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23 Giugno 2011 • di Saverio Sabatini

Clausole testamentarie e azienda

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Con questo articolo concludiamo il percorso “La successione nell’impresa”: dulcis in fundo ho pensato di proporre quella che - a mio modestissimo parere - può apparire a tutt’oggi come la più agevole soluzione che il Legislatore ha riservato all’imprenditore che intenda devolvere la propria azienda a un discendente.
Come vedremo, però, anche qui la strada è in salita …

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Sommario

1. Premessa
2. Perché il testamento
2.1 Equipollenza delle forme testamentarie
2.2 Eredità e legati
2.3 Pubblicazione del testamento
3. Legato di Azienda
3.1 Legato di contratto di vendita
3.2 Legato di genere in sostituzione della legittima
4. Conclusioni

  

1. Premessa(nota)

Solo il 15,78% delle 377.894 successioni dichiarate all'Agenzia delle Entrate nel 2009 è avvenuto per testamento. Nell'88,22% dei casi, si è proceduto in assenza di disposizioni del defunto, secondo le norme di legge. La tendenza degli italiani a non regolamentare la propria eredità fa sì che nel 2009 sono stati registrati 113,7 testamenti ogni 100 mila abitanti nel Nord-ovest, 111,5 nel Nord-est, 81,7 nel Centro, 79,1 nel Sud e 116,1 nelle Isole (secondo l'Istat).
Le regioni con il maggior numero di testamenti sono state la Liguria (189,5 su 100 mila abitanti), il Trentino (135,9) e il Friuli (130,3). Il ricorso ai notai, inoltre, è stato particolarmente forte in Liguria (81,4 ogni 100 mila abitanti), Puglia (79,3) e Sardegna (70,2), quasi assente in Trentino (14,8), Lombardia (17,4) e Piemonte (26,4).
I dati sono allarmanti, perché evidentemente il cittadino non è stato sufficientemente reso edotto circa le potenzialità della scheda testamentaria, unico strumento (oltre alla legge) per mezzo del quale è possibile devolvere la propria eredità (così testualmente l’art. 457 c.c.), senza impingere nel divieto del patto successorio, di cui all’art. 458 c.c.
Particolarmente interessante la soluzione testamentaria per l’imprenditore che intenda operare una divisione testamentaria ex art. 734 c.c. o anche solo dettare delle direttive che regolino la propria successione (c.d. assegno divisionale semplice, art. 733 c.c.), per assegnare a un discendente in particolare la propria azienda, apporzionando gli altri legittimari con altri beni, sì da non ledere i loro diritti di riserva. Il testatore dovrà, infatti, ponderare con attenzione le proprie disposizioni testamentarie, nel rispetto del principio dell’intangibilità meramente quantitativa della legittima, punto cardine del diritto successorio italiano, volto alla tutela della famiglia in senso stretto (in particolar modo dei discendenti in linea retta e del coniuge, soprattutto a seguito della Riforma del diritto di famiglia, Legge 19 maggio 1975 n. 151), tuttavia sconosciuto nei Paesi anglosassoni (nota) .
Vedremo nel dettaglio come sarà possibile operare un’assegnazione dell’azienda, per il tempo in cui l’imprenditore avrà cessato di vivere, a mezzo testamento.

 


2. Perché il testamento

Negli articoli precedenti (vedi “La successione nell’impresa”, “La successione nell’impresa: le clausole societarie” e “Donazione di azienda e patto di famiglia”) abbiamo analizzato - spero dettagliatamente e in maniera esaustiva - le possibili forme di assegnazione dell’azienda a mezzo atti inter vivos: abbiamo visto come, nella prassi, al patto di famiglia (in attesa della tanto agognata riforma) si preferisca la donazione di azienda e come, in sede societaria, si opti per le c.d. clausole successorie all’interno degli Statuti o dei patti sociali (clausole di continuazione o di consolidazione). Tuttavia, nella quotidianità degli studi notarili si avverte una volontà dell’imprenditore di trasferire l’azienda quando ancora in vita, più per motivi psicologici che per motivi strettamente giuridici o di opportunità (“dono l’azienda a mio figlio, così mi tolgo un pensiero”; “dono l’azienda a mio figlio, così evito che un domani possa litigare con gli altri figli”); purtroppo, invece, alle disposizioni per atti tra vivi spesso fanno seguito strascichi giudiziari, liti per determinarne il valore, controversie legali promosse da altri legittimari che si sentano defraudati o che vedano lesa la propria quota di riserva. Tralasciando casi nei quali si riveli impellente e concretamente utile un’assegnazione dell’azienda in vita a uno dei discendenti, un testamento ben strutturato, con l’ausilio del Notaio, dell’avvocato o del commercialista, non può che rappresentare la soluzione più economica e sicura per i nostri fini:

  • più economica perché, a parte qualche spesa relativa alla consulenza giuridica prestata dal professionista adito, il testamento olografo (cioè vergato di pugno dal testatore stesso, debitamente sottoscritto e datato) non comporta alcuna spesa ulteriore, né necessita di registrazione o trascrizione;
  • più sicura perché, indicando dettagliatamente i valori dell’azienda e degli altri beni (anche a mezzo di perizie tecniche redatte da commercialista e da esperti del settore immobiliare: ingegneri, architetti, geometri, agenti immobiliari, ecc), il testatore potrebbe redigere una divisione testamentaria inattaccabile ai sensi dell’art. 734 c.c., così fissando già nella scheda testamentaria i valori del suo patrimonio, alla data della testamenti factio e non dell’apertura della successione.

Questa della divisione ex art. 734 c.c. è la soluzione che si ritiene preferibile per l’imprenditore che intenda destinare l’azienda a un discendente, apporzionando parimenti gli altri legittimari, in guisa da non ledere le loro quote di riserva; tuttavia il testatore dovrà ricordare attentamente che è considerata nulla ex art. 735 c.c. la divisione che non attribuisse a un coerede istituito, nonché legittimario, alcuna porzione della massa ereditaria.
Tuttavia si ritiene ormai consolidata l’opinione che, omettendo un legittimario, il testamento si possa considerare valido quando residuino altri beni, non contemplati nella scheda, idonei a soddisfare la porzione spettante a quel legittimario pretermesso. A ogni buon conto, la divisio inter liberos ex art. 734 c.c. dovrà contemplare esclusivamente beni dell’eredità, in ossequio al principio per cui non è consentito ai comunisti dividersi beni estranei alla comunione. Ad abundantiam sia consentito di richiamare i lavori preparatori al codice civile, nel corso dei quali fu respinta (nota) una proposta tesa a implementare l’art. 734 con una clausola che prevedesse la facoltà in capo a un coerede di corrispondere con denaro proprio agli altri coeredi l’equivalente in denaro loro spettante.

 


2.1 Equipollenza delle forme testamentarie

Il testamento è l’atto personalissimo (il testatore non potrà mai essere sostituito da un rappresentante legale o volontario) revocabile per eccellenza, unilaterale e a contenuto patrimoniale; il comma 1 dell’art. 587 c.c., infatti, prevede che a mezzo della scheda il testatore disponga “di tutte le proprie sostanze o di parte di esse”; tuttavia è pur vero che il comma 2 del medesimo art. 587 prevede la possibilità di inserire nella scheda valutazioni non patrimoniali (prime fra tutte le disposizioni di carattere morale).
Si sconsiglia vivamente, invece, la predisposizione di una scheda meramente “negativa” a mezzo della quale si diseredi uno o più soggetti, in quanto la diseredazione non è contemplata dal vigente codice civile e si interpreta che nelle intenzioni del legislatore del 1942 vi sia stata la volontà di prevedere solo disposizioni “positive”.
Una domanda ricorrente negli studi notarili è la seguente: ”il testamento pubblico, per mano di notaio, ha valenza superiore rispetto al testamento olografo, scritto di mio pugno?”.
Ebbene, la domanda non è per niente peregrina, in quanto rientra nella communis opinio che un testamento stipulato con il notaio, alla presenza dei due testimoni notarili, abbia efficacia e valenza superiore rispetto all’olografo. Tuttavia tale affermazione è vera solo in minima parte: è vero, infatti, che il testamento per mano di notaio è pur sempre un atto pubblico e come tale fa fede fino a querela di falso della provenienza del documento da parte del pubblico ufficiale rogante nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti ex art. 2700 c.c.
Altrettanto vero è che il Notaio, quale custode della legalità, avrà il compito di verificare che il testatore sia pienamente in grado di intendere e di volere; tuttavia tale ultima affermazione sarà tanto vera se corroborata dalla produzione da parte del testatore di un certificato neurologico che attesti che il testatore è pienamente capace, sì da non comportare l’annullabilità della scheda, ex art. 428 c.c. Ma l’obiezione più evidente, allora, è che il testamento sarà altrettanto “blindato” nel caso in cui il testatore abbia redatto un olografo e vi abbia allegato una perizia medica, nulla vietando che il testatore possa allegare documenti alla scheda testamentaria.
Spiegata, dunque, la valenza superiore del testamento per mano di notaio ai soli effetti probatori, in virtù della disposizione di cui all’art. 2700 c.c., arriviamo a sostenere che viga nel nostro ordinamento un’assoluta equipollenza tra forme testamentarie, sì da ammettere che, ad esempio, un testamento pubblico possa essere revocato a mezzo di un olografo vergato in data successiva, anche nel rispetto della assoluta e illimitata facoltà concessa al testatore di modificare e revocare in qualsiasi momento il proprio testamento, indipendentemente da oneri formali, che il Legislatore non ha inteso fissare.
Tralasciando le forme speciali di testamenti, per i militari e simili, per i casi di calamità naturali, malattie contagiose, infortuni e quelli a bordo di nave o aeromobile, e omettendo commenti sulle forme di testamento meno utilizzate (testamento segreto e testamento internazione ex legge n. 387 del 29 novembre 1990 con cui l’Italia ha aderito alla Convenzione di Washington (1973), ci soffermeremo brevemente sul testamento pubblico e sull’olografo, che l’art. 601 definisce “forme ordinarie di testamento”. Quanto agli oneri formali del primo, si rimanda all’art. 603 c.c., mentre per l’olografo ci limitiamo a ricordare che l’art. 602 prevede l’onere della scrittura esclusivamente di pugno da parte del testatore, l’onere di indicare la data di redazione e la sottoscrizione della scheda.

 


2.2 Eredità e Legati

Oggetto della scheda testamentaria potranno essere disposizioni a titolo universale (l’eredità) o particolare (i legati). Non è questa la sede opportuna per indagare dettagliatamente le differenze tra tali figure, tuttavia si intende precisare, in maniera alquanto semplicistica e per nulla esaustiva, che al testatore è concessa la libertà di nominare erede uno o più soggetti o di apporzionarne altrettanti, a mezzo disposizioni particolari.
La differenza è sostanziale: l’erede risponderà dei debiti dell’eredità (salva l’accettazione con beneficio di inventario) mentre il legatario(nota) risponde dei debiti limitatamente al valore dei beni legati.
La distinzione, evidentemente, non è di poco momento, se si considera che sarà ben possibile disporre dell’intero patrimonio anche a mezzo soli legati, senza indicazione di eredi; il consiglio pratico è di indicare sempre con precisione il legatario (ex art. 628) e l’onerato, ovvero colui contro il quale grava la disposizione, fermo restando che quest’ultimo dovrà pur essere stato beneficiato in qualche modo.
Si accenna brevemente anche alla possibilità di gravare le disposizioni a mezzo oneri (c.d. modus): l’esempio più lampante è senza dubbio l’art. 629 c.c. in materia di disposizioni a favore dell’anima, qualificate espressamente come “oneri” a carico dell’erede o del legatario.
In ultimo, mi permetto di segnalare che la disposizione a titolo di erede e il legato non esauriscono le facoltà concesse al testatore: l’art. 588 c.c. ultimo comma, infatti, indica che l’aver disposto di un singolo bene non necessariamente comporta l’insorgenza di una disposizione a titolo particolare, ben potendo quella disposizione essere interpretata quale assegnazione del dato bene “come quota del patrimonio”.
Sia concesso un esempio: Tizio lega la propria abitazione in Comune di … alla Via … n. … al signor … (indicazione dettagliata del legatario ai sensi dell’art. 628); assegna, inoltre, il residuo del suo patrimonio al signor … (indicazione ex art. 628): in tal caso, interpretando il testamento seguendo le norme dettate per l’interpretazione del contratto (art. 1363 c.c. ss.) si potrà agevolmente dimostrare che nel devolvere l’eo quod supererit a quel determinato soggetto, il testatore intendeva assegnargli una quota di patrimonio, così comportando la c.d. institutio ex re certa, ovvero una disposizione a titolo universale, pur senza la nomina di erede.

 


2.3 Pubblicazione del Testamento

A seguito del decesso del testatore, gli eredi dovranno seguire un preciso iter procedurale per far sì che quelle volontà divengano efficaci. Se trattasi di un testamento pubblico, il Notaio, appena gli è nota la morte del testatore, comunica l’esistenza del testamento agli eredi e ai legatari di cui conosce domicilio o residenza; formalmente si tratterà di stipulare un atto di passaggio del testamento dal repertorio degli atti di ultima volontà del notaio, al repertorio degli atti tra vivi.
Nel caso, invece, del testamento olografo, chiunque si trovi in possesso di un testamento lo deve presentare a un Notaio per la pubblicazione, appena ha notizia della morte del testatore. Il Notaio procederà alla pubblicazione del testamento, alla presenza di due testimoni, redigendo in forma di atto pubblico un verbale in cui descriverà lo stato del testamento, ne riprodurrà il contenuto e la menzione della sua apertura (se è stato presentato chiuso con un sigillo). Al detto verbale è allegata la carta in cui è scritto il testamento vidimata in ciascun mezzo foglio dal notaio e dai testimoni e l’estratto dell’atto di morte del testatore. L’art. 620 c.c. espressamente afferma che l’olografo ha esecuzione avvenuta la pubblicazione.
A seguito della pubblicazione del testamento, gli eredi avranno l’onere di depositare presso l’agenzia delle entrate la dichiarazione di successione (entro un anno dalla apertura della successione); ai fini della accettazione, invece, è necessario un distinguo: l’eredità necessita di accettazione espressa o tacita, mentre il legato si acquista senza bisogno di accettazione formale. Solo a seguito di accettazione, sarà possibile trascrivere l’acquisto a causa di morte presso l’Agenzia del Territorio - Ufficio Servizi Immobiliari, mentre la voltura catastale sarà effettuata a seguito della presentazione della dichiarazione di successione.

 


3. Legato di Azienda

Dopo aver fatto queste necessarie premesse, al fine di dare un’ampia e dettagliata visione del testamento, nelle sua varie sfaccettature e forme, si può tornare all’argomento che ci appassiona nel presente approfondimento: il passaggio generazionale dell’azienda a mezzo scheda testamentaria. Anche in questo caso il lettore perdonerà una breve digressione sulla natura giuridica dell’azienda.
La più avveduta dottrina, fin dagli albori del diritto privato (nota) , ha sempre sostenuto che l’azienda potesse essere oggetto di disposizione a titolo universale o particolare. Nel primo caso, laddove si fosse in presenza di una pluralità di eredi, ne nascerebbe una comunione di azienda: tale istituto potrebbe cedere il passo innanzi alla volontà degli eredi di addivenire a una divisione ereditaria o a una trasformazione eterogenea ai sensi dell’art. 2500-octies c.c.
Il codice civile non prevede espressamente il legato avente a oggetto l’azienda. Oggetto di legato, tuttavia, potrà ben essere un’universalità di beni, senza che ciò comporti il realizzarsi di più disposizioni tra loro distinte. Ma se il testatore redigesse una scheda testamentaria nella quale non fossero descritti i singoli beni che compongono l’azienda, la disposizione dovrebbe essere reputata nulla per indeterminatezza dell’oggetto?
Per quanto possa essere opportuno e consigliabile che siano indicati i beni immobili, i crediti e i debiti all’interno della azienda, non si reputa necessaria una descrizione dettagliata né l’allegazione di un inventario, risultando sufficiente indicare in maniera generica il complesso aziendale, sì da determinare per relationem i beni oggetto della disposizione.
Sarà, invece, necessario indicare espressamente quei beni che il testatore eventualmente intendesse escludere dalla disposizione particolare: tuttavia il testatore dovrà avere l’accortezza di non escludere beni ritenuti essenziali per l’esercizio della azienda medesima o che possano far venire meno la natura aziendale di quel complesso di beni.
La dottrina si interroga circa l’applicabilità delle norme dettate in materia di azienda: l’opinione attualmente dominante è che il trasferimento dell’azienda a mezzo disposizione ereditaria a titolo particolare non richieda il rispetto della disciplina di cui all’art. 2556 c.c., in quanto la disciplina testamentaria è tipizzata dal vigente codice e le norme dettate in materia di testamento esercitano una vis attractiva tale da assorbire la disciplina relativa all’azienda.
Al legatario di azienda spetterà esclusivamente l’onere di adempiere alle incombenze pubblicitarie relative ai singoli cespiti aziendali (ivi inclusa l’iscrizione al Registro delle Imprese).
La dottrina è, allo stesso modo, divisa in merito alla applicabilità del divieto di concorrenza agli eredi dell’imprenditore: ci si chiede se gli eredi del testatore debbano inibirsi per cinque anni dalla facoltà di intraprendere un’attività che per oggetto, ubicazione o altre circostanze possa essere reputata idonea a distrarre clientela dalla azienda ereditata; una prima teoria, fatta propria anche dall’unica sentenza di Cassazione(nota) che consta in merito, sostiene che anche nelle ipotesi di legato avente a oggetto l’azienda, si avrebbe il divieto quinquennale per gli eredi di iniziare nuove attività; una tesi intermedia(nota) afferma che l’erede subirebbe il divieto di concorrenza solo quando abbia collaborato nella gestione aziendale e abbia quindi le capacità e la possibilità di sviare clientela. Ultima tesi è di altri autori(nota) che invece sostengono l’inapplicabilità del divieto per assenza della ratio che sovrintende al divieto nelle cessioni per atti inter vivos.
Nulla quaestio in dottrina per quanto concerne l’applicabilità anche delle norme in materia di successione nei contratti (art. 2558 c.c.) e nei crediti aziendali (art. 2559 c.c.); dubbi, invece, sono stati espressi in merito alla sorte dei debiti.
Vediamo un esempio. Tizio, imprenditore calzaturiero, nomina erede universale il figlio unico Primo e lega l’azienda all’amico Caio. Su chi graveranno i debiti aziendali? Sull’erede o sul legatario? La risposta a tale quesito è figlia della risposta che la dottrina ha dato in merito alla natura della azienda: secondo la tesi tuttora prevalente in dottrina(nota) (ma non in giurisprudenza), l’azienda sarebbe una universitas facti, non comprensiva di crediti e debiti; ne deriva che nei rapporti interni tra erede dell’imprenditore e legatario dell’azienda i debiti rimangano in capo all’erede. Se si accoglie, invece, la teoria della universitas iuris (nota) si dovrà concludere che i debiti passino al legatario insieme alla azienda, con una sorta di accollo cumulativo interno; tuttavia il legatario ne risponderebbe esclusivamente nei limiti di valore della cosa legata, ai sensi dell’art. 671 c.c. Al quesito sembra dare risposta definitiva autorevole dottrina(nota) che sposa la tesi da ultimo esposta, evidenziando la ratio delle volontà del testatore, che intende sicuramente trasferire ogni elemento patrimoniale dell’azienda, ivi inclusi debiti e crediti, avendo, in genere, “una concezione economica più che giuridica del bene azienda”. Dunque, concludendo, si applicherà l’art. 2560 c.c., per cui, se si trattasse di azienda commerciale, i debiti risultanti dalle scritture contabili saranno imputabili al legatario, nei limiti del valore della azienda legata.
Molto interessante l’art. 2565 c.c. comma 3 che prevede un’inversione, per i trasferimenti a causa di morte, rispetto ai trasferimenti inter vivos per quel che concerne la ditta: questa si trasmette automaticamente al successore, salva diversa disposizione contenuta nella scheda testamentaria.
Analogicamente alla disposizione prevista per la ditta, sembra applicabile anche all’insegna l’onere di trasferirla unitamente all’azienda, anche a causa di morte.
Quanto al marchio, invece, si deve fare riferimento agli artt. 7-28 del D.Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30: in adempimento a un principio di snellezza nella circolazione dei marchi, si può arrivare a ipotizzare sia che il testatore trasferisca il marchio insieme alla azienda sia che lo attribuisca a soggetti diversi rispetto al legatario dell’azienda, ivi inclusi gli eredi.
Individuata la normativa sui trasferimenti di azienda a causa di morte, vediamo, ora, un caso pratico:
Tizio, imprenditore, divorziato e padre di due figli, Caio e Sempronio, è titolare esclusivamente di un’azienda ben avviata, molto produttiva e di sicuro rendimento. Non risulta titolare di beni immobili, né di titoli mobiliari. Intenderebbe redigere un testamento a mezzo del quale lasciare l’azienda al figlio Caio che ha sempre lavorato con lui, con l’onere, in capo a quest’ultimo, di liquidare il fratello con denaro proprio, quando Tizio sarà deceduto.
La fattispecie, molto frequente nella prassi, è stata reputata nulla dalla Corte di Cassazione (nota) ; il nostro ordinamento, infatti, tutela l’intangibilità meramente quantitativa della quota riservata ai legittimari, lasciando il più ampio spazio di manovra al testatore dal punto di vista qualitativo, tuttavia purché si tratti di beni compresi nell’asse ereditario (nota) . Sarà nulla, dunque, la divisione predisposta dal testatore che, in mancanza di denaro nell’asse ereditario, imponga all’erede beneficiato con l’azienda, di soddisfare con denaro proprio le aspettative ereditarie degli altri legittimari. La conseguenza sarà che le volontà del testatore non saranno rispettate e tra i suoi eredi si aprirà una indesiderata e fratricida “guerra”.
Esclusa la facoltà di far gravare sull’erede beneficiato con l’azienda l’onere di liquidare gli altri chiamati con beni non ereditari, la dottrina ha cercato di individuare altre soluzioni, di seguito presentate.

 


3.1 Legato di contratto di vendita

È stata avanzata(nota) l’ipotesi di nominare eredi tutti i legittimari nella quota loro riservata e il legittimario favorito anche nella quota disponibile, ponendo a loro carico e a favore di quest’ultimo (a cui si intende attribuire l’azienda o le quote societarie) un legato di contratto di vendita o di permuta della quota ereditaria contro il pagamento del prezzo o la cessione di un bene che non sia inferiore al valore della legittima spettante agli onerati medesimi.
Nomino miei eredi universali nella quota loro spettante ex lege i miei due figli Tizio e Caio. Istituisco mio figlio Tizio erede anche nella quota disponibile. Lego a carico di mio figlio Caio e a favore di mio figlio Tizio il contratto di vendita (o permuta) della quota ereditaria a esso devoluta per Legge contro il pagamento di un prezzo (o cessione di un bene) di pari valore al momento dell’apertura della successione.
In effetti al legittimario è devoluta la quota spettantegli su beni dell’eredità, sicché non si potrebbe far valere l’obiezione, mossa dalla Cassazione nel caso sopra riportato, volta a ottenere la nullità della divisione del testatore avente a oggetto beni non compresi nell’asse ereditario.
Tale soluzione è stata, tuttavia, oggetto delle seguenti obiezioni e rilievi: in primis potrebbe configurarsi una violazione del disposto di cui all’art. 549 c.c. che reputa nulli tutti i pesi e le condizioni apposte sulla quota di legittima; in secondo luogo, configurandosi una modalità di scioglimento della comunione, diversa dalla divisione, sarebbe applicabile il rimedio della rescissione ultra quartum ex art. 764, comma 1, c.c.
Il divieto di pesi e condizioni sulla legittima va correttamente riferito ai soli pesi e condizioni che abbiano l’effetto di diminuire quantitativamente la legittima; potrebbe, dunque, apparire come limite insuperabile, se non fosse vero che il legato gravato dall’onere di stipulare un contratto di vendita o di permuta rientra nel più ampio alveo delle operazioni paradivisorie, che sono fatte salve dall’art. 549 c.c., sicché, a parere di chi scrive, l’obiezione può ben essere superata e l’istituto trovare dimora nel nostro ordinamento.

 


3.2 Legato di genere in sostituzione della legittima

Nomino mio erede universale mio figlio Tizio (al fine di attribuirgli l’azienda). Lego in sostituzione della legittima ex art. 551 c.c. a mio figlio Caio una somma di denaro pari a Euro … (valore della quota di legittima a esso spettante) ex art. 653 c.c. pur riconoscendo l’altruità della res ex art. 651 c.c.
Risulta particolarmente apprezzata questa seconda modalità: il testatore nomina erede universale il figlio al quale intende lasciare l’azienda; poi lega in sostituzione della legittima ex art. 551 c.c. all’altro figlio una somma di denaro pari al valore dell’azienda, sebbene tale somma non risulti compresa nell’asse ereditario. Risulterà applicabile l’art. 653 c.c. (legato di genere, valido anche se di quel genere non si trova alcun bene né all’apertura della successione né al momento della redazione del testamento). Oggetto del legato potrebbe ben essere anche un bene dell’onerato o di un terzo, applicandosi di conseguenza l’art. 651 c.c., dando per scontato che il testatore fosse a conoscenza della altruità del bene, sicché non si potrebbe che parlare di legato obbligatorio, idoneo a ingenerare in capo all’onerato l’onere di pagare la somma legata o trasferire la proprietà del bene oggetto della disposizione particolare.
Obiezione mossa da altra dottrina riguarda il consenso del legittimario che abbia ricevuto un legato in sostituzione di legittima: infatti, a costui la legge consente di rinunziare al legato e chiedere la legittima. Così la piena attuazione della volontà del testatore risulterà assoggettata alla volontà del legatario; sarà, dunque, preferibile che il testatore renda particolarmente appetibile il legato in sostituzione.

 


4. Conclusioni

Siamo, ordunque, giunti all’esito del percorso che - mi auguro - possa aver fornito indicazioni chiare e concrete in merito alle varie possibilità di passaggio generazionale di una azienda.
Dal nostro lavoro di approfondimento sono stati esclusi alcuni istituti, giudicati troppo giovani e in fieri per costituire una valida e consigliabile soluzione all’imprenditore; mi riferisco in particolare alle fondazioni di famiglia (osteggiate da quella parte della dottrina che vi ravvisa contrasti con il divieto della sostituzione fedecommissaria e dell’usufrutto successivo) e al trust, soprattutto quello interno: è pur vero che la Giurisprudenza sembra ormai orientata univocamente a ritenere ammissibile anche un trust di famiglia con disponente (settlor), trustee e patrimonio italiani, tuttavia rimandare a una legge straniera (non essendo stato ancora promulgato alcun testo di legge che disciplini il trust in Italia e non potendo ritenere che l’art. 2645-ter c.c. possa definirsi come trust italiano) costituisce ancora uno strumento eccezionale, da utilizzare con parsimonia e attenzione e in fattispecie residuali.
Come si è potuto comprendere dalla lettura di questo ultimo testo, il testamento rappresenta tuttora la soluzione che si ritiene preferibile per raggiungere l’obiettivo in oggetto. Tuttavia, vista la particolarità della materia, la facilità di cadere in errore e la tecnicità dello strumento, si consiglia al lettore di farsi coadiuvare da professionisti del settore, in primis i Notai, che sapranno valutare caso per caso la soluzione più adeguata alla singola fattispecie.

 

 

DOI  10.4439/fb10

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