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10 Maggio 2011 • di Renato Votta

Il capitale intellettuale in azienda: gli indicatori del bilancio

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A differenza della valutazione del capitale economico e finanziario di un’impresa, basata su indicatori desunti da valori e dati attendibili del bilancio, la misura del capitale intellettuale non si ottiene da un sistema di indici univoci e generalizzati. È necessario, quindi, per ogni azienda e per ogni tipo di business, individuare l’insieme di indicatori più idonei a misurare il patrimonio intellettuale.
Oltre alla serie di indicatori intangibili, propri e specifici di ogni azienda e di ogni business, è possibile indicare una serie di indicatori fondamentali che costituiscono la struttura basilare del bilancio.
 

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Sommario

  1. Tipologie di indicatori
  2. Il capitale relazionale interno
  3. Indicatori di efficienza
  4. Indicatori di stabilità
  5. Misurazione del capitale organizzativo
  6. Ulteriori indicatori di efficienza
  7. Indicatori di stabilità
  8. Conclusioni

   

1. Tipologie di indicatori

Il modello guida di bilancio è costituito da 46 indicatori intangibili suddivisi nelle tre macrosezioni: capitale relazionale, capitale organizzativo, capitale umano e, al loro interno, ancora suddivisi in indicatori di crescita e rinnovamento, di efficienza e di stabilità.
Molte imprese, soprattutto le grandi multinazionali e quelle più moderne, hanno già al loro interno adottato molti di questi indicatori e di informazioni.
A titolo di esempio vengono di seguito indicati alcuni indicatori intangibili:

  • Indicatori del capitale:
    • Crescita del fatturato
    • Percentuale delle vendite a clienti fedeli
    • Grado di fedeltà al marchio
    • Customer satisfaction
    • Reclami dei clienti
    • Ritorno del prodotto in percentuale sulle vendite
    • Ecc.

 

  • Indicatori del capitale organizzativo:
    • Numero dei brevetti
    • Fatturato/spesa in ricerca e sviluppo
    • Costo del mantenimento dei brevetti
    • Costo totale del progetto (life cycle/valore delle vendite)
    • Numero di contributi al data base
    • Spesa di information technology/fatturato
    • Indice di soddisfazione dei servizi d’informazione technology
    • Numero di nuovi prodotti lanciati
    • Ecc.

 

  • Indicatori del capitale umano:
    • Reputazione dei collaboratori presso gli headhunter (consulenti di organizzazione aziendale)
    • Anni di esperienza nella posizione
    • Percentuale dei dipendenti con meno dei due anni di anzianità
    • Indice di soddisfazione dei collaboratori
    • Percentuale dei collaboratori che suggeriscono nuove idee
    • Valore aggiunto per collaboratore
    • Ecc.

Quello che manca, purtroppo, è uno strumento capace di operare una vera e propria correlazione tra questi indicatori non tradizionali.
Accade, normalmente, che nelle imprese le indagini di customer satisfaction siano di esclusivo patrimonio del marketing, le indagini di employee satisfaction (soddisfazione dei collaboratori) siano del personale e gli indicatori di efficienza dei reparti produzione e sviluppo organizzativo. Inoltre manca un monitoraggio permanente di questi indicatori.
Il bilancio del capitale intellettuale dovrebbe invece poter monitorare continuamente queste informazioni molto importanti per l’azienda e i suoi stakeholder e poter osservare lo sviluppo nel tempo dei processi di costruzione di patrimonio aziendale e quindi di valore della stessa azienda.
Tutte le imprese meglio organizzate operano per ottenere i risultati più efficaci della gestione delle risorse e di ogni settore. Seguendo questa modalità per compartimenti, c’è il rischio che proprio l’efficienza, l’efficacia e quindi tutta l’essenza dell’impresa, ne risultino alterate.
Ad esempio, un indicatore di efficienza indicato nella sezione del capitale organizzativo, è il fatturato pro capite del personale. È questo un indicatore che tutte le aziende osservano e misurano in maniera più o meno costante. Considerato isolatamente come indicatore di efficienza delle “risorse umane” e “sviluppo organizzativo” rappresenta lo stato di efficacia dell’azienda. Se questo è di livello più che soddisfacente, si evidenzia una crescita dell’efficienza delle persone e della struttura aziendale. Tuttavia, se si inserisce questo dato all’interno del bilancio del capitale intellettuale, si possono osservare alcune correlazioni con altri indicatori intangibili dalle quali traspare una valutazione meno positiva di questo indicatore di efficienza.
Si può scoprire, infatti, che l’aumento del fatturato pro capite del personale si è avuto sottoponendo a stress eccessivo la struttura, provocando una serie di effetti negativi più o meno direttamente correlati come, ad esempio, una preoccupante diminuzione dell’employee satisfaction del personale; un aumento del turnover; la fuoriuscita di persone con competenze strategiche ed essenziali per l’azienda e quindi un calo del livello medio di competenza del management; un calo del livello di soddisfazione dei clienti dovuto ad un cambiamento dell’atmosfera interna o ad una condizione della struttura organizzativa non più capace di gestire con esattezza i tempi e le modalità di consegna al cliente.

 


2. Il capitale relazionale interno

Il complesso delle relazioni instaurate con la clientela già acquisita e quella potenziale ed anche con il mercato, è detto “capitale relazionale” e cioè un patrimonio esterno, fuori dalla struttura aziendale. Esso, infatti, esprime il risultato generato dall’utilizzo di risorse intangibili relative al capitale organizzativo e al capitale umano; è quindi la fonte dei risultati già ottenuti e di quelli futuri.
Per dare un valore ad un’azienda, bisogna procedere dal capitale umano, e cioè dal know-how, dall’insieme delle competenze e delle qualità personali di coloro che operano nell’organizzazione. Tale patrimonio deve poi tradursi in capitale organizzativo di qualità elevata per il possesso di competenze e conoscenze a livello strutturale. Il passaggio successivo è la trasformazione del capitale organizzativo in capitale relazionale. Questo rappresenta la capacità dell’azienda di mantenere la clientela già acquisita e di attrarre quella potenziale; esso, come indicatore, esprime quindi l’attitudine dell’azienda a produrre risultati positivi nel breve periodo ed anche nei tempi più lontani.
I primi indicatori di crescita sono di natura economico-finanziaria (fatturato, ROI, MOL) ed evidenziano l’esistenza di una relazione con i risultati economici e finanziari del bilancio di esercizio.
Gli indicatori intangibili chiariscono i risultati economici passati e danno la possibilità di prevedere il loro sviluppo futuro evidenziando così una stretta correlazione funzionale tra il bilancio di esercizio ed il bilancio del capitale intellettuale.
La crescita del fatturato è utile anche per l’interpretazione dei restanti indicatori intangibili compresi nel bilancio del capitale intellettuale.
Il primo indicatore è la percentuale di fatturato derivante dalla nuova clientela. Esso esprime la capacità dell’azienda di attirare a sé nuovi clienti e quindi generare nuovi affari. La sua conoscenza è di importanza strategica nel business e la sua rilevanza cresce anche nel business to cunsumer.
Si pensi, ad esempio, alla grande distribuzione. La diffusione della carta di credito come mezzo di pagamento consente alle aziende del settore di determinare quante volte una persona ha acquistato in un dato centro di vendita e quindi se si tratta di un cliente già acquisito o di uno nuovo.
Il numero di nuovi clienti acquisiti è strettamente correlato all’indicatore precedente, anche se, concettualmente diverso. Tutti e due indicano la capacità dell’azienda di creare nuovo business, ma il loro significato è sicuramente differente.
Diverso è infatti il caso di un’azienda che ha realizzato un fatturato dalla nuova clientela del 15% e il numero dei nuovi clienti è 1, da quello di un’azienda che ha realizzato la stessa percentuale da 8 nuovi clienti.
È impossibile, in tale ipotesi, accertare se sia migliore la prima o la seconda situazione. Tutto dipende dal tipo di affari che l’impresa gestisce e dall’andamento di altri indicatori presenti nel bilancio del capitale intellettuale, come è il fatturato medio per cliente ed il tasso di “customer loyalty” attuale e passato.
Un altro indicatore è la brand awareness: la conoscenza del marchio è indubbiamente un valore di importanza rilevante per un’azienda. Si deve comunque considerare che la semplice conoscenza del marchio ha scarsa rilevanza, se disgiunta dall’immagine che questo marchio esprime. Un marchio diffusamente conosciuto, ma con un’immagine di un’azienda di scarsa fiducia e qualità, non rappresenta di certo un bene o un patrimonio intangibile.
In questo caso bisogna distinguere se si tratti di prodotti/servizi dell’azienda o dell’azienda stessa.
L’immagine di cui gode l’azienda all’esterno esprime in pratica l’effettivo posizionamento dell’azienda sul mercato. Attraverso l’immagine, l’azienda infatti fornisce informazioni utili sulla qualità che il mercato ed i clienti riconoscono al marchio e all’azienda stessa.
Molti ritengono che sia sufficiente conoscere il livello di soddisfazione dei propri clienti (customer satisfaction index) e quindi determinare la capacità dell’azienda di generare fatturato futuro. Il dato è indubbiamente importante, se si fa riferimento agli attuali clienti dell’azienda, ma non rappresenta un sufficiente indicatore della capacità dell’azienda di attrarre nuovi clienti.
La corporate reputation, invece, essendo determinata dalla valutazione da parte dei diversi stakeholder e del mercato in generale, di qualità congiunta al marchio aziendale, segnala in quale misura i consumatori si rivolgeranno all’azienda per soddisfare le loro esigenze.
Tra gli indicatori di crescita del capitale relazionale, bisogna considerare anche l’immagine dell’azienda presso gli studenti universitari e la reputazione del management presso gli headhunter. I giovani rappresentano sempre una fonte di innovazione e di progresso futuro, mentre la capacità di attrarre o di trattenere i migliori talenti sarà sempre un vantaggio competitivo per le aziende.
Si spiega quindi come un’organizzazione dovrebbe monitorare spesso la sua immagine presso i suddetti studenti, “knowledge workers” di domani, al fine di migliorare la conoscenza che essi ne hanno.
Lo stesso dicasi per la reputazione del management presso gli headhunter. Se la qualità delle persone di comando è alta, è plausibile attendersi buoni risultati di gestione, e pertanto questi dirigenti rappresentano un valore o un rischio.
Il rischio si spiega perché cresce sempre sul mercato la necessità di assicurarsi i servizi di alti manager. È possibile che questi potrebbero ricevere frequentemente offerte di lavoro da parte di aziende concorrenti. Spetta, in questo caso, alla direzione risorse umane di attuare quelle politiche gestionali per limitare il rischio di perdere il personale migliore.
Per ultimo, un elevato apprezzamento del management da parte degli headhunter, conferisce all’azienda la possibilità di reperire facilmente nuovi manager di alto livello.

 


3. Indicatori di efficienza

Gli indicatori di efficienza contribuiscono alla costruzione di una buona immagine aziendale e quindi rappresentano anch’essi una misura dell’effetto prodotto dagli indicatori intangibili di crescita.
Il customer satisfaction, infatti, oltre ad apportare all’azienda una buona immagine, è anche un valido indicatore dell’efficienza ed in particolare dell’efficacia dell’attività aziendale a favore del mercato. Prodotti di qualità, buoni servizi e un’efficiente organizzazione contribuiscono al raggiungimento di un alto livello di soddisfazione dei clienti.
Il customer satisfaction index è tra gli indicatori più significativi della capacità di un’azienda di produrre business.
Tale significatività diventa di più alto livello, se l’orientamento del customer satisfaction index viene confrontato con quello del best performer. Il confronto fornisce informazioni attendibili sul reale posizionamento dell’impresa sul mercato e sulle sue capacità e potenzialità di business. L’analisi dei dati forniti da questo indice può inoltre concorrere a ridefinire le scelte strategiche dell’impresa; infatti, se la soddisfazione del cliente, con riferimento alla qualità ed alla durata dei prodotti, raggiunge risultati pienamente soddisfacenti, la situazioni creatasi potrebbe richiedere un riposizionamento strategico dell’azienda. Si presenterebbe così un’opportunità di mercato.
Nell’indagine di customer satisfaction sarebbe efficace effettuare anche un confronto tra i propri collaboratori sul modo in cui sono presenti fattori critici di soddisfazione della clientela. Il confronto si chiama “mirror analysis” ed ha come scopo la verifica se vi è riscontro tra la qualità erogata e la qualità percepita dai clienti. Il confronto, però, non deve essere fatto su un campione generico della popolazione aziendale, ma su un campione logico di persone che sono in possesso di tutte le informazioni per esprimere un giudizio sulla soddisfazione dei clienti rispetto a ogni fattore critico di soddisfazione, cioè quelli che di norma si relazionano con il cliente e, quindi, conoscono con esattezza la situazione, quella vera, dell’azienda sul mercato.
Un altro indicatore di efficienza è il fatturato medio per cliente. Le informazioni che possono aversi da questo indicatore sono numerose e importanti, come, in particolare, l’analisi della crescita dei ricavi con quella del numero dei clienti. Diversa è l’interpretazione di una crescita di ricavi con una diminuzione del fatturato medio per cliente, da quella con un aumento di questo indicatore.
Nella prima ipotesi si segnala che è aumentato il numero dei clienti attivi, e ciò significa che l’azienda ha saputo acquisire nuovi compratori. Tale situazione limita il rischio della dipendenza dell’azienda da pochi grossi clienti; ma è anche possibile che aumenti la difficoltà di gestire e governare diligentemente la clientela. Nell’ipotesi di una crescita di ricavi unitamente ad un aumento del fatturato medio per cliente, la situazione sarebbe invece diversa ed opposta.
Questa potrebbe palesare un attento governo della clientela, una stabilità delle relazioni, un contenimento delle spese di amministrazione dovuto all’aumento del fatturato, ma una più bassa stabilità del capitale relazionale per il fatto che, pur in presenza di minimo rischio di perdere un cliente, se ciò si verificasse, l’effetto sarebbe grave per l’azienda per i suoi risultati economici e finanziari.
Il numero dei reclami dei clienti è l’ultimo indicatore di efficienza. La sua determinazione è di particolare importanza per le imprese di servizi, soprattutto quelle di grosse dimensioni. È comunque un indicatore non troppo significativo, se si pensa che non tutti sporgono reclami per un disservizio. E ciò si verifica principalmente quando l’immagine dell’azienda carente è piuttosto scarsa. Un indicatore più significativo è il numero dei reclami risolti, in relazione a quelli presentati, con piena soddisfazione del cliente. Il monitoraggio di questo indicatore richiede, tuttavia, un complesso metodo di classificazione dei reclami e degli effetti sui clienti delle iniziative di rimedio prese dall’azienda.

 


4. Indicatori di stabilità

La stabilità del capitale relazionale riguarda il livello di consolidamento delle relazioni con il mercato; sono compresi in questa sezione gli indicatori di customer loyalty, e cioè di fedeltà dei clienti e la durata del rapporto con i fornitori importanti e strategici dell’azienda.
Gli indicatori di customer loyalty possono essere diversi tra loro a seconda del tipo di business in cui l’azienda opera e del tipo di relazioni che essa ha instaurato con i propri clienti. I più semplici sono la percentuale dei clienti fedeli e la percentuale del fatturato derivante dagli stessi.
Il primo esprime il numero dei clienti che l’azienda perde e quello dei clienti che riesce a mantenere; il secondo fornisce la misura del fatturato che si è realizzato dai clienti acquisiti.
Le varianti di questi due indicatori sono molteplici. È interessante, ad esempio, verificare il tasso di riacquisto dei clienti fedeli: immaginando 100 il fatturato dell’anno precedente, bisogna determinare quanto gli stessi hanno riacquistato nell’anno successivo.
L’indicatore, segnalando il numero dei clienti rimasti fedeli e le quantità di fatturato derivata da clienti acquisiti, esprime se il trend di riacquisto è positivo o negativo, ovvero se i clienti fedeli acquistano più o meno, o nella stessa misura, rispetto all’anno precedente.
Il monitoraggio di questi dati fornisce all’azienda un altro segnale: un trend di riacquisto in diminuzione, infatti, può far prevedere le perdite del cliente; la conoscenza di questi dati consente all’azienda di individuare le cause della diminuzione del fatturato realizzato con tale cliente e di intervenire preventivamente ed in tempo utile.
Per le imprese operanti da lungo tempo sul mercato, e le cui relazioni con i clienti risultano durature e consolidate, un indicatore del capitale intellettuale è dato dalla durata di questi rapporti.
L’indicatore, in questo caso, può essere la durata complessiva del rapporto con i clienti fedeli valutata in base al fatturato. Attivando un tale indice, si è in grado di stabilire che tipo di clienti si perde, se di lunga durata o acquisiti da poco. Il loro peso è infatti molto diverso e differenti sono anche gli sviluppi organizzativi, di gestione e di strategia. Se, ad esempio, si perde un cliente d’importanza media, per quanto riguarda il fatturato, il cui rapporto con l’azienda dura da un anno, l’indicatore di customer loyalty diminuirebbe ma in misura poco rilevante. Se invece questo stesso cliente aveva relazioni commerciali da molti anni, l’indicatore subirebbe una decisa diminuzione. Non è esatto quindi asserire che la perdita del cliente “giovane” sia meno grave rispetto a quella di un cliente storico.
Molti sono infatti i fattori, alcuni dei quali possono portare a giudizi opposti; se, ad esempio, la perdita dei clienti giovani diventa sistematica, significherebbe che l’azienda non è in grado di capire e soddisfare pienamente i clienti conosciuti da poco, e ciò che è più grave, ha dimenticato il modo di gestire un rapporto con un cliente nuovo e continua la sua attività grazie a relazioni basate più su rapporti personali che sul valore del business.
In genere, però, la perdita di un cliente storico può essere più grave ed esprimere che qualcosa di serio è avvenuto al proprio interno o sul mercato. Perdere un cliente storico significa perdere un patrimonio in termini di capitale intellettuale. Significa che anche i collaboratori aziendali con molti anni di esperienza hanno dimenticato il modo di comportarsi per generare un fatturato sicuro e che l’offerta dell’azienda non è più all’altezza delle esigenze del mercato, o che nel settore sono presenti concorrenti validi presso i quali il cliente non ha potuto non instaurare un rapporto commerciale.
Questi esempi dimostrano che non è possibile misurare il customer loyalty di un’azienda con indicatori standard; bisogna preliminarmente individuare quale tipo di informazioni si vogliono avere e solo successivamente costruire l’indicatore più idoneo.
Una corretta scelta dell’indicatore di customer loyalty consente di osservare costantemente il comportamento dei propri clienti, in particolare quelli fedelmente legati all’azienda.
Gli ultimi due indicatori sono il numero dei fornitori e la durata media del loro rapporto con l’azienda.
Lavorare con fornitori integrati con l’azienda e con un rapporto di lungo periodo, fornisce, per esempio, maggiori garanzie per il cliente in termini di fedeltà e soddisfazione. Inoltre fornitori-partner contribuiscono all’acquisizione di know-how da parte dell’azienda. Si spiega così come la perdita di un fornitore strategico può essere più grave della perdita di un cliente.

 


5. Misurazione del capitale organizzativo

Il capitale organizzativo è l’insieme del know-how della struttura aziendale con la capacità di innovare l’efficienza dei processi produttivi e l’efficacia del business, il livello della coerenza della cultura aziendale, il grado di capacità del managment e la capacità della struttura di soddisfare e valorizzare le proprie risorse umane.
Su questo argomento è rilevante l’analisi di indicatori di crescita, di efficienza e di stabilità.
Per quanto riguarda gli indicatori di crescita, il primo è la percentuale di fatturato derivante da nuovi prodotti. Questo indicatore segnala il peso del fatturato generato da prodotti innovativi e consente di osservare questo trend negli anni successivi.
È importante anche osservare che s’intende per “nuovi prodotti” non solo quelli innovativi dal punto di vista tecnologico; questi non sono molto frequenti e non tutte le aziende sono in grado di avere il ruolo di leader tecnologico del mercato. Alcune aziende, per ragioni strategiche e di posizionamento, decidono di svolgere il ruolo di “follower” e cioè di imitare la tecnologia ed i prodotti delle altre aziende apportando una differenziazione sul prezzo e sulle politiche di vendita.
L’indicatore, quindi, considera tutti i nuovi prodotti lanciati sul mercato dall’azienda, siano essi innovativi o no.
Ogni azienda moderna che lancia un nuovo prodotto sul mercato fa stime molto oculate (break even point, ROI, quote di mercato, ecc.) e pertanto ancora oggi queste informazioni sono gestite prevalentemente dal settore marketing e il nuovo prodotto non viene considerato come asset del capitale intellettuale aziendale.
Un indicatore di innovazione connesso al precedente è la percentuale di fatturato investita in ricerca e sviluppo. Spesso questo indicatore è ritenuto un segno della capacità d’innovazione dell’azienda. Non è sufficiente l’investimento in mezzi perché l’azienda sia considerata innovativa. L’innovazione prevede un’analisi più approfondita di quella che si rappresenta nei bilanci tradizionali. L’investimento in ricerca e sviluppo, nel bilancio del capitale intellettuale, viene illustrato dettagliatamente nelle sue linee guida e logiche specifiche e correlato con altri indicatori intangibili come, ad esempio, il numero di brevetti e marchi registrati e le quote d’investimento in asset intangibili che si riflettono sul capitale intellettuale dell’azienda: marketing, information & communication tecnology.
Il numero dei brevetti e marchi registrati dipende anche dalla politica seguita dall’azienda. Vi sono aziende, anche molto innovative e creative, che decidono di non brevettare. Ciò può avvenire sia perché i costi sono elevati e sia perché la registrazione deve essere comunicata ai concorrenti fornendo a questi idee cui non sarebbero potuti giungere in tempi brevi.
Come si vede, è importante che i brevetti ed i marchi siano realmente “in produzione” ovvero inseriti in qualche processo di business che genera valore per il cliente.
Un altro indicatore importante è la percentuale d’investimenti in asset intangibili. Ne fanno parte le spese di marketing che vanno a consolidare il brand, l’immagine, la customer satisfaction, la formazione che aumenta le conoscenze e le competenze delle risorse umane aziendali e gli investimenti in information & communication technology che apportano efficienza ai principali processi di business.

 


6. Ulteriori indicatori di efficienza

Tali indicatori sono strettamente correlati alla tipologia di business in cui opera l’impresa.
Se si tratta di imprese industriali, è esatto rappresentare in bilancio degli indici di efficienza quali la produttività degli stabilimenti e dei reparti ed il tasso di utilizzazione degli impianti. Essi sono il risultato di un know-how produttivo, di un know-how organizzativo che consente di programmare il funzionamento degli impianti ed infine di un know-how e di una componente umana che determina il buon funzionamento della macchina produttiva. La mancanza di uno di questi tre elementi di efficienza incide negativamente sui risultati degli indicatori di efficienza dei processi. Si spiega quindi perché essi vadano giustamente considerati “beni” di cui è composto il patrimonio intellettuale dell’impresa. Se si tratta di un’azienda di servizi, è possibile comprendere all’interno di questa sezione degli indicatori connessi ai principali processi di business che hanno una diretta influenza sul cliente.
Il tempo medio per lo sviluppo di nuovi prodotti è uno dei principali indicatori di efficienza sia per le aziende industriali sia per quelle che operano nel territorio avanzato.
Un secondo indicatore è la percentuale di personale amministrativo o “di struttura”. Si tratta di personale non direttamente utilizzato nell’attività di produzione, sia essa manifatturiera o di servizi. Questo indicatore è importante soprattutto per le aziende in forte crescita economica.
Infine, un indicatore molto osservato e riportato nei bilanci di esercizio, è il fatturato pro-capite del personale. Una crescita del fatturato può derivare da un miglioramento dei processi e/o della struttura organizzativa e informatica dell’azienda (in questa ipotesi il dato è positivo), oppure da un eccessivo stress sulla struttura stessa o da un sovraccarico di lavoro a danno del personale dipendente. Una tale situazione, positiva nel tempo breve, come abbiamo già evidenziato in precedenza, potrebbe produrre effetti negativi nel medio periodo, provocando un incremento di turnover, la perdita di professionalità e possibili ripercussioni sulla soddisfazione del cliente.

 


7. Indicatori di stabilità

Tali indicatori devono fornire informazioni sul grado di solidità del patrimonio intellettuale dell’azienda. Molte imprese, ricche di capitale intellettuale presentano, però, un elevato rischio come, ad esempio, quelle appartenenti al settore dell’information technology e le società di consulenza. L’aleatorietà consiste nella perdita di competenza, per cui è necessario monitorare costantemente determinati indicatori che possono fornire attendibili informazioni sulla solidità del patrimonio intellettuale.
L’immagine aziendale interna è un indicatore che apporta informazioni sulla percezione che i collaboratori hanno dell’azienda in cui lavorano. A tal fine si utilizza un questionario analogo a quello usato per la rilevazione della corporate reputation.
Il principio su cui l’indicatore si basa è lo stesso della mirror analysis di customer satisfaction, di cui già si è detto in precedenza.
L’immagine aziendale interna (internal corporate image) è un mix comunicativo implicito ed esplicito che ogni organizzazione attiva al suo interno e nei confronti del mercato.
L’importanza di questo asset intangibile risiede nei tre seguenti fattori.

  1. Esprime il grado di fondatezza e di solidità dell’immagine esterna. Una convergenza tra l’immagine che hanno i collaboratori dell’azienda in cui operano e quella dei clienti sul mercato conferma che la comunicazione è stata efficace e che le attese del mercato e del personale nei confronti dell’impresa sono coerenti con ciò che essa può offrire. La mancanza di una sintonia tra le due percezioni è un segnale di debolezza e di fumosità dell’immagine esterna. Ciò significa che la corporate image si basa più sulla pubblicità che su una reale differenziazione dai concorrenti riconosciuta dagli stakeholder.
  2. Rappresenta una misura del grado di attrazione dei propri collaboratori, nel senso che l’immagine interna, unita con l’employee satisfaction index, segnala una misura della capacità dell’azienda di attrarre i suoi dipendenti. Una tale immagine è manifestazione di vitalità aziendale e di stabilità del capitale intellettuale.
  3. Evidenzia i principali giudizi critici da superare e le lacune da cancellare. Le aziende, per sedurre nuovi clienti, commissionano, oltre a indagini della propria immagine sul mercato, anche quelle di benchmarking con i principali concorrenti e i leader del settore. Il confronto con i risultati delle altre aziende evidenzia i punti deboli dell’azienda riconosciuti dal mercato e le eventuali carenze da colmare.

 


8. Conclusioni

Obiettivo di questo mio contributo (vedi anche “Il capitale intellettuale in azienda: misurazione e classificazione degli asset intangibili”, nella stessa rivista) è di dimostrare che parlare di capitale intellettuale non è un mero esercizio retorico, o una pratica per dare lavoro a uomini del personale e consulenti: si tratta invece di un argomento di rilevanza strategica e di contenuti trasversali, su cui grandi aziende internazionali hanno sempre di più focalizzato la loro attenzione negli ultimi anni. Conoscere i principali elementi di questo approccio metodologico e culturale risulta sicuramente importante per tutti coloro che vogliano lavorare al di fuori e al di là di schemi tradizionali spesso inadeguati e non più rispondenti alle esigenze e alle logiche dei mercati.
 

DOI  10.4439/mm6

 

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