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03 Giugno 2011 • di Luca Del Federico

Holding di famiglia: l’acquisto di arredi di prestigio (quadri, statue, ecc.) è deducibile dal reddito d’impresa?

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È da ritenersi deducibile, ai sensi dell’art. 108, comma 2, del Tuir, l’acquisto di un’opera d’arte da esporre nei locali aziendali come spesa di rappresentanza. In tal senso, l’art. 1, comma 2, del decreto ministeriale del 19 novembre 2008 definisce il periodo d’imposta d’imputazione delle spese di rappresentanza e i limiti di deducibilità delle stesse.

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Sommario

  1. Premessa: ammortamento delle immobilizzazioni
  2. Arredi di prestigio (mobili, quadri antichi, statue, ecc.)
  3. Ammortamento degli arredi di prestigio
  4. L’acquisto di arredi di prestigio è configurabile come spesa di rappresentanza e non come acquisto di beni strumentali da ammortizzare

  

1. Premessa: ammortamento delle immobilizzazioni

A differenza della normativa previgente (che prevedeva la deducibilità delle spese di rappresentanza nella misura di un terzo del loro ammontare per quote costanti nell’esercizio di sostenimento e nei quattro successivi), il comma 2 dell’art. 108 - nel testo in vigore dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 - stabilisce che “le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti d’inerenza e congruità stabiliti con decreto (...)”.
Al riguardo, l’art. 1, comma 2, del decreto 19 novembre 2008 prevede che le spese di rappresentanza, “deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento, sono commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi riguardanti lo stesso periodo in misura pari:

  1. all’1,3 per cento dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni;
  2. allo 0,5 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni;
  3. allo 0,1 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni”.

 

Tale norma stabilisce, quindi, un limite quantitativo entro il quale le spese di rappresentanza sono da considerare “congrue” rispetto al volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e, come tali, deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute (c.d. plafond di deducibilità).
Le immobilizzazioni aventi un’utilizzazione limitata nel tempo devono essere ammortizzate in ogni esercizio “sistematicamente” e in relazione alla residua possibilità di utilizzo. Ad ammortamento sono sottoposti tutti i beni che si trovano nel patrimonio della società, anche se non sono beni strumentali in senso proprio, purché questi beni siano produttivi di reddito da aggiungere a quello conseguito con lo svolgimento dell’attività sociale.
La sistematicità dell’ammortamento è da intendere nel senso che non è corretto determinare anno per anno le aliquote di ammortamento, ma si deve predisporre un piano iniziale e generale della vita utile di ciascun bene: si devono evitare poi accelerazioni o rallentamenti dei piani di ammortamento in funzione dei risultati dell’esercizio.
Ovviamente, ciò non significa che il piano inizialmente determinato non possa essere modificato per adeguarlo alle sopravvenute circostanze; si tenga poi presente che l’ammortamento deve essere effettuato anche se il bilancio chiude in perdita e ciò per la partecipazione delle immobilizzazioni alla produzione economica. Le immobilizzazioni devono essere ammortizzate sistematicamente, ossia in quote tendenzialmente costanti, fissate di anno in anno dagli organi direttivi dell’impresa, calcolando la quota di ammortamento in relazione alla residua possibilità di utilizzazione e indicando nella nota integrativa i movimenti secondo quanto richiesto dal n. 2 dell’articolo 2427 del codice civile.
Ad ammortamento si sottopone il costo (di acquisto o di produzione) in base alla residua possibilità di utilizzazione dello stesso. Questa formula consente di tener conto di tutte le componenti dell’ammortamento e non solo del deperimento e del consumo (durata fisica, obsolescenza fisico-tecnica, durata tecnologica, durata economico-finanziaria, durata commerciale, piani aziendali di sostituzione dei beni, piani di manutenzione dei beni, vincoli economici o legali).
La determinazione dell’ammortamento è comunque rimessa alla discrezionalità tecnica dei redattori del bilancio, ma le scelte compiute devono essere attentamente motivate e sottostanno a regole ben precise ed oggettive di determinazione che non possono mai sconfinare nell’irragionevolezza o arbitrarietà.
Le immobilizzazioni possono essere ammortizzate civilisticamente anche secondo le aliquote fiscalmente previste, se esse corrispondono al deperimento e consumo, a condizione che la coincidenza tra aliquote fiscali e parametri civilistici sia illustrata, anche sinteticamente, nella nota integrativa.
Sono deducibili, ai fini della determinazione del reddito d’impresa (art. 102 Tuir), le quote d’ammortamento dei soli beni materiali strumentali per l’esercizio dell’impresa.
Fondamentale nella definizione di ammortamento, ai fini fiscali, è il principio che lo stesso è finalizzato a rappresentare, quantificandolo, il deperimento che il bene strumentale subisce in relazione all’utilizzazione che l’impresa ne fa durante il periodo d’imposta: può essere dunque fiscalmente consentita una procedura d’ammortamento solo là dove esiste un deperimento e/o un consumo di un bene strumentale.
Il Legislatore civilistico ha mostrato di essersi sostanzialmente ispirato alla fonte ragioneristica, là dove ha chiarito che la “formula, in relazione con la residua possibilità di utilizzazione, è sembrata la più idonea a ricomprendere tutte le componenti dell’ammortamento (usura fisica, superamento tecnologico, minore alienabilità del prodotto ottenuto con l’impianto, etc.)”; rimane, ovviamente, la differenziazione in ordine alle modalità di quantificazione che, nel campo civilistico, sono lasciate alla prudente valutazione dell’amministratore mentre, nel campo fiscale, sono inderogabilmente definite dalle tabelle dei coefficienti approvate con decreto del Ministro delle finanze (D.M. 31 dicembre 1988).

In conclusione, le condizioni da verificarsi affinché un bene, in possesso di un’impresa, possa essere fiscalmente ammortizzabile sono due:

  • che il bene sia strumentale (nel senso sopra detto);
  • che l’uso che ne fa l’impresa ne determini deperimento e/o consumo.


 

2. Arredi di prestigio (mobili, quadri antichi, statue, ecc.)

I mobili, i quadri antichi e i tappeti, sono da ritenersi fiscalmente strumentali all’attività d’impresa (poiché non può negarsi importanza alla cura dell’immagine aziendale); la possibilità che essi scontino una procedura d’ammortamento fiscalmente rilevante è strettamente legata all’uso che ne viene fatto. In altri termini se sedie, poltrone, scrivanie sono materialmente usate quali strumenti di lavoro e sono quindi sostitutive dei normali mobili e arredi d’ufficio, non può essere assolutamente messa in dubbio la soggezione degli stessi ad un processo di deperimento e/o consumo e dunque di ammortamento.
Se, viceversa, tutto questo non avviene, non può neppure ipotizzarsi la possibilità di un processo d’ammortamento fiscalmente rilevante.
Una considerazione a parte va fatta per i quadri per i quali può essere ipotizzabile un uso nel senso considerato, poiché possono, comunque, subire consumo e/o deperimento e quindi una procedura di ammortamento perché sarebbe pur sempre rilevante il deperimento conseguente alla loro esposizione alla luce e all’uso in ambienti di lavoro.
Da evidenziare che tutti i costi sostenuti per beni non fiscalmente ammortizzabili sono, comunque, riconducibili tra quelli pluriennali e pertanto deducibili.
Pertanto si può ritenere che:

  • vi è strumentalità fiscale di un bene se questo è suscettibile di essere assoggettato ad ammortamento;
  • vi è suscettibilità di un bene a essere assoggettato ad ammortamento se lo stesso è ricompreso nella tabella dei coefficienti d’ammortamento;
  • un bene è fiscalmente strumentale e dunque ammortizzabile se è ricompreso nella tabella dei coefficienti d’ammortamento.


 

3. Ammortamento degli arredi di prestigio

Qualora si applicassero questi principi elaborati dalla prassi amministrativa dell’Amministrazione finanziaria alla fattispecie concreta in esame, non potrebbe che affermarsi la rilevanza fiscale delle quote d’ammortamento di tutti i beni citati in considerazione del fatto che per le “Altre attività” ai sensi del D.M. 31 dicembre 1988 è prevista la voce “Arredamento” al cui interno possono senz’altro collocarsi mobili, quadri antichi, tappeti con una percentuale d’ammortamento del 15 per cento.
Conclusione questa, peraltro, che ci appare in linea con una corretta metodologia interpretativa della normativa fiscale richiamata.
A conferma di quanto esposto si può segnalare il parere del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive del 5 maggio 2005, n. 8, il quale ha previsto espressamente la deducibilità attraverso le quote di ammortamento dei seguenti beni, individuati come strumentali:

  • statua in metallo da esporre nell’area pertinenziale della sede;
  • quadro intitolato “La piana” da esporre nella sede.

Il Ministero delle finanze ha previsto, infatti, esplicitamente che “sono da qualificare come spese per l’acquisto di beni strumentali (arredi dell’immobile) da dedurre mediante ammortamento, quelle riguardanti:

  • Statua in metallo, da esporre nell’area pertinenziale della sede.
  • Quadro intitolato “La piana”, da esporre presso la sede”.

La mancanza della voce arredamento nelle tabelle delle attività manifatturiere ovvero commerciali previste dal decreto ministeriale consente di utilizzare la tabella residuale che comunque prevede la voce arredamento e la percentuale del 15 per cento.
Laddove la strumentalità di determinati impianti o apparecchi non sia caratteristica esclusiva delle attività imprenditoriali per le quali ne è fatta espressa menzione, non vi è ragione di escludere che lo stesso strumento produttivo, se utilizzato da imprese appartenenti a un gruppo diverso da quello che lo contempla espressamente, ma per lo stesso uso, e, quindi, sottoposto allo stesso processo di usura, possa fruire dello stesso coefficiente di ammortamento, ancorché non letteralmente inserito nel gruppo delle imprese che, di fatto, se ne servono per l’espletamento della propria attività, posto che la mancata previsione espressa di un bene ammortizzabile per un gruppo non ne esclude il carattere strumentale, ma significa solo che quel bene non è stato ritenuto strumento tipico del gruppo per il quale non è previsto espressamente, ma nel quale nulla impedisce che possa essere analogicamente attratto in considerazione del processo di usura cui è sottoposto, non diverso da quello del gruppo per il quale è previsto specificamente e al quale è accomunato dall’identità della funzione strumentale.
Da ciò discende che un bene è ammortizzabile, a prescindere dalla sua inclusione nella Tabella, e che l’eventuale lacuna costituisce solo un ostacolo tecnico, superabile con gli strumenti che i principi generali del diritto mettono a nostra disposizione.
Del resto, che tale debba essere la conclusione è dimostrato anche dall’impossibilità pratica che una tabella, per quanto ampia, possa comprendere tutti i beni ammortizzabili suddivisi per tutti i settori immaginabili.
Impossibilità che ha indotto il Ministro delle Finanze non solo a frequenti integrazioni, ma soprattutto a prevedere un gruppo aggiuntivo dedicato alle “attività non precedentemente specificate”.
Deve ritenersi che il problema vada risolto nel senso che anche il costo di un bene non incluso nella Tabella possa essere ammortizzato quando sussistono le altre condizioni precisate in precedenza.
Infatti, l’importo deducibile viene determinato in base a un decreto ministeriale (D.M. 31 dicembre 1988) che fissa aliquote previste in modo specifico per settori industriali e commerciali.
La Tabella del decreto citato elenca ben ventidue gruppi di attività; chiudono la Tabella due serie di coefficienti di ammortamento previste per regolamentare le “Attività non precedentemente specificate”: Fiere e rassegne ed Altre attività.
In via generale, un’impresa dovrà identificare la propria corretta collocazione nelle specie di attività elencate nei diversi Gruppi; qualora non sia possibile identificare la propria particolare categoria di cespiti con una di quelle elencate all’interno della Specie del Gruppo, occorre seguire il metodo delle successive approssimazioni.
In primo luogo, occorrerà vedere se tra le altre categorie di cespiti elencate nell’ambito della propria Specie di attività ne esista una cui sia riconducibile la categoria di cespiti non descritta in modo specifico.
Qualora tale operazione risulti infruttuosa, si cercherà la corrispondenza in una categoria di cespiti indicata in una specie dello stesso Gruppo ovvero in una Specie di un altro dei ventuno Gruppi specificamente elencati.
Infine, dovrà ricondursi direttamente alla categoria residuale delle attività non precedentemente specificate (Altre attività); infatti, l’insieme delle categorie di cespiti elencate nell’ambito di tale categoria residuale aggiunge alcune categorie di cespiti diverse da quelle elencate in precedenza nell’ambito dei ventidue Gruppi, intendendosi pertanto che la residualità attenga sia al tipo di Attività sia al tipo di cespiti.
Ai coefficienti di ammortamento di tale categoria residuale andrà, quindi, fatto riferimento sia qualora nell’insieme dei ventidue Gruppi non si riscontra la specifica attività, sia qualora non si accerti una particolare categoria di cespiti nei Gruppi precedenti.
Pertanto, anche a fronte delle precise interpretazioni ministeriali e delle considerazioni appena effettuate, non può assolutamente dubitarsi della deducibilità degli ammortamenti nella misura del 15 per cento di tutti i beni acquistati ma comunque utilizzati in ambito aziendale, quali mobili ed arredi d’antiquariato, tappeti di prestigio e beni similari.
D’altra parte basti osservare che ove il Legislatore ha ritenuto non deducibili le quote d’ammortamento di oggetti d’antiquariato, lo ha disposto espressamente come nel caso di determinazione del reddito di lavoro autonomo, nella previsione di cui al secondo comma dell’articolo 54 del Tuir, facendo rientrare gli acquisti di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione nelle spese di rappresentanza di cui al comma 5 del medesimo articolo.
In merito, si deve prestare attenzione alla terminologia utilizzata dal Legislatore nella fattispecie in esame: “oggetti” e non “beni”. Quindi, ad esempio, un libro antico ma non una scrivania di antiquariato che ha comunque una funzione sostitutiva di un mobile d’ufficio nell’uso che ovviamente se ne andrà a fare.
Tuttavia un’opera d’arte (intesa in quanto tale) di eccezionale valore e oggettivamente definibile come tale (ad esempio un quadro di Picasso) non sarebbe mai ammortizzabile, per l’Amministrazione finanziaria, in quanto non potrebbe subire alcun deperimento ma anzi acquista valore nel tempo.
Nel parere del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive n. 29/2005 si è ritenuto, infatti, che per una scultura antica d’ingente valore da acquistare e collocare nella sede legale della società:

  • il costo nel caso in esame si riferisce ad un bene di notevole pregio artistico che trova allocazione nel patrimonio aziendale;
  • l’ammortamento, sia sul piano civilistico sia su quello fiscale, è riferibile a beni che abbiano un periodo d’impiego finito e non è, quindi, estensibile a tutte le immobilizzazioni;
  • in particolare, l’art. 102 del Tuir individua il presupposto dell’ammortamento dei beni strumentali nel “deperimento e consumo nei vari settori produttivi”;
  • un’opera d’arte come quella in esame (una scultura antica), in quanto destinata a durare senza limiti di tempo, presenta una vita economica pressoché infinita, con la conseguenza che, alla stessa stregua - ad esempio - dei terreni, non è possibile quantificarne la vita utile ovvero individuarne una progressiva diminuzione dell’utilità rilasciata al processo produttivo o un qualsivoglia deperimento economico.

 


4. L’acquisto di arredi di prestigio è configurabile come spesa di rappresentanza e non come acquisto di beni strumentali da ammortizzare.

A nostro giudizio però l’acquisto dell’opera d’arte si dovrebbe ritenerla spesa di rappresentanza e come tale deducibile ai sensi dell’art. 108 del Tuir, anche se il Comitato consultivo nel Parere citato, in passato, lo ha ritenuto privo di tutti i requisiti idonei a qualificarlo come spesa di rappresentanza.
La spesa di rappresentanza, invece, intende indirizzare un messaggio positivo inerente all’immagine dell’imprenditore; messaggio diretto, peraltro, a un gruppo in qualche modo definito di destinatari, siano essi clienti, clienti in fase di acquisizione, ovvero particolari operatori di settore.
Le spese di rappresentanza, nell’attualità della dinamica aziendale, sono sostenute al fine di creare, mantenere e accrescere il prestigio della società e di migliorarne l’immagine, ma non danno luogo ad aspettative d’incremento del processo di vendita.
Riteniamo quindi deducibile, ai sensi dell’art. 108, comma 2, del Tuir, l’acquisto di un’opera d’arte da esporre nei locali aziendali come spesa di rappresentanza.
In tal senso, l’art. 1, comma 2, del decreto ministeriale del 19 novembre 2008 - conformemente alle previsioni del nuovo comma 2 dell’art. 108 del T.U.I.R. - definisce il periodo d’imposta di imputazione delle spese di rappresentanza e i limiti di deducibilità delle stesse.

A differenza della normativa previgente (che prevedeva la deducibilità delle spese di rappresentanza nella misura di un terzo del loro ammontare per quote costanti nell’esercizio di sostenimento e nei quattro successivi), il comma 2 dell’art. 108 - nel testo in vigore dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 - stabilisce che “le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto (...)”.
Al riguardo, l’art. 1, comma 2, del decreto 19 novembre 2008 prevede che le spese di rappresentanza, “deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento, sono commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo in misura pari:

  1. all’1,3 per cento dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni;
  2. allo 0,5 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni;
  3. allo 0,1 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni”.

Tale norma stabilisce, quindi, un limite quantitativo entro il quale le spese di rappresentanza sono da considerare congrue rispetto al volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e, come tali, deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute (c.d. plafond di deducibilità).

 

 DOI  10.4439/fb7

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