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02 Maggio 2011 • di Marco Minossi

Il Concessionario di vendita “integrato”: partner ideale per l’internazionalizzazione delle PMI

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Nelle loro strategie d’internazionalizzazione, le PMI risultano penalizzate dalla mancanza di risorse manageriali e finanziarie per insediarsi con profitto nei mercati esteri con un grado di controllo accettabile. Il ricorso agli agenti e ai distributori può sopperire a tale debolezza, ma tali figure spesso non si dimostrano efficaci nel far percepire l’azienda italiana come “presente” nel mercato di riferimento, generando piuttosto un’impressione di tentata vendita, di “mordi e fuggi”, che non aiuta a consolidare né la marginalità, né la posizione competitiva nel lungo termine. Adeguate strategie di Branding e di Contrattualistica possono invece costruire la figura del Concessionario quale partner integrato che permette all’impresa esportatrice di operare realmente da “insider”.

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Sommario

1. L’esigenza delle PMI di essere presenti nei mercati esteri
1.1. Operare stabilmente in un mercato estero
2. Il ricorso al distributore
2.1. Caratteristiche e limiti della figura del distributore
2.2. Distributore tradizionale e concessionario di vendita integrato: profili contrattuali
3. La “governance” del rapporto con il distributore
3.1 Il plus strategico della “piattaforma”
3.2 I costi della “piattaforma”
3.3 La difesa data dal Brand

 

1. L’esigenza delle PMI di essere presenti nei mercati esteri

Nell’internazionalizzarsi, anche le PMI avvertono correttamente l’esigenza di conseguire un vantaggio competitivo (nota) nei mercati esteri mediante il presidio dei medesimi, posto che l’adozione di una semplice strategia commerciale sacrificherebbe fortemente la valorizzazione delle loro competenze distintive, e incanalerebbe la domanda locale sulla richiesta del prezzo più basso possibile. Percependo, infatti, l’esportatore come un’entità distante in tutti i sensi (fisico, culturale, linguistico e di marketing), gli intermediari distributivi e la clientela locale tendono a non considerare strutturata la posizione aziendale nel loro territorio, percepiscono minore valore nell’interscambio non potendo contare sui servizi di customer-care, di pre e post vendita, e sono perciò disponibili all’acquisto solo in base alla attrattività dell’aspetto economico.


1.1. Operare stabilmente in un mercato estero

Operare da insider in un mercato estero implica una serie d’investimenti dovuti anzitutto alla necessità di acquisire, in proprietà o in locazione, dei locali idonei allo svolgimento di un business in loco (“Premises”), da un semplice ufficio per gestire la promozione e le operazioni commerciali di raccolta degli ordini e di customer-care con la clientela (Ufficio di rappresentanza, “ Representative Office” o “ Branch”), a una vera e propria struttura operativa dotata di “ facilities” quali magazzino, show-room, ecc. (dando vita così alle tipologie della “Subsidiary” o della “ Affiliated” company).
Si pone congiuntamente anche il problema della forma giuridica da scegliere in base all’ordinamento locale, con implicazioni di costo differenti ma comunque presenti; inoltre si rendono necessarie risorse finanziarie per realizzare la componente maggiormente strategica garantita da tale forma di presenza nel mercato, che è data, a nostro avviso, dal personale locale che rende possibile annullare le distanze di tipo linguistico e culturale.
È pertanto evidente che in generale, ma durante la recente e perdurante recessione economica in particolare, una PMI non è in grado di affrontare i necessari investimenti che abbiamo sopra richiamato, in forma peraltro solo sintetica. A tale limite si aggiunge spesso anche quello della mancanza di managerialità specializzata, necessaria a realizzare e gestire tale forma d’internazionalizzazione.


2. Il ricorso al Distributore

La maggior parte delle imprese di piccole e medie dimensioni è portata di conseguenza a “puntare” tutte le proprie chanches di reperire e consolidare nuovi mercati di sbocco avvalendosi di tipologie d’intermediazione commerciale quali quelle dell’agente e del distributore: su quest’ultima si concentra l’analisi in questo articolo, per capire se e come tale figura possa evolvere da semplice acquirente-rivenditore a un vero e proprio partner compenetrato nelle esigenze e nelle strategie di una PMI. (nota)
Nella teoria classica del commercio internazionale, il Distributore è – a differenza dell’Agente che si configura prevalentemente come persona fisica – un’organizzazione indipendente che acquista in proprio i prodotti di un’azienda esportatrice, per poi rivenderli in completa indipendenza ai prezzi di mercato.
La definizione di Distributore include peraltro diverse tipologie, che sono quella dell’importatore, del rivenditore e del concessionario di vendita.


2.1. Caratteristiche e limiti della figura del distributore

Da un punto di vista contrattuale, lo schema giuridico fondamentale che regolamenta tale tipo di rapporto è quello della compravendita, che però risulta molto riduttivo rispetto a quella che dovrebbe essere una portata collaborativa e re-distributiva ìnsita nell’accordo. Prova ne è il fatto che, nel diritto commerciale italiano, il contratto di concessione di vendita viene considerato una fattispecie atipica, e viene convenzionalmente collocato a metà tra la compravendita e la “somministrazione” (nota) .
Questo ragionamento testimonia molto concretamente quella che è la potenziale passività dell’esportatore in tale tipo di “business relationship”. A fronte di un rapporto che è teoricamente a costo-zero (tanto che l’avvalersi di un distributore è stato anche definito con la formula “delegare senza investire”) (nota) , l’esportatore si ritrova di fatto a esercitare un grado di controllo del mercato molto basso o nullo, principalmente per tre ordini di motivi:

  • non ha conoscenza dei livelli di prezzo finali applicati dal distributore al mercato estero; può però supporre che la quota più ampia del margine di profitto che essi incorporano sia stata assorbita dal distributore stesso;
  • non ha conoscenza della massa critica e dei nominativi dei clienti, utilizzatori o consumatori dei propri prodotti;
  • non riceve feed-back sul grado di idoneità e di soddisfazione che i propri prodotti hanno generato, con conseguente impossibilità di adattarli al meglio alle esigenze e aspettative locali.


2.2. Distributore tradizionale e Concessionario di vendita integrato: profili contrattuali

Da quanto sopra premesso, si evince chiaramente come un efficace rapporto di concessione di vendita all’estero non possa risultare efficace se viene instaurato e gestito secondo gli schemi tradizionali della distribuzione commerciale, ma vada correttamente e molto più efficacemente costruito secondo le modalità dei cosiddetti “accordi di collaborazione interaziendali” (nota) .
Utilizzando ancora i modelli della contrattualistica internazionale, che costituisce non solo uno strumento di regolamentazione del business ma anche una leva di competitività, possiamo evidenziare come il contratto di compravendita contraddistingua il rapporto con un distributore-importatore (organizzazione che acquista i prodotti per immetterli nel mercato con modalità molto generiche, e del tutto sconosciute all’esportatore); il contratto di agenzia è quello che caratterizza il rapporto con il distributore-rivenditore (che ha come destinatario l’utilizzatore dei beni), a causa della forte valenza promozionale che è propria di questa figura molto commerciale.
Il “concessionario di vendita integrato” opera invece attuando un mix tra le due forme distributive sopra menzionate (compravendita e agenzia), al quale si aggiungono però in misura determinante le caratteristiche proprie del contratto di Franchising (nota) ; questo concetto richiede di essere spiegato più approfonditamente.


3. La “governance” del rapporto con il distributore

Anzitutto, tra esportatore e distributore deve stabilirsi, perché quest’ultimo possa configurarsi come “integrato” nelle strategie commerciali dell’azienda produttrice, un rapporto di “rispondenza di governance” (nota) .
Si noti come l’uso del termine “governance” riferito alla gestione del partner distributivo, appaia molto più efficace dell’altro concetto che viene solitamente utilizzato, quello di “management”, gestione del distributore.
“Governance” indica infatti una forma di gestione molto profonda di una pluralità di aspetti strategici del business, dalla produzione, al pricing, alle forme di pagamento, al controllo degli obiettivi di budget, che si vanno a compenetrare in misura determinante nel rapporto di partnership con la controparte distributiva; implica, soprattutto, la facoltà per l’azienda concedente di indirizzare e controllare le politiche commerciali del concessionario, come avviene da parte del franchisor nei confronti del franchisee.
Per semplice “management” si intende invece la normale attività di raccolta di ordinativi, la consegna delle merci, e le visite periodiche da scambiarsi con il distributore per controllare l’andamento della sua attività.
Infatti, la molteplicità di cointeressenze che caratterizza il rapporto con un concessionario di vendita che voglia definirsi “integrato“ spazia dagli aspetti finanziari, a quelli logistici, a quelli produttivi, a quelli ancora di controllo della qualità (si pensi alle certificazioni di prodotto necessarie in ogni singolo mercato estero), a quelli commerciali tra due organizzazioni aziendali. Certamente, questi ultimi non saranno i soli a contraddistinguere la portata del rapporto.
Non è poi da escludere che a questa sfera di business di tipo “non equity” (cioè, in pratica, contrattuale) di impegni e prestazioni reciproche possa anche affiancarsi o sopraggiungere un impegno di partecipazione societaria (investimento in “equity“) del produttore/esportatore sul distributore, o viceversa.
Appare quindi corretto sostenere che la “business relationship” con un distributore integrato è un problema di governance e non semplicemente di management.

 

3.1. Il plus strategico della “piattaforma”

Il più forte elemento di vantaggio competitivo offerto da un distributore, piuttosto che da un’agente, a beneficio di un’impresa esportatrice che miri a presentarsi il più possibile quale “insider”, e non quale semplice venditrice in un mercato estero, è dato dal concetto di “piattaforma“.
La “piattaforma” indica un insieme di “facilities”, sia logistiche sia di servizio, di cui l’organizzazione distributrice dispone, e di cui l’azienda esportatrice beneficia anche a vantaggio della propria immagine; tra le facilities logistiche, ad esempio, possiamo pensare al magazzino-prodotti del concessionario di vendita integrato, che rende possibile l’approvvigionamento in loco a quei clienti piccoli, che per carenze dimensionali e di know-how non avrebbero la possibilità di gestire un’importazione diretta dall’esportatore italiano. Tali piccole entità, infatti, non solo non hanno capacità di acquisto per containers o camion completi, ma non dispongono neanche delle competenze di commercio internazionale necessarie per intraprendere un rapporto con uno spedizioniere che curi le necessarie formalità. Hanno bisogno, al contrario, di poter ricevere o ritirare in tempi brevissimi le necessarie quantità di prodotti da destinare alla rivendita o all’installazione (secondo il tipo di prodotto in questione) a beneficio di un terzo committente o di un consumatore-utilizzatore finale.
Disporre di una piattaforma a beneficio di questi clienti piccoli – ma che sommati possono portare a un’espressione considerevole di fatturato di vendita – rende possibile la conquista di una quota di mercato destinata altrimenti a concorrenti meglio organizzati sul posto.
Tra le facilities di servizio possiamo citare due esempi molto efficaci offerti dalla “piattaforma”: il primo, la presenza di una show-room, in cui i prodotti vengono mostrati, a volte toccati fisicamente, e sicuramente le cui caratteristiche e vantaggi di impiego vengono spiegate da personale locale specializzato nel settore.
Questa facility non solo rende possibile ai potenziali clienti la comprensione chiara e pratica dei prodotti, ma ingenera anche una positiva percezione sul grado di presenza in loco e quindi di professionalità nei confronti della marca straniera presentata.
Anche il profilo finanziario di questa logica è molto rilevante: i clienti esteri di piccole dimensioni e molto frammentati implicano spesso l’impossibilità per il fornitore italiano di servirli con forniture tutelate da una loro garanzia autonoma (pagamento anticipato, oppure, ad esempio, lettera di credito irrevocabile o “stand-by”), o da una copertura assicurativa del rischio di credito, a causa di possibile sotto-patrimonializzazione, o di troppo giovane età aziendale dell’organizzazione acquirente.
Possiamo pensare allora alle migliori possibilità che ha il concessionario integrato di fornire alla clientela locale quelle condizioni di pagamento dilazionato, indispensabili per operare in taluni settori (immaginiamo l’edilizia o la sub-fornitura meccanica), e che non sarebbero invece praticabili dal sistema di credit-risk management dell’impresa esportatrice. Quest’ultima, da parte sua, godrà con forti probabilità del beneficio di non avere difficoltà ad ottenere in capo ad un’unica e grande organizzazione le garanzie finanziarie o assicurative di cui giustamente necessita.
Il mix dei tre “fattori di piattaforma” sopra menzionati (possibilità di fornire anche piccoli quantitativi direttamente in loco, show-room e gestione dei pagamenti dilazionati) rappresentano quindi il vantaggio competitivo offerto da un concessionario a una PMI, che in via autonoma non disporrebbe delle risorse logistiche, linguistiche e finanziarie per costituire una propria struttura commerciale nel mercato di interesse.


3.2. I costi della “piattaforma”

Tuttavia, il rovescio della medaglia è dato dal fatto che il concessionario, consapevole della valenza strategica che le proprie strutture, i propri servizi e la conoscenza del mercato e dei clienti offrono al suo partner venditore, tende a penalizzare fortemente quest’ultimo nei prezzi d’acquisto che cercherà di imporre, di garantirsi.
In pratica egli è perfettamente consapevole di offrire all’esportatore il vantaggio della “piattaforma”, e prevede in cambio una compensazione cercando di ottenere dal venditore le condizioni di acquisto più favorevoli possibili (non solo il prezzo più basso, quindi, ma anche i termini di pagamento più lunghi e i tempi di consegna più rapidi).
Le difese per l’esportatore in questo caso sono deboli, a meno che il suo “package” di offerta non includa, oltre a un prodotto/servizio affidabile, anche una reputazione o notorietà della Marca (“Brand”) di impresa e/o di prodotti.


3.3. La difesa data dal Brand

Le condizioni in base alle quali un’azienda può proporsi a una controparte estera come detentrice di una marca forte sono molteplici; tra esse, è opportuno evidenziare:

  • il fatto che il proprio nome, i propri segni distintivi e i marchi dei prodotti (naturalmente registrati come Trademarks e non semplici Tradenames, cioè marchi comuni) siano posizionati su un livello reputazionale molto alto nel mercato di provenienza, quindi, ad esempio, in Italia;
  • la possibilità che il partner distributivo estero abbia constatato tale posizione di “fascia alta” mediante eventi fieristici, espositivi e comunicazionali, anche in sede di visite dirette agli stabilimenti dell’azienda fornitrice;
  • la dotazione da parte dell’impresa esportatrice di certificazioni di sistema di qualità aziendale, ambientale, di responsabilità sociale, di conformità dei prodotti, specie se queste ultime attestazioni sono quelle specificamente richieste nel territorio del distributore;
  • preferibilmente, la capacità di dimostrare al distributore stesso, il possesso di una “reference list” di altri mercati internazionali in cui l’azienda è già presente con successo.

In tale fattispecie, il concessionario è di norma disponibile a ripensare le proprie pretese speculative, rispettando maggiormente anche quelle del venditore, in quanto percepisce uno scambio di valore dato da una marca nota in grado di accelerare il “time-to-market” dei prodotti nel mercato estero, e di facilitare la fidelizzazione della relativa clientela.
Come costruire una rete distributiva nei mercati esteri avvalendosi di una strategia di “Brand equità”, anche da parte di piccole e medie imprese, sarà oggetto di uno dei nostri prossimi articoli.

 

DOI 10.4439/ig4
 

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