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Strategia e strumenti decisionali

01 Febbraio 2013 • di Carlo Pietrosanti

La “Business Process Reengineering” nelle PMI

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La BPR è un metodo in grado di individuare e rimuovere, attraverso mirati interventi organizzativi, le inefficienze di gestione causate dall’obsolescenza dell’organizzazione interna.

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I costi di un’azienda, escludendo la classica dottrina contabile, possono essere suddivisi in due grandi categorie: quelli contabilmente riscontrabili e quelli nascosti.
I primi sono quelli rilevabili dalle scritture contabili sia di bilancio sia gestionali; i secondi, i più pericolosi, sono “nascosti” perché dovuti all’inefficienza dei processi di gestione. Questi ultimi sono spalmati nell’articolazione dei meccanismi di funzionamento dell’intera azienda e sono subdoli perché, sebbene se ne percepisca la loro virale presenza, sono di difficile quantificazione. Una corretta azione di riduzione del costo di gestione non può che coinvolgere pertanto entrambe le fattispecie agendo sia sulla riduzione della spesa (costi contabilmente riscontrabili) sia sul recupero di efficienza (costi nascosti).

Origine delle inefficienze, e dei costi a esse associati, è il deterioramento, inevitabile nel tempo, dell’assetto organizzativo che è continuamente e fortemente influenzato da agenti sia interni sia esterni all’azienda. Agenti dai quali nessuna impresa è immune; ad esempio:

• evoluzione della domanda;
• obsolescenza dell’offerta;
• modificazioni del mercato;
• concorrenza innovativa;
• perdita di competitività;
• perdite di competenze;
• innovazioni tecnologiche;
• difficoltà di accesso al credito;
• nuove fonti di finanziamento e tanti altri.

L’obsolescenza del sistema organizzativo è pertanto una condizione fisiologica nella vita di qualsiasi impresa, anche se spesso molti imprenditori nelle PMI non la percepiscono perché completamente assorbiti dagli impegni di routine che paradossalmente sono tanto più fitti quanto più sono le inefficienze annidate in azienda.

Esistono tuttavia dei sintomi attraverso i quali percepire l’inadeguatezza dell’organizzazione vigente. Questi sintomi sono tanti e di varia natura; ad esempio:

• errori e ritardi sempre più frequenti;
• aumento delle contestazioni dei clienti;
• aumento delle ore straordinarie lavorate;
• diminuzione delle marginalità;
• incomprensioni tra reparti;
• conflittualità interna;
• clima complessivo degradato;
• tempi di processo in aumento;
• reiterazioni di attività;
• frequenti rotture di stock e altri.

Tutti sintomi che indicano che l’azienda opera in un contesto dove le prassi stanno sostituendo, o hanno già sostituito, le regole e dove le attribuzioni di compiti e di responsabilità, sancite a suo tempo, hanno subìto emendamenti ad personam. Sintomi che indicano che l’azienda, per funzionare, necessita di sempre più frequenti interventi manageriali spesso con soluzioni destrutturate e circoscritte alle singole necessità che di volta in volta si presentano.

La necessità di revisione della propria organizzazione viene tuttavia considerata con attenzione da quelle aziende che possiamo definire “virtuose”, mentre in molte altre realtà, in verità poco virtuose, la necessità non viene ravvisata nonostante la percezione, nella quotidianità, di un disagio funzionale che si manifesta con il crescere nel tempo del numero delle eccezioni nei flussi operativi dell’azienda.
Il sintomo più dannoso di un sistema organizzativo che ha perduto l’efficienza consiste, comunque, nell’aumento progressivo dell’erosione dei margini d’esercizio.

La Business Process Reengineering (BPR) è una metodologia che agisce proprio sui costi “nascosti” perché in grado di individuare e rimuovere, attraverso interventi organizzativi, le inefficienze di gestione causate dall’obsolescenza dell’organizzazione interna. Grazie al disegno della mappa dei processi, primo passo della BPR, si riesce a descrivere e analizzare l’azienda individuandone le aree d’inefficienza mediante l’analisi comparativa con la mappa organizzativa vigente.
La costruzione della mappa dei processi avviene con un classico approccio di tipo top-down: si parte, infatti, dai processi di base, quelli che trovano collocazione nella catena del valore dell’impresa, per scomporli in sottoprocessi e successivamente in attività. Queste ultime non hanno un livello di scomposizione predefinito; l’operazione può essere ripetuta fino al raggiungimento del livello di granularità più idoneo agli obiettivi dell’analisi. Ovviamente le esigenze di approfondimento maggiore sono proprie delle grandi aziende, risultando molto spesso sufficiente, per le PMI, una scomposizione a tre livelli e cioè: processo - sottoprocesso - attività.
La mappa dei processi deve necessariamente abbracciare tutta l’azienda. Una buona analisi, infatti, non può che partire da una rappresentazione completa; qualora così non si facesse, si contravverrebbe alla visione sistemica dell’azienda. La scomposizione invece è quella che potrebbe essere effettuata a livelli di granularità differenti tra processo e processo, come detto in precedenza, in relazione agli obiettivi dell’analisi.

La figura che segue rappresenta schematicamente quanto qui sopra descritto; i processi primari P1, P2,…, Pn, rappresentano la filiera di partenza dalla quale, attraverso una attività di scomposizione, si sviluppa la mappa dell’azienda. Nella figura si può notare che non tutti i processi e/o i sottoprocessi sono stati oggetto di scomposizione, ciò risponde sia ad evidenti costrizioni grafiche sia a titolo esemplificativo di quanto sopra.

 

         


A titolo di ulteriore esempio nella figura che segue è riportata la scomposizione di un processo commerciale di una generica azienda di produzione. Si può notare che il sottoprocesso “marketing” di questa azienda, per gli obiettivi di revisione assunti, per essere rappresentato a fondo, necessita di due livelli di rappresentazione.

 

        


Osservando questa figura è facile capire come si svolge l’attività di revisione; ogni “freccia” della mappa sarà oggetto di analisi e di valutazione dove ciò che è di interesse per l’analista è rilevare il come una attività viene svolta piuttosto che da chi. Nella PMI è infatti abbastanza frequente che ogni impiegato svolga molte attività spesso assegnate per rapporti fiduciari con l’imprenditore o a “nomine sul campo” per dirimere qualche criticità. Tentare di capire l’azienda attraverso il “chi fa che cosa” diventa una inutile dispersione di energie che porta a risultati inefficaci. Sarà la fase successiva di revisione organizzativa a definire, secondo una visione completa e razionalizzata, “chi fa che cosa” attraverso un nuovo organigramma aziendale e nuove procedure.

Alla luce dell’esempio riportato, diventa facile intuire che una revisione dell’organizzazione dell’azienda non può che iniziare dall’analisi dei suoi processi e dal disegno della mappa di questi ultimi. Questo approccio garantisce una rappresentazione assoluta e la certezza d’invarianza nel tempo a meno di cambiamenti sostanziali della “mission”.
Iniziare una revisione del sistema organizzativo partendo dall’organigramma senza disporre della mappa dei processi, porta a disegnare una mappa funzionale che descrive l’azienda “come è” (“as is”) senza però fornire elementi di comparazione su “come dovrebbe essere” (“to be”). Per ottenere risultati efficaci è necessario avere un riferimento assoluto con il quale confrontarsi per valutare la distanza tra il “come è” e il “come dovrebbe essere”; distanza che rappresenta il dominio nel quale si annidano le inefficienze.

La mappa dei processi fornisce pertanto una rappresentazione dell’azienda che è di più alto livello rispetto all’organigramma che, come è noto, è condizionato da fattori contingenti perché si basa sulla divisione del lavoro ed è pertanto caratterizzato dall’assegnazione di responsabilità personali e dalle aggregazioni funzionali dipendenti dalle competenze e dalle leadership delle persone preposte.

Spesso gli imprenditori, di fronte ad evidenti erosioni di marginalità o addirittura perdite di bilancio, intervengono operando tagli sempre maggiori alle spese, agendo cioè su quei costi che appartengono alla categoria dei “contabilmente riscontrabili”. Così facendo operano però sugli effetti, e non sulle cause, spesso nella consapevolezza che il tagliabile è già stato tagliato (l’attenzione ai costi è una costante per qualsiasi azienda) e i risultati attesi saranno necessariamente poco efficaci.
Le vere cause di tali atteggiamenti sono da ricercarsi anche nella mancanza di un metodo oggettivo di misurazione dell’efficienza del sistema azienda e nell’inveterata diffidenza nelle PMI a investire al di fuori nell’area del core business. Investire in metodologie e in revisioni organizzative è ancora un tabù per la altrettanto inveterata convinzione che l’apporto di un professionista esterno possa violare la privacy aziendale.
Nelle PMI, la reingegnerizzazione dei processi difficilmente può essere condotta da personale interno, sia perché è difficile che tali competenze siano presenti sia per il rischio di mancanza di obiettività nell’analisi e soprattutto per il rischio di condizionamenti nelle soluzioni.
Per un professionista, disegnare la mappa dei processi è semplice ed efficace in virtù dell’esperienza; le aziende, infatti, rispondono sempre alle logiche del mercato cui appartengono. Operare su un mercato con un prodotto non esclusivo non può che determinare mappe di processi simili a quelli adottati dalle imprese presenti sullo stesso mercato con prodotti affini. La mappa dei processi non è determinata dalle scelte degli imprenditori, ma è una conseguenza della molteplicità dei fattori che determinano la competizione su un determinato mercato verticale.
Altre sono le scelte imprenditoriali che distinguono tra loro le aziende in competizione sullo stesso mercato: le competenze distintive, il rapporto prezzo/qualità dei loro prodotti, l’affidabilità, i tempi di consegna, la precisione, l’efficacia, la comunicazione, i minori costi di gestione e cosi via. Si tratta di elementi che determinano immagini e posizionamento diverso sullo stesso mercato, ma che sono frutto di scelte strategiche e organizzative che non inficiano la mappa dei processi che è per la gran parte la stessa per tutte.
 

Per concludere con un esempio sicuramente suggestivo si pensi a Fiat, Opel, AUDI,… . Si tratta di aziende profondamente differenti tra loro pur avendo una mappa dei processi che è molto simile, se non addirittura la stessa. Ciò che le differenzia sono proprio le scelte imprenditoriali che hanno determinato assunti strategici e assetti organizzativi differenti.

 

 

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