in comunione i singoli beni che la compongono, ma la stessa universalità ex se. Torneremo, tra breve, sul requisito della gestione; altro elemento rilevante, ca va sans dire, è il momento dell’acquisto o della costituzione dell’azienda:

  • nel caso, infatti, di azienda acquistata o costituita ante matrimonio, si applicherà il comma 2 dell’art. 177 c.c.; dunque se l’azienda viene gestita da entrambi i coniugi, saranno gli utili e gli incrementi a cadere in comunione;
  • se invece l’azienda viene gestita da un solo coniuge (il titolare), la comunione sarà residuale e riguarderà unicamente gli incrementi dell’impresa, unitamente agli utili prodotti, ma come proventi di attività separata;
  • se, invece, la gestione dell’azienda, acquistata dopo il matrimonio e personale ex art.179 c.c., spetta esclusivamente al coniuge titolare, oggetto di comunione de residuo saranno i beni destinati all’esercizio dell’impresa acquisiti al patrimonio aziendale in una fase successiva all’acquisto e, ancora, gli utili ex art. 177 lett. c);
  • qualora, poi, l’azienda sia stata acquistata da un coniuge prima del matrimonio (bene personale ex art. 179 lett. a) ed esclusivamente da costui gestita, saranno oggetto di comunione residuale gli incrementi dell’azienda ex art. 178 e gli utili ex art. 177 lett. c).

Ma allora è evidente, in una sorta di ring composition, come si torni al punto di partenza: ai fini della immediata caduta in comunione legale dell’azienda, l’elemento qualificante per eccellenza sarà la gestione comune, l’assunzione da parte di entrambi i coniugi della qualifica di imprenditori.


3. Le aziende costituite dopo il matrimonio: art. 177 lett. d) c.c.

Abbiamo visto come ricada in comunione legale tra i coniugi l’azienda costituita dopo il matrimonio e gestita da entrambi i coniugi. Ma vediamo alcuni esempi che possano aiutarci nella comprensione di quanto detto:

1) Tizio, coniugato in regime di comunione legale dei beni con Caia, prima di sposarsi aveva iniziato un’attività d’impresa; a seguito delle nozze, aveva acconsentito che anche Caia entrasse nella gestione aziendale. Oggi Caia non è più interessata all’attività: ferma restando la titolarità dell’azienda in capo a Tizio, cosa accadrà?
Il passaggio a una gestione individuale fa venir meno la comunione immediata degli utili e degli incrementi realizzati dopo il mutamento di gestione, così instaurandosi per gli stessi, il regime della comunione de residuo.

2) Tizio, coniugato in regime di comunione legale dei beni con Caia, acquista un’azienda dopo il matrimonio, come bene personale. L’azienda è solo di Tizio, pertanto, ma viene gestita da entrambi. Se Caia intende dismettere l’attività, cosa accadrà?
In questo caso si verrà a instaurare una comunione de residuo sui beni destinati all’attività d’impresa acquistati dopo la separazione della gestione ed un’ulteriore comunione ex art. 178 c.c. sugli utili.

3) Tizio, coniugato in regime di comunione legale dei beni con Caia, è imprenditore da prima delle nozze ed è anche l’unico gestore dell’azienda. Se intendesse far partecipare anche Caia, cosa accadrebbe?
In questo caso la comunione de residuo sui beni aziendali verrebbe sostituita da una comunione immediata relativa agli utili derivanti dall’attività.

4) Tizio e Caia acquistano un’azienda; in un momento successivo contraggono matrimonio, scegliendo la comunione legale
Pur non essendo specificamente individuata dal codice, in tale fattispecie si reputa (nota) applicabile il comma 2 dell’art. 177 c.c.; dunque i beni acquistati prima del matrimonio rimarranno beni in comunione ordinaria mentre gli utili e gli incrementi cadranno in comunione legale immediata.

 

La dottrina appare divisa sulla natura giuridica dell’azienda coniugale: per quanto taluni abbiano sposato la tesi della natura societaria, si tende a preferire il filone che fa rientrare l’azienda coniugale ex art. 177 lett. d) nell’alveo delle imprese collettive non societarie (nota) . Non sarà, allora, applicabile, la disciplina societaria, bensì esclusivamente quella dettata in materia di comunione legale dei beni, senza alcuna distinzione tra rapporti esterni e rapporti interni tra i coniugi.


4. La comunione de residuo: art. 178 c.c.

Tizio, imprenditore, coniugato in regime di comunione legale dei beni con Caia, acquista un bene immobile per la propria azienda; tale bene cadrà in comunione solo allo scioglimento di questa, sicché non sarà necessario né l’intervento adesivo del coniuge non acquirente (essendo sufficiente la reale destinazione del bene all’attività imprenditoriale) né la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 179 c.c. per evitare la caduta in comunione immediata; tuttavia il controvalore di quel bene, per una quota pari alla metà, dovrà essere riconosciuto a Caia al momento dello scioglimento del vincolo coniugale.
Dunque si riconosce al coniuge imprenditore il diritto a esercitare la propria attività d’impresa senza la partecipazione e l’ingerenza dell’altro coniuge; tuttavia si tende a tutelare il coniuge non imprenditore, assegnandogli il diritto a ottenere il quantum spettantegli allo scioglimento del matrimonio. Vedremo nel paragrafo seguente come tale assunto non sia valido per il caso in cui acquirente sia un professionista e non un imprenditore.
L’esempio più lampante di comunione de residuo ex art. 178 c.c. è quello di Tizio, titolare di azienda individuale, che gestisca autonomamente l’azienda: tutti i beni che vengono acquistati dal coniuge e destinati all’impresa cadranno in comunione de residuo, ovvero solo allo scioglimento di essa. La norma è chiara, ma cosa accade se Tizio, dopo aver acquistato un capannone industriale e averlo destinato alla propria attività imprenditoriale, cessi l’attività? Il bene rimarrà di sua proprietà esclusiva (con la residualità di cui all’art. 178) o ricadrà in comunione legale immediata? Per quanto la ratio della disposizione sembrerebbe deporre a favore di un’immediata caduta in comunione legale alla cessazione dell’attività, essendone venuta meno la finalità imprenditoriale, si preferisce rispettare il dettato letterale della norma e aderire alla teoria che richiede, necessariamente, lo scioglimento della comunione legale quale presupposto per la caduta in comunione medesima.
Come già anticipato, la comunione de residuo comporta la caduta in comunione di un dato bene allo scioglimento della stessa: Tizio, imprenditore, acquista un bene immobile e lo destina all’attività d’impresa; al momento del divorzio con Caia, con la quale era coniugato in regime di comunione legale, cosa ne sarà del detto bene? La dottrina appare divisa: taluni autori sostengono che il coniuge non acquirente diventi comproprietario del bene, così trattandosi di una costituzione ex lege di un vero diritto di natura reale; si aderisce, tuttavia, alla dottrina più autorevole per la quale si tratterebbe, invece, di costituzione di un diritto di credito, vantato dal coniuge non imprenditore. Tale conclusione appare preferibile anche nel rispetto della figura imprenditoriale del coniuge esercente l’attività, il quale si troverà a dover elargire all’altro coniuge il controvalore del bene, trattenendosene la piena ed esclusiva proprietà. Allo stesso modo, si garantisce al coniuge non imprenditore di rimanere esente da rischi tipici dell’attività d’impresa.

Esaminiamo, ora, altre fattispecie.


1) Tizio acquista un’azienda come bene personale manente comunione e la gestisce autonomamente.
Pur trattandosi di acquisto ex art. 179 c.c., si applicherà la disciplina della comunione de residuo, poiché l’art. 178 prevede espressamente il caso dell’azienda personale, applicando la comunione de residuo agli incrementi.

2) Tizio gestisce un’azienda, da lui solo acquistata prima del matrimonio
I beni aziendali rimarranno di proprietà del coniuge titolare mentre gli incrementi saranno oggetto di comunione de residuo.

3) Tizio e Tizia, in comunione legale, acquistano un’azienda dopo il matrimonio:
I beni aziendali appartengono a entrambi in comunione legale, mentre i proventi spetteranno all’altro coniuge solo se sussistenti allo scioglimento della comunione.

4) Tizio gestisce un’azienda di cui è titolare la moglie Caia, con lui coniugata in comunione legale
I proventi andranno al solo coniuge imprenditore e saranno oggetto di comunione solo se presenti allo scioglimento della comunione; i beni aziendali, invece, rimarranno di proprietà di Caia, che potrà locarli o darli in comodato al marito.

La norma non disciplina il caso in cui l’attività d’impresa venga esercitata da una società di cui un coniuge è socio. Tale ipotesi sarà, nel dettaglio, chiarita nella seconda parte di questo contributo.


5. I beni personali ex art. 179 lett. d) c.c.

Tale norma esclude espressamente dalla comunione legale i “beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione”. Quindi se Tizio, avvocato, coniugato in regime di comunione legale dei beni con Caia, intende acquistare lo studio per esercitarvi la propria professione, potrà acquistarlo in piena proprietà, escludendo Caia, purché costei intervenga in atto al fine di prestare la dichiarazione di cui al comma 2 dell’art. 179 c.c.
Evidente la differenza tra le due fattispecie: nel caso del coniuge acquirente, il bene destinato all’azienda cadrà in comunione al momento dello scioglimento di questa; nel secondo caso, invece, tale bene rimarrà sempre personale del coniuge che lo abbia acquistato per esercitarvi la professione (nota) . Ma qual è la ratio di una simile diversità di trattamento?
Il legislatore ha escluso per entrambe le categorie (beni aziendali e beni professionali) la caduta immediata in comunione legale ex art. 177 c.c. e ha individuato il fondamento comune «nella esigenza di tutelare il lavoro e la libertà di iniziativa economica, poiché se il coniuge dovesse rendere conto all’altro coniuge dei beni strumentali alla sua attività lavorativa - sia essa attività di impresa o professionale - nella amministrazione e nella disposizione di tali beni, rimarrebbe fortemente menomata la sua autonomia e libertà di lavoro» (A. LUMINOSO). Così, a parte tale comunanza, non si possono individuare altri punti di contatto, ma solo una palese differenziazione di trattamento; la Cassazione si è espressa sul punto con sentenza n. 7060 del 1986 affermando che tale distinzione sarebbe insita nella logica della disciplina della comunione legale. Infatti al coniuge non imprenditore viene riconosciuto un diritto sui beni acquistati dall’altro coniuge e, in egual maniera, vengono tutelate le legittime istanze dei creditori. Nel caso del professionista, invece, il legislatore ha preferito escludere i beni strumentali dalla comunione, proprio in considerazione del c.d. intuitus personae che contraddistingue questa figura e così «ha inteso tutelare in assoluto la sfera individuale-soggettiva del coniuge», escludendo i beni destinati all’esercizio della professione dalla comunione immediata.
A colmare la scarsa produzione giurisprudenziale sull’argomento, è intervenuta la dottrina, che ha addotto motivazioni diverse: alcuni autori pongono l’accento sul maggior valore economico dei beni destinati all’esercizio della impresa, altri sul tradizionale favore per le professioni intellettuali, altri ancora sottolineano che l’importanza dei beni che servono per l’esercizio della professione è minore rispetto a quella dei beni aziendali, i quali hanno una rilevanza oggettiva che consente di scorporarli dalla attività di impresa, mentre nella attività del professionista l’apporto personale dello stesso è di gran lunga prevalente (per tutti A. LUMINOSO).


 

                                                                                                                           DOI 10/4439.fb11

 

Commenta (0 presenti)

Visualizza articoli per

Funzione
Settore
Rivista

Ricerca