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Ambiente ed energie

30 Aprile 2019 • di Alessandra Tami

Dall'economia lineare all'economia circolare: sviluppare e comunicare una strategia di sostenibilità

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Introduzione
La sensazione che qualcosa debba cambiare nel nostro modo di produrre e consumare si sta diffondendo sempre di più, anche con riferimento al fatto che il “cambiamento climatico” sia un fenomeno presente e sempre più minaccioso.
Stanno emergendo due processi convergenti: da una parte le aziende stanno diventando consapevoli che impostare strategie “sostenibili” generi valore “condiviso” anche a favore della classe dei portatori di capitale, e non solo della comunità in cui l’azienda opera. Dall’altra parte i finanziatori sempre più incorporano nelle loro valutazioni sul merito creditizio di una realtà operativa anche analisi sull’impatto dell’organizzazione sull’ambiente, sul sociale, e sulla governance (analisi ESG), in quanto ormai consapevoli che comportamenti poco “responsabili” potrebbero avere effetti economico-finanziari dirompenti anche sulla stessa organizzazione. Nella stessa direzione va interpretata l’evoluzione della normativa sull’informazione aziendale che chiede, accanto al tradizionale bilancio d’esercizio, quale rendicontazione di natura economico-finanziaria, la stesura di una dichiarazione non finanziaria (NFI) con informazioni ambientali, sociali, sulle persone, sulla corruzione, sulla parità di genere.
Parallelamente si sta diffondendo la figura di un consumatore consapevole, diverso da quello che l’economia ha definito come homo oeconomicus, che non chiede solo prezzi bassi, ma è attento che il processo produttivo rispetti i suoi valori e quelli condivisi con la comunità di appartenenza.
Ne deriva che una strategia che guardi alla sostenibilità a lungo temine non può non tener conto di integrare nel suo sistema di scelte quegli obiettivi di sviluppo sostenibile che rientrano nel business aziendale, definiti dall’agenda 2030 dell’ONU, di cui alla figura successiva.

Fig. 1 – Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs)

In particolare l’obiettivo n.13 riguarda il cambiamento climatico, sfida che può (e deve) essere vinta attraverso politiche di riduzione delle emissioni di gas serra, applicando anche i principi dell’economia circolare: riutilizzo, riproduzione e riciclo. Si tratta di individuare nel settore di appartenenza quali scelte possano favorire il passaggio da un’economia lineare a una economia circolare per raggiungere l'obiettivo delle Nazioni Unite della limitazione del riscaldamento globale a 1,5°[1]


[1] Nel 2017 le emissioni totali di gas a effetto serra (esclusi l'uso del suolo e la silvicoltura) ammontavano a 50,9 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, tra cui: 12,5 miliardi di estrazione; 10 miliardi in elaborazione; 9,3 miliardi di produzione; 6.5 volte nella consegna di prodotti e servizi; e 12,7 miliardi durante il consumo. Cerchio Economia, analisi basata su: Exiobase e Olivier J.G.J. e Peters J.A.H.W. (2018), Tendenze globali di CO2 e emissioni totali di gas a effetto serra: Relazione del 2018. PBL Netherlands Environmental Assessment Agency, L'Aia. 

 

L’economia circolare

Il dibattito sull’economia circolare nasce dal fatto che la realtà sta dimostrando l’erroneità di teorie economiche sulla possibilità di una crescita economica infinita e lineare, che pongono al centro le relazioni con il mercato, e che si basano sulla possibilità della scoperta di nuove risorse, di nuove terre e di nuove tecnologie, mentre l’ambiente non viene considerato, né in relazione alle risorse, né in relazione ai rifiuti che le attività di produzione e di consumo producono.
E’ necessario riconoscere che “la terra è finita”, ovvero che le risorse naturali non sono illimitate.
Questa constatazione dovrebbe essere alla base delle scelte di produzione e di consumo, di fronte a uno scenario che richiede di pensare alla sostenibilità del modello di sviluppo. Nel passato, quando il numero di abitanti del pianeta era di molto inferiore a quello attuale e non si parlava di consumismo, l’abbondanza di risorse, la loro economicità, la disponibilità ritenuta illimitata, hanno portato all’affermarsi del modello economico basato sulla linearità:


 

Negli ultimi anni, per la crescita senza precedenti nella domanda di risorse, per la prima volta viene messo in discussione il sistema economico attuale.
Il consumismo, che ha caratterizzato questi anni, mostra i suoi limiti. Le risorse non rinnovabili sono sempre più scarse e il loro approvvigionamento sempre più costoso, e come conseguenza è sempre più forte la competitività per l’accesso, con il sorgere di fenomeni di grabbing e di guerre, mentre il loro reperimento presenta aspetti di non sostenibilità sociale e ambientale, come fracking, desertificazione, inquinamento, migrazioni.
Il dibattito che si è sviluppato sulle alternative percorribili, in particolare sullo sviluppo della Green Economy, ovvero produzione sicura e pulita (clean) dei beni, materiali ed energia, la ricostruzione degli ecosistemi naturali, la minimizzazione delle emissioni e degli inquinamenti, l’uso efficiente delle risorse non rinnovabili, va in tale direzione.
La Green Economy si basa su un concetto nuovo di ricchezza e benessere, non più basati sull’espansione del PIL e dei consumi, ovvero dei flussi, ma sull’accrescimento degli stock dei capitali, a partire dal capitale naturale fino al capitale umano.
Si è così iniziato a sviluppare il concetto di economia circolare, in risposta alla crisi del modello tradizionale, per la necessità di confrontarsi con la limitatezza delle risorse utilizzate.
Nell’economia circolare le fasi sono interdipendenti, in quanto le materie possono essere utilizzate a cascata. Per garantire il funzionamento ottimale del sistema occorre evitare per quanto possibile che le risorse escano dal circolo produttivo. L’economia circolare viene definita come un’economia industriale che è concettualmente rigenerativa e riproduce la natura nel migliorare e ottimizzare in modo attivo i sistemi mediante i quali opera.


La sfida coinvolge le aziende, a cui si richiede di modificare il modello industriale, al fine di rendere le prospettive di crescita e di profitto meno dipendenti da risorse sempre più scarse, ma coinvolge altresì anche i consumatori finali, chiamati a rivedere le loro scelte di consumo, invitandoli a un uso responsabile dei beni, soprattutto quando questi devono essere dismessi: raccolta differenziata dei rifiuti sono la premessa per poter tornare a utilizzare le materie prime incorporate nei beni diventati inservibili.
Purtroppo il Circularity Gap Report 2019 rileva che l'economia globale è solo del 9% circolare, ovvero che solo il 9% dei 92,8 miliardi tonnellate di minerali, combustibili fossili, metalli e biomassa che entrano nell'economia vengono riutilizzate annualmente.[2]


[2] L'uso globale dei materiali è passato da 26,7 miliardi di tonnellate nel 1970 a 92,1 miliardi nel 2017. IRP, 2019, MaterialFlows.net, Domestic Extraction of World in 1970-2017, per gruppo di materiali.

 
Il cambiamento climatico e l'uso dei materiali sono strettamente collegati. La Circle Economy calcola che il 62% della emissioni di gas serra globale (esclusi quelli derivanti dall'uso del suolo e dalla silvicoltura) vengono rilasciate durante l'estrazione, la lavorazione e produzione di beni per soddisfare i bisogni della società; solo il 38% viene emesso nella consegna e l'uso di prodotti e servizi.
Eppure l'uso globale dei materiali sta accelerando. È più che triplicato dal 1970 e potrebbe raddoppiare nuovamente entro il 2050 senza azioni di contrasto, secondo il panel delle Nazioni Unite.
In questo scenario il CEO di Circle Economy, Harald Friedl, ha dichiarato: "Un mondo a 1,5 gradi non può che essere un mondo circolare. Riciclaggio, maggiore efficienza delle risorse e modelli di business circolari offrono enormi opportunità per ridurre le emissioni. Un approccio sistemico all'applicazione di queste strategie potrebbe favorire il successo per raggiungere un equilibrio nella battaglia contro il riscaldamento globale.
Attualmente le strategie di cambiamento climatico dei governi si sono concentrate sulle energie rinnovabili, sull'efficienza energetica e per evitare la deforestazione, ma hanno trascurato il vasto potenziale dell'economia circolare.
Il rapporto chiede ai governi di agire per passare da un'economia lineare "Take-Make-Waste" a una economia circolare che massimizza l'utilizzo delle risorse esistenti, riducendo al contempo la dipendenza da nuove materie prime e riducendo al minimo i rifiuti, mentre l'innovazione per estendere la durata delle risorse esistenti non solo limiterà le emissioni, ma anche ridurrà la disuguaglianza sociale e favorirà una crescita a basse emissioni di carbonio.
La sfida è di riprogettare la catena della supply chain fino ai pozzi, ai campi, alle miniere e alle cave dove le nostre risorse hanno origine in modo che di consumare meno materie prime. Ciò non solo ridurrà le emissioni, ma favorirà anche la crescita, favorendo un’economia più efficiente.
L’economia circolare mette quindi in evidenza l'ampio raggio di azione per ridurre le stesse emissioni di gas serra.

 

Tre strategie chiave per l'economia circolare

La relazione mette in evidenza tre principali strategie circolari che potrebbero essere adattate in tutta l'economia e fornisce esempi:
1. Ottimizzare l'utilità dei prodotti massimizzandone l'uso e prolungandone la durata. In questo contesto emerge la realtà del ride-sharing. Il car sharing oggi rende già meno importante possedere un'auto. La guida autonoma accelererà questa tendenza, potenzialmente aumentando l'utilizzo di ciascun veicolo. Allo stesso tempo propulsori elettrici, programmi di manutenzione intelligenti e integrazione software possono migliorare la durata delle automobili.
2. Riciclaggio potenziato, utilizzando i rifiuti come risorsa. Entro il 2050 ci saranno circa 78 milioni di tonnellate di pannelli solari dismessi. Il design modulare consentirebbe di smontare facilmente i prodotti, ottenendo componenti da riutilizzare e materiali preziosi da recuperare per estendere il loro valore economico e ridurre gli sprechi.
3.Progettazione circolare, riduzione del consumo di materiale e utilizzo di alternative a basse emissioni di carbonio. Bambù, legno e altri materiali naturali hanno il potenziale per ridurre la dipendenza da materiali ad alta intensità di carbonio, come ad esempio cemento e metalli nelle costruzioni. Invece di emettere carbonio, questi materiali lo immagazzinano e dureranno decenni. Possono essere bruciati per generare energia alla fine della loro vita.
Il rapporto di Circle Economy[3] invita i governi a garantire che le strategie sul cambiamento climatico e sull'economia circolare siano unite per ottenere il massimo impatto, attraverso l'uso di piani fiscali e di spesa per guidare il cambiamento.

[3] https://www.circularity-gap.world

Si dovrebbero:

  • Abolire gli incentivi finanziari che incoraggiano l'uso eccessivo delle risorse naturali, come i sussidi per l’esplorazione e estrazione dei fossili e per il consumo di carburante;
  • Aumentare le tasse sulle emissioni, sull'eccessiva estrazione delle risorse e sulla produzione di rifiuti, ad esempio attuando una tassa sul carbonio progressivamente crescente;
  • Ridurre le tasse su lavoro, conoscenza e innovazione e investire in queste aree. Le tasse sul lavoro più basse faranno incoraggiare le attività di un'economia circolare ad alta intensità di manodopera, come gli schemi di ritiro e il riciclaggio.

 

Conclusioni

Naturalmente la riduzione dei gas serra si basa anche su consumi più “consapevoli”, che devono essere sostenuti tuttavia dalla creazione di infrastrutture adatte: meno traposti su strada e più trasporti su treno, mantenendo anzi accrescendo la velocità e le interconnessioni sono una sfida che significa non solo riduzione della possibilità di inquinare del trasporto su strada, ma anche sviluppo di reti ferroviarie veloci, come la TAV, potendo i treni utilizzare energie rinnovabili più efficacemente del mezzo automobilistico.
Consumi consapevoli richiamano l’obiettivo SDGs n. 12, obiettivo che significa rendersi conto che prezzi troppo bassi spesso vanno a discapito dell’ambiente e dei soggetti all’inizio della catena produttiva.
E qui appare un altro obiettivo SDGs, il numero 8, che si propone di tutelare il lavoro (Good Jobs and Economic Growth): se la forza contrattuale delle grandi catene distributive è troppo alto, il “costo” lo pagano coloro che sono alla base della catena produttiva: i contadini che per effetto dell’inefficienza dei mercati non trovano riconosciuto un presso adeguato per il prodotto agricolo, ma anche, e questo soprattutto in alcune aree ricche di materie prime, lo sfruttamento di bambini per ricavare materie prime rare, alla base dei moderni prodotti tecnologici.
Una azienda “responsabile” dovrebbe chiedersi da dove vengono le materi prime che usa, e se il prezzo spuntato, coerente con l’obiettivo di ridurre i costi e aumentare i margini, sia davvero sostenibile per il pianeta Terra o non crei disuguaglianze e ingiustizie.
Molti prodotti ora banalizzati dovrebbero probabilmente essere venduti a prezzi molto più alti, per remunerare adeguatamente tutti coloro che sono coinvolti nel processo produttivo, dall’inizio alla fine e tener conto anche delle esternalità negative associate al loro uso.
I prodotti agricoli sono un esempio di fallimento del mercato: per tener il prezzo basso, nel momento della raccolta, spesso concentrato in periodi brevi, vengono attuate politiche di sfruttamento delle persone, a cui non si assicura nemmeno un’abitazione decente; la domanda è perché in prossimità delle zone di raccolta dei prodotti agricoli non si sono creati dei villaggi, anche prefabbricati, dove ospitare le persone?
Perché questo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, con la nascita di nuovi schiavi? Ma nel 1948 non si era avuta la proclamazione universale dei diritti umani?
Naturalmente si pone la questione se l’azienda alla fine della filiera produttiva, che commercializza un prodotto sottolineandone la qualità, sia consapevole, che nell’adempiere alla redazione della Dichiarazione non finanziaria (NFI), non sta rispettando quanto le norme, ma soprattutto la coscienza umana dettano in materia di tutela del lavoro.
La sfida per aziende responsabili e per i loro manager, di interiorizzazione degli SDGs dell’Agenda 2030, è molto difficile ed è solo all’inizio, ma dovrebbe essere inglobata nelle strategie per i prossimi anni per un mondo più equo e sostenibile.
Ad alcuni eccessi della libera concorrenza si dovrebbe rispondere con quello che gli economisti chiamano concorrenza monopolistica: unioni fra i produttori potrebbero favorire un maggior riconoscimento delle esternalità positive legate, per esempio, all’attività agricola, che con la cura del territorio evita gli effetti negativi, spesso tragici, legati anche al cambiamento climatico.
Nello stesso tempo la crescita di un consumatore consapevole dovrebbe essere non solo una sfida per le aziende, ma soprattutto dovrebbero essere le aziende che favoriscono un consumo consapevole ed intelligente del proprio prodotto, con la progettazione di un ciclo di vita che non crei rifiuti, ma favorisca il riuso e quindi un consumo minore di risorse naturali, purtroppo in via di esaurimento.
L’economia circolare richiede però una comunità che metta il rispetto degli altri al primo posto, e fra gli altri ci sono le generazioni future: “cura dell’ambiente, come scriveva anche Papa Francesco nella sua Enciclica “Laudato si” del 2015, rispetto e amore per il prossimo” sono la premessa per assicurare ai nostri figli e nipoti un mondo ancora vivibile.

 

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